26 Giugno 2007
Domenico Cambareri
(fonte: Pavapolis)
UE: basta ricatti e fallimenti, è il momento storico dell’Europa a due velocità. Ma niente concessioni al confessionalismo…
Il summit dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea organizzato dalla Germania si è risolto in un completo fallimento. La bocciatura della Convenzione del 2004 avvenuta con i referendum francese ed olandese è stata solo un comodo strumento, un facile cavallo di Troia utilizzato in misura minore dagli olandesi e da Sarkozy, in misura maggiore dagli inglesi, in misura assolutamente abnorme, riprovevole e ingiustificabile, sin oltre il ricatto, dai polacchi. I molteplici tentativi di mediazione esperiti dal cancelliere tedesco Merkel, che ha avuto particolarmente vicina l’Italia e in posizione più smarcata Spagna e Francia, dunque sono serviti a nulla. Infatti la posizione di Varsavia, di vera e propria aggressione alla realtà e alla storia della Comunità Europea e dell’Unione Europea, di plateale dimostrazione di ingratitudine verso le Nazioni occidentali che sempre tanto hanno fatto per essa, l’ancor più grave e giammai giustificabile tentativo strumentale e propagandistico di retrodatare i contenuti politici e storici alle vicende delle seconda guerra mondiale, hanno rivelato il volto di una conduzione politica megalomane che dimostra di non aver minimamente fatto propria la cultura politica, le sue metodologie e soprattutto le origini e le finalità del processo unitario e di essere anzi refrattaria a tutto ciò. Mai si era caduti così in basso. Aver preservato parte dei principi della Carta del 2004 è oggi cosa di poco conto, visto che vi è stato un indietreggiamento clamoroso e impensabile. Non sono stati infatti confermati aspetti prioritari e assolutamente irrinunciabili quali: l’inno e la bandiera dell’Unione Europea, la creazione del Ministro unico per la politica estera e di sicurezza, la data del 2014 (che semmai andava anticipata) come inizio del nuovo metodo di votazione con l’abolizione dell’unanimità. Dopo questa prolungata ubriacatura dei responsabili istituzionali polacchi che “volevano contare di più”, interessa per adesso poco se vi sarà in essi e nel mondo politico di Varsavia un ripensamento e un ritorno alla “radice quadrata” di un barlume di ragionevolezza senza aspettare il nuovo, lontano traguardo del 2017. Per quanto riguarda il ruolo svolto dal Regno Unito, si comprende che Blair ha dovuto tener forte per le pressioni degli euro-scettici “anglo-scozzesi”. Ma anche qui siamo di fronte a pressioni ingiustificabili. Se è comprensibile l’opposizione per preservare la struttura e la tradizione del diritto comune vigente nel Regno, così non è per la lotta di Londra al ruolo e alla durata della presidenza unica dell’Unione ma, soprattutto, al ruolo di maggiore rilievo che l’Unione avrebbe dovuto svolgere e dovrebbe svolgere nel contesto mondiale attraverso il Ministro per la politica estera e la sicurezza. Il minimalismo inglese è inspiegabile, come inspiegabile è il tono e il contenuto del messaggio rivolto agli inglesi recentemente da Blair come messaggio di commiato. Un testo tronfio di immotivato orgoglio e di boria fuori tempo e fuori secolo. Individuare le responsabilità, come si vede, è cosa molto semplice, ma non è cosa affatto sufficiente. Si tratta di affrontare le logiche distorte e le visuali parziali e antieuropeistiche che stanno alla loro base e rigettarle con forza. Mentre il quadro geopolitico planetario cambia radicalmente e prospetta scenari relativi alle risorse energetiche, agli andamenti demografici e a quelli tecnologici e degli equilibri militari ed economici di non poco conto e di grande complessità, alcuni Paesi dell’Unione Europea ci costringono a giocare a mosca cieca. Il Regno Unito da solo è men che un’anatra zoppa, e così la Francia. È bene che Londra e i sudditi di sua maestà britannica ne prendano definitivamente e velocemente atto, salvo volere apertamente svolgere il ruolo di una “provincia” degli USA a tutti gli effetti. Si impongono decisioni sempre più urgenti e definitive, e a nulla serve l’appena acquistata decisione di dotare l’Unione di “personalità giuridica”, se essa è un morente tenuto artificialmente in vita. Il Regno Unito potrà svolgere un nuovo grande ruolo di rango mondiale, così come la Francia, esclusivamente nella nuova, superiore sintesi e realtà storica palpitante costituita dell’Unione Europea. Basta con le balordaggini e le dietrologie delle