01 Marzo 2008
Domenico Cambareri
(fonte: Parvapolis)
Ma dal Sole24Ore, oggettivamente, ci si aspettava qualcosina di più…
Il Sole 24-Ore ha dedicato di recente (18 febbraio 2008) un’intera pagina all’industria bellica e ai suoi mercati mondiali con articoli, istogrammi, foto e quant’altro, Da un giornale economico-finanziario, anzi dal più importante quotidiano nazionale del settore c’era da aspettarsi tutta un’altra qualità dell’informazione. I dati a cui attingono primariamente i giornalisti, quelli dell’annuario del Sipri di Stoccolma, anche per aggregazioni di archi temporali abbastanza ampi, non rendono infatti minimamente l’idea della realtà odierna delle cose. E per le persone che cercano, desiderano, vogliono un’informazione adeguata e corretta non viene fuori alcunché che possa illuminare su aspetti ulteriori e non secondari rispetto agli export dei soliti noti, i giganti come USA, Russia e, quindi, Francia, Regno Unito e Germania. Specie in relazione ai contesti delle vendite e degli scambi commerciali e del grado di sofisticazione delle liste dei prodotti trattati, delle capacità produttive degli apparati e delle risorse destinate alla ricerca. Per cui il quadro conclusivo è quello di un’informazione generica che guarda un pò al sensazionale e che non soddisfa le esigenze di precisione e puntualità dell’informazione. Anche con le code ai riferimenti a Pechino e New Delhi. Infatti non presenta alcun riferimento a quale attività di export svolgono, a margine dei grandi, alcuni Paesi ex sovietici. Non indica in nessun modo le posizioni detenute nel corso degli anni e che detiene oggi Israele, e la gamma e la qualità dei suoi prodotti. Eppure, quando Il Sole- 24 Ore ha pubblicato i suoi articoli, non era solo un dato a conoscenza degli esperti ma di dominio pubblico che Israele deteneva da mesi e detiene il quinto posto nell’export mondiale degli armamenti. Israele non esporta soltanto nei Paesi latino-americani e in Africa e in Asia ma anche negli stessi “States”, nei Paesi Nato come l’Italia e la Turchia e produce armi ad altissima sofisticazione tecnologica come missili antimissili (unica al mondo dopo USA e Russia). Eppure, ripeto, sul quinto esportatore d’oggi, e su uno dei produttori che detiene un grande apparato bellico e ottime “performances” in termini strettamente economico-finanziari, non una sola parola. Così come nel caso della Corea del Sud, Paese che è definitivamente decollato nell’ambito dell’industria degli armamenti e dell’esportazione, affrancandosi in parecchi settori dalla dipendenza dagli USA. La Corea del Sud, come il Giappone e come Israele, oggi produce jet da addestramento e da combattimento che sono pericolosi concorrenti per i prodotti europei, come nel caso dei nuovissimi ed appena sperimentati Aermacchi italiani. E carri armati che dimostrano un livello di progettazione, sviluppo, produzione non inferiore ai giapponesi e a gli italiani. Seul ha inoltre avviato un poderoso programma di riarmo navale che ha il suo apice nella prossima messa in cantiere di supercaccia, o, meglio, di incrociatori oceanici che avranno una potenza di fuoco enorme ed una tecnologia avanzatissima, sicché la sua Navy sarà tra le prime dieci marine del mondo (in Asia avremo Giappone, India, Cina) in grado di operare a largo raggio con le marine occidentali alleate per garantire i flussi delle materie prime e delle risorse energetiche per essa provenienti totalmente dal mare (caso analogo a quello dell’Italia). Non una parola sulla Spagna, che miete successi nella cantieristica navale, settore in cui ha scalzato da anni l’Italia e in cui gareggia con la Germania (pattugliatori, corvette, fregate). Fra i minori “minori”, non una parola sul Sud Africa e il Brasile, che producono ed esportano armamenti, anche aerei, nei Paesi del Terzo e del Quarto mondo che sono in grado di contribuire alla perdurante, endemica destabilizzazione di intere regioni poverissime non meno delle armi che lì arrivano provenienti dalle industrie dei maggiori produttori, dalle due Coree, dalla Cina, da Israele, dall’Iran e dalla filiera di industrie di Paesi minori appartenenti all’ex blocco sovietico.