29 Ottobre 2004
Domenico Cambareri
(fonte: Parvapolis)
Benvenuta nuova Europa. Domenico Cambareri: «Un incontro delle genti e delle culture. E finalmente senza imposizioni di culti o fedi»
Anche se per natura non si è forse portati all’ottimismo, anche se le crude esperienze
della vita impongono un altrettanto crudo realismo, e più che mai in questi mesi e in questi
giorni, oggi non sarà cosa da poco essere ottimisti. Non solo bisogna esserlo, ma è bene
che lo si sia in modo immediato e con tanta giovialità.
Infatti, la firma della Costituzione europea da parte dei rappresentanti delle
ventinove nazioni che vi fanno parte rappresenta la conclusione di un passaggio storico
davvero epocale, che a sua volta inaugura l’inizio di una nuova lunga storia. Il futuro
ingresso di Bulgaria, Romania e Turchia, oggi presenti alla cerimonia del Campidoglio,
e della Croazia, presente solo in veste di osservatore, darà un ulteriore contributo
all’edificazione dell’Europa dei popoli. Europa che non risulta essere più un termine
meramente geografico, che sta ad indicare da millenni la penisola più occidentale
dell’immenso continente asiatico, o al massimo etnogeografico, ma che risulta essere
invece un termine etno-politico-culturale storico e al contempo palpitante. Termine
che, nel riferimento necessario alle correlative civiltà, tende a comprendere con
ottimi motivi anche le regioni da cui in parte sorsero e si irradiarono dall’antichità
le direttrici più importanti della civilizzazione europea. Intendo riferirmi all’Asia
minore o, dall’età moderna in poi, Turchia: ieri centro di diffusione della protostoria
mediterranea e delle sue rivoluzioni tecnologiche, oggi punto di raccordo fondamentale –
attraverso l’unico paese musulmano ad essere laico per costituzione politica e consuetudine
culturale, la Turchia appunto – fra l’Europa e gli altri popoli e le altre grandi culture
e organizzazioni politiche asiatiche.
Questa nuova Europa acquista inoltre un connotato particolare nella sua identità, che
è quello della pluralità delle posizioni e delle scelte in materia di culti e di fedi.
Questo passaggio pone in risalto la definitiva nuova condizione a cui perviene
nell’Unione ogni singolo soggetto, ogni singolo uomo, in piena autonoma con le molteplici
tradizioni ancora più o meno fortemente radicate nei diversi territori dell’Unione e in
maniera più o meno diversa recepiti dalle consuetudini e dalle norme nazionali. La
molteplicità dei culti presenti, per quanto in prevalenza ancora di natura cristiana,
non sfugge all’esigenza dell’omologazione in positivo, ossia riconoscendo a ciascuno
di essi una dignità che non va a scapito di altri.
A me piace vedere in tutto questo un recupero pieno della storia antica, prima e
indipendentemente dalla cesura causata dall’istituzionalizzazione politica della
fede cristiana, a partire dal quarto secolo d.C. Piace immaginare di “rivedere”
il recupero della etnografia ellenica, e poi latina, ma in una condizione di
allargamento conoscitivo, relazionale, di affratellamento nei futuri destini del
nostro oggi: quelli che erano un po’ indistintamente a nord i popoli iperborei
e tutti gli altri ad oriente, dalle basse rive del Ponto Eussino dove fece ritorno
l’allievo di Pitagora, Abaris, e dalle pianure scite ai monti degli armeni, e dall’Eridano
ad Ausonia, ancora oltre, ai celtiberi fino agli scoti e da lì fino all’estremo
nord scandinavo. Piace vedere la pluralità dei culti e delle vie iniziatiche
e della libertà non conculcata di aderire ed essere accolto in quella devozione e
pratica religiosa più sentita dall’intimo di ciascuno. Non abbiamo oggi più bisogno
di Argonauti, ma questo integrale recupero ci segna benigno come una novella anabasi.
Mi piace ancora vedere la naturale condizione dei popoli germanici raccontataci da Tacito,
e quello che secoli dopo fu detto dei giovani popoli dell’oriente europeo. Mi piace
vedere ricomprese le polis elleniche, i comuni italiani e anseatici, i cantoni svizzeri
e non di meno l’arditezza poetica delle epopee e delle gesta eroiche e dei grandi imperi.
Il mito di Zeus ed Europa ci nutre nei grandi miraggi dei miti che hanno nutrito
i millenni dei nostri antenati e che intrecciano uniscono disperdono e dividono come
le rotte di mille Palinuro.
Oggi, tutti questi popoli stanno raccolti per volontà espressa e perseguita in un’unica
nuova grande famiglia. L’ecumene europeo ci fa agognare quello che ancora manca,
le calde sponde d’Africa, le vestigia di Cirene, di Lepitis Magna, delle città della
Numidia e della Mauretania.
Dal 1952, anno di nascita della CECA, dal 1957, anno di nascita della CEE, all’Europa
quindi dei nove, dei dodici, dei quindici… fino al recente Trattato di Maastricht e
al recentissimo incipit di Nizza del 2000, la strada percorsa pare essere incredibilmente
immensa.
Le divisioni interne sui tanti problemi sul tappeto non devono fare demordere dal
perseguire gli ulteriori obiettivi, i disaccordi non devono sfociare in discordie,
l’eccessiva pluralità non può imporre il frazionamento e l’ingovernabilità,
il diritto paritario dei soggetti deve fortemente riconoscere l’esigenza di
introdurre principi atti a prevenire pericolose distorsioni e i ruoli e pesi
realisticamente differenziati.
Fra i tanti, ne abbiamo dinanzi uno: la molteplicità delle posizioni in politica estera.
La diversità delle posizioni non solo in merito alla questione irachena ma anche in
merito alla riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Proprio questo tema sta
snervando in questi mesi le diplomazie. Senza conclusione positiva alcuna. E su questo
avremo immediata occasione di parlare e di confrontare le inadeguatezze e
le insufficienze delle politiche dei maggiori partner europei e degli USA, e
in particolare la linea d’azione italiana che mira a giocare troppo di sponda senza
avere il necessario coraggio di dire che a noi spetta non di meno il seggio permanente
al Consiglio di Sicurezza, e non già all’Unione europea per questo aspetto ancora
Unione semi-virtuale, fino a che al posto di Regno Unito, Francia, Germania e Italia
non vi sarà davvero come soggetto di politica internazionale a tutto tondo solo l’UE.
Per tutti e quattro e per tutti gli altri .
Per intanto, per quanto non abbiamo la migliore Costituzione auspicabile, ma sicuramente
la migliore al momento possibile, la migliore quasi miracolosamente condivisa,
brindiamo al futuro di quello che sarà un nuovo unico popolo, nato da popoli
non più vicendevolmente barbari. Popolo che non cancellerà mai il colore, il calore,
l’amore per la propria terra e la propria Patria, ma lo allargherà e al tempo
stesso lo innalzerà.
Bentornata dunque Europa, ben rinata Europa, benvenuta nuova Europa!