superpotenze in pollici. Basta con quello che possiamo ormai considerare la logica della parcellizzazione e della polverizzazione dei micronazionalismi. La carica di Ministro unico degli esteri e della sicurezza esterna è da recuperare a qualsiasi costo; essa dovrebbe avere una durata almeno triennale onde consentire un’adeguata continuità nel tempo dell’attuazione della diplomazia dell’Unione e consentire la stessa continuità durante le fasi di passaggio da una presidenza dell’Unione alla successiva. È da considerare la possibilità di attribuire la carica, al fine di assicurare con un ipotetico “al meglio” il passaggio dalle diplomazie plurime a quella unitaria, dapprima a un inglese e poi a un francese (o viceversa), e quindi, dopo costoro, con un processo di alternanza “non paritaria” rispetto agli altri Stati, ma con la condivisione dei co-fondatori Belgio e Lussemburgo, per i successivi quattro mandati, a rappresentanti di Germania, Italia, Olanda, Spagna. L’Italia, dal canto suo, dopo tanto interminabile inconcludente parlare e promettere, farebbe bene a convertire immediatamente i suoi bilanci in ordine alla difesa esterna, all’istruzione secondaria, all’università e alla ricerca, agli standard inglesi e olandesi e ad avviare un adeguato processo di innovazione e potenziamento delle sue forze armate, aumentando la cifra complessiva degli uomini a 220.000 dagli attuali inadeguati 190.000 (contradditorio, fallimentare e assurdo abbassarli a 160.000), onde svolgere all’interno dell’Unione il ruolo che le spetta, con le dovute responsabilità e con i dovuti oneri. Cosa essenziale al fine di continuare a svolgere mandati e missioni di interposizione e di pace cari anche alla sinistra e alla sinistra estrema nostrane. In maniera più precisa, l’Italia dovrebbe dare il via entro un decennio alla costruzione di due portaerei di classe media gemelle di quelle inglesi già avviate, al fine di realizzare con le portaerei francesi e inglesi attorno agli anni trenta del secolo il vero “braccio lungo” della politica estera e di difesa dell’Unione, in grado di operare in base alle esigenze in qualsiasi parte del pianeta per prevenire crisi anche sotto egida ONU e per proteggere gli interessi europei nei modi più acconci. Per di più, onde consentire un contenimento delle spese e al contempo avviare l’effettiva nascita di forze aeronavali europee integrate, il parco velivoli imbarcato potrebbe essere costituito sin dall’inizio anche da velivoli di altri Paesi, come Olanda e Germania. Se l’apertura ai Paesi dell’Europa orientale è stata repentina e quasi frettolosa per molteplici motivi di forza maggiore, è bene che da quest’ultima crisi politica europea proprio costoro traggano le dovute riflessioni e lezioni, dissociandosi dalla politica polacca. La crisi, con gli antecedenti immediati riferibili ad altri contesti apparentemente non collegati, deve consentire anche di definire il quadro generale degli obblighi per la sicurezza europea, obblighi che devono avvenire entro il quadro Nato e il quadro Unione Europea. Fermo restando ancora il principio di sovranità in politica estera di ogni singolo Paese, più come petizione di principio che come applicazione effettuale e specifica, è giunto “contestualmente” il tempo di definire incompatibile con la partecipazione all’Unione Europea un rapporto privilegiato bilaterale tra un singolo Paese e uno Stato esterno all’Unione, ove questo rapporto bilaterale venga a riguardare ambiti della sicurezza internazionale a carattere strategico. È il caso della Polonia, ancora una volta, e delle Repubblica ceca, che avevano dichiarato la loro disponibilità a fornire basi di lancio per i missili antimissili USA al di fuori dal contesto NATO e, soprattutto, dell’Unione Europea. La crisi apertasi si trascinava già di fatto da mesi, e l’accordo, il cosiddetto accordo raggiunto ha solo suggellato l’attuale stato di crisi. Ma questa è una strada non percorribile ulteriormente, in quanto si sa che non porta da nessuna parte. È giunto quindi il momento di dare il via all’Europa a due velocità. Da un lato, i sei Paesi fondatori della CEE e quanti altri fra gli Stati via via associatisi ritengono di condividere in pieno le loro scelte, dall’altro i Paesi che al momento sono riluttanti o scettici. Ma al bando il voler contare di più della Polonia e di chiunque altro. Anche il Regno Unito, con la nuova giuda di Gordon Brown, non potrà più sottrarsi dall’operare una scelta chiara e decisiva.
Domenico Cambareri