16 Febbraio 2005
Domenico Cambareri
(fonte. Parvapolis)
Retrospettive con grandangolo. Domenico Cambareri: «Le Foibe, ovvero il sottile filo rosso da Mosca a Roma via Belgrado-Trieste…»
Il tumultuare delle cronache politiche e storico-politiche di questi giorni è stato più di un fiume in vorticosa piena, travolgente di passioni non sopite e di adeguamenti politici troppo repentini, profondi e poco convincenti. Nel tam tam mediatico per i giovani sarà stato difficile districarsi, salvo storie di famiglia, simpatie preesistenti o poco possibili conoscenze storiche e poco probabili militanze politiche. È stata per me quindi una scelta di motivata opportunità, nell’aver messo a tacere il ribollire della memoria e delle personali passioni giovanili di allora e delle assolutamente impari lotte di “militanza politica” e di italianità, senza mai imporre una coincidenza generale e forzata dei due termini. Posso tentare di inquadrare tutto questo, con dei sintetici punti, in cui lo stemperarsi delle passioni consente comprensioni più aperte.
1. Non è vero che delle foibe non si sapeva nulla. Si sapeva, ma si imponeva di non dire e di non far sapere a chi non ancora sapeva. Nei primi anni cinquanta, i cinegiornali Luce proiettavano sui grandi schermi cortometraggi sulle stragi e sull’appena avviata riesumazione di cadaveri, e sulla fiumana di profughi. Se ne parlava, anche perché allora fummo sul punto di avere un conflitto con la Jugoslavia e ad una parte delle truppe era stato ordinato di muoversi per prendere posizione. Sbaglia il prof. Claudio Magris, intellettuale e politico di rango, triestino, di sinistra, a dire che nella divulgazione delle notizie i riformisti furono schiacciati da un lato dai comunisti che imponevano il silenzio, e dall’altro dall’estrema destra che monopolizzava la divulgazione della tragedia. Claudo Magris, che ha vissuto tragedie su tragedie, sa molto, molto meglio di me che le cose non stanno così. Infatti nessuno poteva imporre ai riformisti il silenzio. Essi se lo imposero nel corso degli anni da soli, nella subalternità voluta e subita verso i comunisti: tutti, fino ai democristiani, lasciando esclusivamente soli, semmai, gli esponenti di destra. Tra gli anni sessanta e ottanta sono stati gli uomini di destra e soprattutto i giovani di destra a tenere viva nella memoria della Nazione, ma di una parte non ampia della Nazione, la realtà di quella tragedia, poi appunto taciuta o perfino negata. Sbaglia ancora nel ricordare che è da ricordare pure quanto consumarono gli italiani di infamia e crudeltà. È indubbio che non bisogna nascondere i nostri misfatti, ma è indubbio che bisogna puntualizzare anche che le guerre di occupazione da sempre comportano le rappresaglie nella lotta alle azioni di guerriglia e di terrorismo. E che l’occupazione fu meno cruenta durante la prima fase rispetto alle crudeltà che si arrecarono le etnie slave nelle loro lotte intestine. E, soprattutto, che bisogna allora necessariamente includere quanto consumarono gli austriaci contro gli italiani del confine orientale fra fine ‘800 e inizio ‘900, anche con lo spostamento di popolazioni slave dall’interno lungo la costa. Sbaglia ancora di più Ferrara, liberale e democratico giornalista ricco di passione e forse di un ricco subconscio stanilista nel non far liberamente parlare la storica triestina e di imporle le risposte che vuole e che “vogliamo”. Sbaglia ancor di più Chiti nel replicare a Gasparri con i riferimenti obliqui e scontati quanto fuori luogo ai repubblichini e ai nazisti. La cosa è semplice e ormai al di fuori dalle demagogie per preservare il culto di Togliatti. Il “migliore” fu implicato nelle persecuzioni e nelle purghe interne in Unione Sovietica contro altri comunisti italiani, e con lui la quasi totalità o la totalità del PCI era pronta a condividere il sogno titoista della Jugoslavia fin oltre Trieste, fino a Monfalcone e, chissà, a Venezia. Questa pagina di tradimento sistematico della Nazione e della Patria da loro “liberata” è rimasto macchia indelebile e imperdonabile: non basta cambiare nome e cambiare partito e nome del partito, non basta aver votato gran parte dei comunisti “ex” la legge sulla Memoria delle Foibe: bisogna aperti verbis dire e scrivere la condanna della storia di un partito e dei suoi uomini che furono sempre pronti ad obbedire a Mosca e a tradire la causa della libertà, dell’unità e dell’indipendenza della Nazione. Senza vanagloriose, velleitarie e insussistenti “liberazioni”. Altro che 25 aprile! Per di più, tanto è aumentata la forza politica, culturale ed elettorale del PCI, fino allo “strappo elastico” da Mosca, tanto aumentava la coltre del silenzio, la rimozione imposta, la negazione dell’identità nazionale, fino ad arrivare al tanto agognato ma infame trattato di Osimo, con cui si “rinunciava” all’italianità di terra sovrana sotto mera occupazione e “amministrazione” titina.
