L’informazione, il malgoverno, i nuovi programmi. E il codificato nepotismo
Oggi desidero condurre i lettori, spigolando di qua e di là, attraverso una serie di riferimenti, di casi e di dati, di conoscenze non insignificanti, un lungo itineraio per “squarci”, vedute e panorami del nostro Bel Paese e sui miei giudizi. Cose utili per considerazioni e riflessioni su aspetti da sempre pruriginosi, delicati eppure incancreniti. Come quelli della politica fiscale e retributiva, dei criteri equitativi sempre proclamati dai politici come stelle fisse “d’etterno consiglio” e applicati al contrario, delle inefficienze delle gestioni pubbliche. Esso è dunque più che un pendant, è una diretta continuazione della mia risposta a Giavazzi in “Elezioni, ripartiamo dalla scuola” del 16 febbraio scorso, in cui conclusivamente auspicavo, suggerivo e proponevo come soluzioni particolarissime e necessarie di specifici sfasci partitocratrici della fisiologia legislativa e amministrativa, delle linee di produzione normativa e d’azione istituzionale autoritative immediate e nette messe in opera dal futuro “premier” e dal Capo dello Stato, Napolitano. In questo, con tutti i precedenti prossimi e lontani, non vi possono essere impedimenti di carattere “costituzionale”. E proprio a voler iniziare dalle inefficienze croniche della gestione degli enti locali e delle regioni, come non guardare alla impietosa codardia dei governi centrali, di Roma (anche al governo Berlusconi con i leghisti), che hanno sperperato cifre enormi con i commissari speciali in Campania per l’immondizia che inquina e sommerge mezza regione? Anziché procedere, come di dovere, alla rimozione degli amministratori locali coinvolti, alla loro incriminazione e alla richiesta di indennizzo con la cautelativa e contemporanea richiesta di sequestro dei beni del presidente della regione Campania, dei sindaci, degli assessori regionali e comunali, dei dirigenti responsabili dei settori coinvolti (e dei beni intestati ai loro familiari), i governi centrali hanno ininterrottamente foraggiato amministratori assolutamente inidonei, platealmente incapaci producendo nei fatti una condizione di intralcio, inosservanza, inattuazione, inadempimento delle leggi, formale e sostanziale codificato NON esercizio di attività pubblica, azione criminosa sul piano della oggettiva e perdurante NON difesa della salute pubblica e dell’interesse pubblico (e quanti fra costoro sono direttamente “interessati” allo sfascio da cui ricavano i più “indiretti” benefici e sono collusi alla camorra?).
Rimaniamo in tema di regioni e di comuni. E di elezioni. Francesco Storace ha annunciato la sua candidatura a sindaco di Roma e gioiosamente ha sfidato l’altro Francesco, quello che vive ed ha vissuto in tandem con Veltroni di vernissage, attenzione mediatica e all’immagine all’americana (..alla faccia di Berlusconi) e di scempi architettonici. Storace, verso cui avevo pubblicamente nutrito delle attese sin dal momento della sua candidatura a presidente della regione Lazio (e a suo tempo, al di là dall’appartenenza a differenti lidi politici, verso Rutelli), oggi lancia una sfida a 360 gradi: al candiato del PdL, a Ferrara e agli altri. Ma vuole dire, per carità di Patria, Storace, se vuole governare la capitale come ha governato la regione? Vuole dire ai cittadini se ha avuto ripensamenti e soprattutto pentimenti, e su cosa?
