In risposta all’editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera
Quanto scrive nell’editoriale di ieri, 15 febbraio, del Corriere della Sera Francesco Giavazzi, su “Elezioni, tasse e salari. Ripartiamo dalla Scuola”, non può essere che condivisibile, sia pure in via del tutto generale. In riferimento alla Scuola e alla valutazione degli Istituti e dei docenti, questo principio io l’ho sostenuto e lo sostengo da anni e anni. In maniera quasi solitaria. Ma esso è sempre stato respinto. Abbiamo invece assistito e subito per due lunghi decenni le costose cuccagne del fatuo e delle sue aberranti stagioni di contraffazioni “cromatiche” e culturali e dei tentativi di “valutazione” sindacale-burocratica. Con processi di bestiale pseudo-pedagocizzazione e di riduzione imposta dall’alto degli standard minimi sulle conoscenze infime degli alunni e di imposizione della loro promozione, di abbattimento dell’insegnamento della storia e della geografia, di invenzione di carriere e percorsi e di burocratizzazione spinta del ruolo del preside e del prof, di collassamento morale e funzionale della figura del docente. Di tanto edulcorata quanto triviale messa in opera di un sistematico affossamento dell’istituzione e del ruolo della formazione educativa nei suoi aspetti sia umanistici sia scientifici, nulla è cambiato, tutto è peggiorato nelle scelte messe in pratica dagli ultimi governi rispetto all’anno zero dell’epoca D’Onofrio-Berlinguer, e nei susseguenti risultati raccolti dalle campagne di test nazionali e internazionali.
Eppure, nei tanti lunghi anni settanta-ottanta in cui i governi avevano abbandonato la scuola interamente alla derelitta e sfruttata classe docente, i risultati mai erano stati così disastrosi, anzi! Per di più, entrando direttamente nello specifico, ossia nella proposta di un avvio di una sana e non fuorviata e fuorviante “concorrenza” fra le scuole e di una oggettiva valutazione della loro qualità formativa, a mio avviso, essa dovrebbe essere varata con uno scarno decreto presidenziale. E dovrebbe essere basata statisticamente su un modello di cui ben il 70% dei crediti sarebbe assegnato basandosi sui giudizi che gli ex alunni – salvo, come scrematura e correzione metodica, quelli a suo tempo soggetti a ripetenze, a misure disciplinari o a diffida o denuncia di parte promossi da un docente – danno sulla Scuola superiore frequentata e sui singoli docenti, dal terzo al sesto anno dopo il conseguimento del diploma, e un ulteriore 20% al grado di riuscita nel percorso degli studi universitari degli ex allievi di Licei e Tecnici. Essa perciò non dovrebbe essere lasciata alle mene delle commissioni e delle aule del Parlamento, della (analfabeta) burocrazia ministeriale e delle commissioni di pedagogisti (Dio ce ne salvi!), dei sindacati e dei Collegi dei Docenti. Questa scelta si configura quindi come una scelta strategica prioritaria, lucida e coraggiosa al tempo stesso. Non rinviabile perché legata al futuro a medio e lungo termine delle giovani generazioni e della Nazione, scelta su cui il nuovo premier non dovrebbe perder tempo, transigere, barattare alcunché e, con le firme dei suoi ministri su un foglio bianco, recarsi dal Capo dello Stato per mettere, in via eccezionale, nero su bianco quasi sotto dettatura. Per gli altri cicli di Scuole, occorrerebbero metodologie più adeguate e circostanziate, sottratte a sindacati, associazioni dei genitori, pedagogisti, da far realizzare a commissioni in cui i docenti di università, superiori e medie; e di università, superiori, medie ed elementari, delle diverse discipline, non distaccati e privi di incarichi incompatibili come quelli sindacali, rappresentino almeno i tre quinti del totale dei componenti, con esclusione di presidi e direttori didattici (DS!), salvo uno per il grado di appartenenza della commissione.