2. Le recenti, veloci trasformazioni avvenute nell’ambito del polo di centro-sinistra, non possono che essere ben accolte. Il rafforzamento della Margherita e soprattutto la decisione dei DS di inserire nel loro simbolo la dicitura “Partito del Socialismo europeo” sono avvenimenti di indubbia rilevanza politica e storica. Rimane il fatto che fra i DS vi è una minoranza agguerrita che non recede e che guarda sempre con simpatia a Cossutta e a Bertinotti. Lascia però costernati il vedere il perdurare del non voler venire a un leale confronto con il passato storico di una forza il cui patrimonio genetico è stato sempre visceralmente antisocialdemocratico, mentre oggi i DS si presentano come i campioni della neo-socialdemocrazia. Passato storico che, nella sua scaturigine esplosiva e sicuramente terribilmente esaltante, fu la causa detonante delle rivoluzioni-reazioni al pericolo bolscevico, quella fascista e quella nazista, che sottrassero Italia e Germania alla più che ipotetica egemonia comunista, ben più terribile, fanatica e criminale di quella nazista. Rimane altresì fattore privo di risposta, ancora una volta, purtroppo, il quesito che si pone e si impone a questa nuova coalizione che eredita la maggiore pecca della sua precedente formulazione: come potrà governare l’Italia, se vincerà le elezioni, se in tema di politica estera, di difesa, di alleanze, di industria e di approvvigionamento e di consumi energetici, di costo del lavoro e di altro ancora al suo interno vi sono posizioni ampiamente divergenti se non divaricate e comunque non adeguate alla risoluzione dei problemi sul tappeto? Dovrà governare facendo sistematico ricorso ai voti dell’ “opposizione” del Polo delle libertà? Dall’intervento in Jugoslavia alle votazioni sul rifinanziamento della missione in Iraq di questi giorni, abbiamo la cruda contezza di come il due di briscola dei verdi-ultrarossi di Pecoraio Scanio e i comunisti di Diliberto e Rizzo controllano di fatto una colazione e ne condizionano i destini verso esiti di marginalizzazione europea e di fallimento. Decisioni più coraggiose, verso cui pare volesse muoversi Rutelli, sono state spuntate da Prodi: si vedrà se lo stratega dell’Ulivo-Unione rimarrà intrappolato nella rete dell’estrema sinistra.
3. Sulla strage fatta con benzina che brucia e non esplode come la polvere da sparo, emergono le mostruose montature di una sinistra completamente fagocitata dal Partito Comunista, o, più precisamente, dall’ultrasinistra. E’ da dire che, paradossalmente, in quei giorni e in quegli anni, si potevano trovare interlocutori più razionali in alcuni dei capi e dei quadri comunisti che in quelli del PSI. La paranoia antifascista portò a tanto, nella certezza di essere vicini alle condizioni di uno scatenamento della rivoluzione rossa. Il tema della faida interna è storicamente uno degli strumenti più ricorrenti nella letteratura giustificatoria comunista, quantomeno a partire dall’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, come ha esemplato il famoso intellettuale comunista Canfora fino ai nostri giorni. Così fu nel caso dell’assassinio dei missini nella sede padovana. Lo scatenamento bestiale dell’odio e dell’istigazione ad uccidere era continuo, era ovunque, era martellante: irraffrontabili le dimensioni dei due fenomeni – di sinistra e di destra – nella genesi, nella potenza umana e materiale, nella capacità di organizzare i continui, falsi colpi di stato segreti sempre sventati e sempre abortiti, nell’organizzazione di massa e nel condizionamento mediatico. Falso, sempre falso il tacere delle immani e in gran parte ancora sconosciute responsabilità di settori della DC – ad iniziare del fanatico, forsennato ex fasci”nazista” Taviani -, il ministro degli Interni democristiano-partigiano, ideatore e propugnatore dell’esistenza di un solo estremismo, di un solo pericolo, quello neofascista. In un quadro di cortei bramosi di sangue e di evocatori di morti – cosa dicevano non solo Piperno e Avanguardia Operaia, cosa dicevano i capi di Lotta Continua e assassini di Calabresi, Adriano Sofri, l’anti-Socrate vivente, e Ovidio Bompressi, e il peggiore dei “maestri”, Tony Negri, tutti espressione insuperata dell’imbarbarimento di gran parte del ceto “culturale” che vive ancora fra disastri, sventure, abiurie e nuove verginità, scuola non ultima? Davvero uomini per tutte le stagioni e per ogni sporco affare. Sul rogo di casa Mattei. I processi si rispettano, anche se abomini giudiziari? Anche se frutto di giustizia politica? La strage o l’imperizia della benzina che fa il “botto”? Cosa è criminale, quale intelligenza giudiziaria è fallace o volutamente, passivamente complice? E dove gli altri responsabili? E dove l’imprescrivibilità delle pene?
Domenico Cambareri
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