Chiedere il voto e promettere di governare e di amministrare, da un decennio buono e più implica l’obbligo di intendere ciò anche come un controllo rigoroso della borsa, come un esercizio virtuoso della spesa, di contrarre sperperi e debiti. E clientelismi. Storace ha disatteso alla grande tutto ciò. Come le aspettative dei suoi elettori e dei cittadini della regione. Sotto il suo governatorato, non solo le spese aumentarono, con pagine davvero oscene per quanto attiene alla sanità, ma nulla cambiò rispetto a prima. Addirittura, nella politica del personale, ampliò a dismisura le emorragie finanziarie e gli squilibri fisiologici a livelli assolutamente pazzeschi. Con il “federalismo” imposto dai leghisti e attuato alla grande da Bassanini, abbiamo che nelle regioni un funzionario di IX livello o area A è “dirigente” con emolumenti quasi tripli rispetto ai professori e ai ministeriali, e un funzionario di VIII e di VII livello, con posizioni, funzioni, indennità varie porta a casa uno stipendio anche più che doppio rispetto a un altro funzionario pubblico. Non so se queste cose Tito Boeri e Alesina, Giavazzi, Ichino e tanti altri le dicono e le scrivono. Non pago di ciò, Francesco Storace ratificò l’avanzamento a dirigente o a ottavo, se non erro, di circa quattrocento persone – nonostante assolutamente prive di titoli -, per cui oggi la regione Lazio, a fronte di meno di cinquemila dipendenti, può vantare il rapporto dirigenti-dipendenti e funzionari-dipendenti che forse è il più alto a livello planetario e regalarli al terzo e al quarto mondo. Con la lode di Bossi, Maroni, Castelli. E, per non far torto a nessuno, anche di Treu. Eppure, cosa ha or ora gridato ai quattro venti il nuovo presidente Marrazzo? Per di più mentre stanno per rinnovare il contratto dei “parastatali”? Che intende riportare tutto all’ordine con spese aggiuntive, ossia “premiando” con super liquidazioni o rottamazioni d’oro quanti occupano posti che non dovrebbero neanche lontanamente occupare e su cui la Corte dei Conti dovrebbe imporre il risarcimento. E non solo, visto che vi possono essere anche estremi di reato penale (eventuali dichiarazioni mendaci su titoli di studio e/o produzione di falsi titoli). Ritorniamo così brutalmente alla fine degli anni novanta, quando gli enti pubblici e la regione Lazio rottamavano a peso d’oro, salvo poi improvvisamente, con la transizione selvaggia D’Alema – Berlusconi, allungare il periodo lavorativo per tutti.
Storace vorrebbe continuare a ‘sgovernare’ ancora in questo modo? Egli è stato purtroppo l’uomo della disillusione, e come e più degli uomini della sinistra l’uomo del salasso, dell’indebitamento, delle clientele e del malgoverno. Perché non lo dice? Come oggi posso dargli credito, anche se volessi darglielo per motivi amicali o “ideologici”? Eppure con Storace è andata meglio, nel numero, rispetto ai primi anni ottanta, quando sotto la presidenza del consiglio del primo “laico”, Spadolini, avvenne un’infornata al Ministero degli Interni con oltre cinquecento figli e figliocci di prefetti, questori e politici transitati subito in uffici a disposizione del Sisde. Quale carriera hanno fatto in questi venti anni questi signori dovrebbe essere diritto dei cittadini saperlo: trasparenza e non riservatezza e privacy alla “Sisde”. Sulla regione Lazio, non è finita. Da appena un paio d’anni le sue Usl hanno non riconfermato il contratto di lavoro a degli psicologi, per mancanza di risorse finanziarie. E nel 2007 è stato bandito dalla regione un concorso interno, ancora da espletare, per funzionari di “ex” VII (posizione D1). Cosa leggiamo in questa determina regionale? Cose da pazzi o cose da santi? Che, come espressamente indicato all’art. 2 (“Requisiti per l’ammissione alla selezione”) occorre “almeno” un solo anno di inquadramento nella posizione giuridica C di ruolo, e il possesso della Laurea Specialistica o del Diploma di Laurea Breve, ovvero inquadramento nella predetta categoria con almeno due anni di anzianità e il possesso del Diploma di maturità! Ergo, la laurea specialistica è parificata al semplice Diploma di Laurea, laddove nello Stato, ad iniziare dalla Scuola, ad essa è giustamente parificato il titolo di specializzazione della nuova Università. E, somma onestà, la Laurea corrisponde a un solo anno di lavoro del non laureato!
Ecco spiegato il perché l’Italia, pur avendo la più bassa percentuale di laureati dell’Occidente allargato (su dati Ocse), ha la più alta percentuale di laureati a spasso o non inquadrati nel lavoro in base al titolo di studio. Perché meravigliarsi poi se gli avvocati di Roma corrispondono per numero a quelli di tutta la Francia? Ma chi ne sono i primi beneficiari se non i “frequentatori” dei sindacati e dei partiti? Su questo, Boeri, Alesini e gli altri cosa dicono in tv quando sono intervistati e cosa scrivono nei loro articoli? Sono, queste mie, amenità al vetriolo e aperitivi al cianuro o non gli scorci poco suggestivi ma assolutamente realistici fra i trivi e le suburre dei palpitanti ruderi del malaffare dell’Italia repubblicana? Stella e il suo sodale collega hanno scritto da un anno “La casta”, ma altri, me compreso, denunciano e lottano da molti anni e senza posa contro questa logica del dissanguamento pubblico e delle ingiustizie plateali e colossali.