Quanto scrive Francesco Giavazzi in riferimento al ruolo delle anzianità nelle progressioni di carriera, poi, lo posso condividere solo dietro precise puntualizzazioni, altrimenti esso può ingenerare e in parte ingenera equivoci ed errori. L’anzianità è rimasta cospicuo dato solo in pochi casi, fra i quali innanzitutto quelli costituiti dalle carriere dei magistrati e dei professori universitari. Per il resto, è da spulciare fra le tante giungle selvagge esistenti, che Giavazzi conosce meglio di me, soprattutto attraverso il mimetismo delle ulteriori voci retributive. Il suo abbattimento ha invece operato in maniera di vero e proprio sfruttamento economico e di declassamento professionale, di potente incentivazione alla disaffezione e come cronico propulsore del senso di frustrazione nei confronti delle carriere degli ordinari delle secondarie superiori e medie, dei maestri, e di una parte dei funzionari superiori della burocrazia ministeriali (non dei dirigenti della nuova, famelica, superpagata e inefficiente dirigenza, “casta” alla Bassanini). Sugli stipendi e sui salari, anche qui non posso che concordare in linea generale, così come sulle risposte immediate che il futuro governo deve dare.
Interessa poco la demagogica ed evasiva proposta di Berlusconi, con il plauso, guarda caso, della Confindustria, di detassare gli straordinari del settore privato. Proposta oscena in quanto ritiene tutti stupidi. La platea dei soggetti coinvolti è estremamente ridotta, e a nulla serve rispondere una una parzialissima giustificazione: gratificare la produttività. Bisogna innanzitutto assumere scelte e decisioni che coinvolgano tutta la platea dei contribuenti, come ebbe a fare in precedenza già lo stesso Berlusconi, e gratificare per i due terzi della manovra complessiva chi percepisce fino al reddito massimo di 45 mila euro. Al tempo stesso, utilizzare una seconda leva, a livello di perequazione come scelta etica e retributiva strategica, con un atto altrettanto eccezionale come quello sulla Scuola (lasciando stare i risultati OCSE, poiché non è tutto oro quello che luce, e altrove i programmi i scolastici sono ritagliati rispetto a quelli italiani, purtroppo “mal” approfonditi), e imporre – attraverso il Dipartimento per la Funzione Pubblica e l’Aran – l’abolizione automatica della dirigenza nelle regioni e negli enti più diversi di natura pubblica in cui si supera il rapporto di un dirigente per ogni cinquanta dipendenti (ai senza titolo e ai “perequati-privilegiati” è da sterilizzare ogni pregressione, salvo una quota del 25% se accetta il prepensionamento, senza “rottamazione” e benefici aggiuntivi) e assoluta omogeneizzazione dei livelli e delle retribuzioni del personale di regioni ed enti pubblici “non economici” ai dipendenti ministeriali.
Sì Giavazzi, così ci sto. Per una nuova, quasi escatologica stagione dell’avvento. Dell’avvento della nuova etica politica, pubblica, operativa in funzione del “bene comune” , con vera perequazione e vere perdite di privilegi. Con blocchi straordinari delle retribuzioni per i dipendenti Rai e consimili. Con riduzioni del costo della politica di almeno il 150%. Con tanta gente che torna a lavorare e a produrre. Con scelte rigorose e forti, sicuramente straordinarie, al limite eccezionali. Ma fermiamo il CNEL. E i sindacati e Confindustria, e, soprattutto, i partiti. Per una volta almeno le scelte strategiche e le riforme strutturali siano operate, come evento ed esigenza eccezionale, su questi criteri, dal capo del governo – sarà questi Berlusconi o Veltroni – E dalla vigile intelligenza, volontà, indicazione del Capo dello Stato, Napolitano Visto che questo è quel che rimane in una democrazia distrutta dai partiti, visto che questo è quel che rimane di potere autoritativo ancora super partes, che – ultimo baluardo – chiede rispetto. Altrimenti, dopo le lezioni, può iniziare davvero l’ultima fase dell’oligarchia partitocratrica, e con essa la notte della Repubblica, in cui ogni cittadino potrebbe ritenersi sciolto dal vincolo costituzionale.
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