Rimaniamo in tema di elezioni, di programmi e di promesse. Veltroni ha annunciato che, se andrà al governo, abbatterà di un punto l’anno l’Irpef, per tre anni di seguito. Dopo la spremitura fiscale di tesoro, regioni e comuni sa di presa in giro. È un altro vernissage veltroniano, il simpatico pupazzotto di “I care”? Il governo Prodi, nell’accontentare l’ultrasinistra egalitaria (ma il cui establishment allargato vive come e più degli altri di rendite e di parassitismo politico e…Rai), ha introdotto la pazzesca aliquota Irpef del 38% per i redditi superiori ad appena 30.000 euro, ben undici punti in più rispetto a quella che la precede, che è del 27%. In questo modo e “modello sovietico”, esso ha colpito i redditi medio-bassi in maniera estremamente penalizzante, in particolare quello dei professionisti e funzionari pubblici quando arrivano al massimo o quasi della carriera. Cosa significa per costoro l’abbattimento di un punto l’anno, laddove l’intera aliquota dovrebbe essere ridotta da subito a non oltre il 32%? E come non riconoscere a Berlusconi su tutto questo mille ragioni? Inoltre, Veltroni afferma di voler modificare con una legge ordinaria il mercato del lavoro (!) attribuendo un ben preciso “contratto” ai lavoratori precari, tacendo della costituzione e delle norme vigenti. Sulle spese improduttive e sommamente sciocche, non una sola parola sui “soldatini” di professione tenuti davanti alle camere, quando basterebbe utilizzarli solo per l’Altare della Patria e per il Quirinale. (Ciò, come demagogico “simbolo” fuori tempo della “sovranità” del modello del parlamentarismo perfetto, mentre il Paese e le Forze Armate annegano in incredibili ristrettezze economiche.) Sulle nuove regole etiche, circa la non candidatura di politici condannati o inquisiti, siamo a un primo balbettio. Per combattere la partitocrazia e il nepotismo, c’è bisogno di altro ancora e subito: ripristinare il divieto delle cariche elettive e/o amministrative, rendere incompatibili le direzioni burocratiche di amministrazioni pubbliche con gli incarichi elettivi.
E ancora e soprattutto: un albo pubblico relativo ai componenti degli ultimi due governi e delle camere allargato alle loro parentele dirette, da cui emergano i lavori esercitati attraverso la “politica”. E nuove norme, che vietino espressamente di utilizzare in incarichi nell’enorme sottobosco che comprende anche le miriadi di consigli di amministrazione di banche e quant’altro, i figli e i parenti dei parlamentari e dei governanti in carica e dell’alta burocrazia fino al sesto (non al quarto!) grado di parentela E nuove norme che vietino le assunzioni dirette o tramite “concorso” nella Rai e negli altri enti a capitale pubblico di soggetti appartenenti a questa platea. Solo con una chiara e limpida, forte e volitiva, tenace e indefessa “demarcazione” a difesa del “pubblico” si può salvare l’Italia dall’obbrobrio della mafia partitocratica. Non si tratta di verificare solo la parentela di Mastella e di quanti vivono di politica nei nuclei familiari strettamente imparentati (chi ricorda quando Mancino ebbe a rispondere con assoluta tranquillità che l’ “agente segreto” del Sisde, a sua detta in gamba, era un suo “lontano parente” acquisito, pur essendo il figlio della sorella della moglie?), quanto di affermare in maniera definitiva che i clan vanno combattuti e perseguiti senza tregua dalla legge e che i partiti devono operare questa “rivoluzione copernicana”, ponendo fine al ruolo, finora esercitato, di essere al di fuori e al di sopra della legge. Pertanto, delle leggi dei consigli regionali e intere giunte regionali andrebbero abrogate e sciolti. Ritengo che questo dovrebbe essere in primis il caso della Calabria. Ritorniamo alla qualità dell’informazione. Fino a metà anni novanta, la stampa riportava i dati relativi ai rinnovi contrattuali pubblicando come media degli aumenti contrattuali quella del lavoratore con un’anzianità media di 10 anni. Da allora, anche in conseguenza dello scellerato accordo del 1993 che doveva premiare qualità e produttività, furono quasi azzerate le anzianità, arrecando perdite enormi in termini monetari ai “giovani” di allora, cioè ai lavoratori quarantenni e cinquantenni di oggi. Le anzianità massime in media si raggiungevano a diciotto – venti anni di servizio per mezzo di scatti biennali del 6 – 8%. Oggi, gli scatti si conseguono con scaloni anche di otto anni (salvo per i bancari, per quelli della ricerca e pochi altri) e sono stati proiettati fino al 28° e al 35° anno di servizio! Cosa dicono su questo Boeri e Giavazzi? Per tutto il resto, strano a dirsi rispetto a prima, dallo scorso ottobre la Banca d’Italia ha operato una vera rivoluzione informativa e di trasparenza, davvero lodevole, e fra l’altro ha indirettamente bollato come mendaci tutte le dichiarazioni sindacali, confindustriale e soprattutto pubbliche relative all’aumento reale delle retribuzioni in queste ultime tre – quattro tornate contrattuali.
In “Cosa vogliamo” (www.Lavoce.info), Ichino, Boeri, Giavazzi, Onado, Alesina e i loro amici scrivono cose condivisibili. Ma quando ascolto delle loro dichiarazioni in trasmissioni televisive, come quelle rilasciate in più occasioni da Tito Boeri, più che storcere il naso rimango a bocca aperta, come nel caso dei dati che riguardano la scuola, le sue risorse, i suoi problemi, le retribuzioni dei professori delle superiori e delle medie: meraviglia su cose e dati per me fantastici, e sconcerto.
Meraviglia che sopravviene anche nel leggere quanto trovo scritto nel loro sito a proposito delle mancate riforme della Scuola: “Come già in passato, non si è avuto il coraggio di andare in una direzione attuativa dell’autonomia scolastica (trasferendo risorse e responsabilità a livello della dirigenza delle singole scuole) costruendone la precondizione di verifica a posteriore dei risultati”. Cose a mio avviso folli, su cui ho avuto in molte occasioni motivo di scrivere, e su cui mi riservo di ritornare. Senza cadere in un’affermazione apodittica e conchiusa entro un ambito di soggettivo giudizio di natura etico-professionale, non sanno per nulla di cosa parlano, e non sanno soprattutto cosa sia la dirigenza scolastica nelle sue origini e nella sua attuale e reale fisionomia. Per carità di Patria, e per dovere di onestà, con il più completo rispetto dei presidi capaci, quanta gente vi è che non ha mai superato un effettivo concorso da quando cominciò ad insegnare? Quanta gente fra questa era un bravo prof e quanta è passata dall’altro lato per motivi estrinseci all’etica della funzione docente? Ma soprattutto, rimanendo nell’ottica non empirica ma in quella propria agli economisti che scrivono queste cose: 1. l’autonomia scolastica (da me a suo tempo sostenuta in parte) è l’elemento più dirompente e anarchico, se non convogliata in maniera rigorosa entro precisi argini; 2. il preside, non più preside ma mero dirigente burocratico, non ha più a che vedere con la specificità della funzione docente, egli è ormai un “marziano” a scuola; 3. l’attribuzione delle già povere risorse alle singole Scuole, anche in considerazione della miseria retributiva, ha scatenato e scatena deplorevoli e squallidi episodi non poco numerosi, accentua la cottimizzazione del lavoro – di un lavoro spiccatamente professionale che si condensa nel saper insegnare, nel saper valutare, nel non cessare mai di studiare ed aggiornarsi -, svuota di significato l’orario frontale delle lezioni (cioè distrugge la realtà vera e palpitante dell’Istituzione e delle sue finalità ), rafforza passi e procedure compromissorie, amicali, ricattatorie e di divisione e di inimicizia fra molti docenti di fronte a cui metodologie e dietrologie di certa natura poco e nulla possono. Se non aiutare a peggiorare quanto vi è di peggio. Come nella partitocrazia.
Lungo, faticoso itinerario e variegate, inattese prospettive. Spero che per i lettori questo sia stato tempo speso utilmente. Altrimenti, non so, la prossima volta mi converrà chiedere aiuto ad una guida del Touring, per offrire alla vista non le rovine partitocratriche ma le bellezze archeologiche dell’immortale Roma. Roma salvata dai partiti e dalle legioni dei candidati dei piccoli comuni, delle circoscrizioni, dei municipi, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle province, delle province autonome, delle province regionali, delle regioni, delle regioni a statuto speciale, della subpadania, dell’easterpadania, della northernpadania, dei bossi scozzesi, dei valdostani dei ladini degli altoatesini degli slavi degli albanesi dei sardi dei siciliani, dei corsi e dei maltesi (gli unici ad essere più italiani degli altri). Dei vescovi e degli stessi romani.
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