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AIRESIS: LE RAGIONI DELL’ERESIA
Paolo Aldo Rossi – Ordinario di Storia del pensiero Scientifico – Università di Genova
E’ venuto il tempo di chiamare un sito web www.airesis.net ovvero eresia in rete.
Il significato letterale del termine (che deriva dal greco airesiς – airesis) significa “ scelta” (dal verbo airew = scelgo, preferisco, approvo una opinione, eleggo una parte politica …).
Il concetto di “airesis-scelta” è strettamente legato a quello di “dùnaton-possibilità”, solo dove c’è l’una ci può essere anche l’altra. La scelta-possibilità è una delle indicazioni fondamentali del concetto di libertà e di libero arbitrio.
Platone, nel mito di Er, fa dipendere l’intero destino dell’uomo dalla preferenza che egli fa del modello di vita (o di virtù) che gli è più proprio: “Per la virtù non ci sono padroni: ciascuno ne avrà più o meno a seconda che la onorerà o la trascurerà. Ciascuno è l’autore della sua scelta, la divinità è fuori causa … Non c’era nulla di necessariamente preordinato per l’anima perché ciascuna doveva cambiare secondo la scelta che essa faceva ” (Rep., X, 617 618 b). E Aristotele afferma “Nelle cose infatti in cui l’agire dipende da noi, anche il non agire dipende da noi; e là dove siamo in grado di dire no, possiamo anche dire si. Sicché se il compiere un’azione bella dipende da noi, dipenderà da noi anche non compiere un’azione brutta … l’uomo è il principio e il padre dei suoi atti, come dei suoi figli ”e la scelta“ è sempre accompagnata dalla ragione e dal pensiero” (Et. Nic., 111, 5, 111,3 b, 112 a 15-16)
Poi, a poco a poco, eresia cessa di significare una scelta, fatta da un uomo libero, fra varie possibilità, per diventare l’assenso ad una verità incontrastabile e indiscussa che, risultando socialmente e universalmente vincente o ,diviene anche eternamente vera.
Hobbes nel Leviatano scriveva “Quelli che approvano un’opinione privata la chiamano opinione; ma quelli che la disapprovano la chiamano eresia”. Ovvio che la retta opinione è la mia (o la nostra “ortodossia” o retta opinione), invece l’eterodossia è quella degli estranei, degli altri, dei diversi che a lungo andare finisce con il diventare eresia (ma con il nuova significato di dottrina erronea, sacrilega, bestiale … ).
L’eresia – diceva Voltaire – è “frutto di un po’ di scienza e un po’ d’ozio” perché tipico del lavoro scientifico è lo scegliere e determinazione specifica dell’ozio è il sognare.
Un tempo, nei primi anni ’80, esisteva una famosa rivista mensile dal titolo “Abstracta: curiosità della cultura, cultura della curiosità“. A quell’epoca, dove non esistevano i siti in Internet, le riviste si stampavano su carta e, come si sa, i prezzi dell’arte tipografica erano molto alti, specialmente per pubblicazioni di elevato livello grafico e di notevole parametro di scrittura. Abstracta non era solo una rivista graficamente bella, ma era anche contenutisticamente il meglio che la cultura italiana avesse mai prodotto in quel campo: l’ambito degli studi sul pensiero “altro”
:
a) lo studio di sistemi di razionalità “altre” rispetto all’attuale modello della razionalità scientifica;
b) la ricostituzione dell’originale portato semantico dei linguaggi magico-esoterici sia sotto l’aspetto storico che sotto l’aspetto simbolico;
c) l’indagine delle tecniche del corpo e della mente come vie verso il rapporto con il numinoso;
d) L’esplorazione delle molteplici modalità proprie dell’esperienza religiosa e della sapienza mitica;
e) L’analisi delle interazioni specifiche tra complessi culturali attivi nello stesso ambito storico-geografico e l’analisi delle loro rispettive stratificazioni;
f) lo studio dei meccanismi consci ed inconsci attraverso i quali la cultura discriminata si difende dalla rimozione operata dalla cultura dominante e si rigenera costantemente.
E il tutto attraverso la ricostruzione storica delle discipline prese in considerazione, ma come ci ammoniva il Burckhardt: “Ciò che un tempo fu gioia e dolore, ora deve diventare conoscenza, come del resto è anche la vita del singolo. Così anche la massima: Historia magistra vitae acquista un senso più alto e al tempo stesso più modesto. Mediante l’esperienza vogliamo divenire non tanto accorti (per un’altra volta) quanto piuttosto saggi (per sempre)”
In questa prospettiva Marc Bloch, al fanciullo che chiedeva: “Papà a cosa serve la storia?” non avrebbe potuto dare altra risposta che quella cartesiana circa l’inutilità di un sapere basato esclusivamente su esperienza e memoria e, quindi, condurre il tema alle sue estreme conseguenze logiche affermando con il Fontenelle: “Chiunque avesse abbastanza spirito studiando semplicemente la natura umana indovinerebbe tutta la storia passata e tutta la storia futura, senza avere mai inteso parlare di nessun avvenimento”. Al contrario, come sappiamo, Marc Bloch assume la domanda del fanciullo come epigrafe ad un libro che porta il significativo titolo: Apologia della storia o il mestiere dello storico, nel corso del quale egli ricerca il senso della storiografia nel lavoro quotidiano dello storico ossia nella costante appassionata ricostruzione di un passato che si svela con toni di cangiante iridescenza proteiforme e mai come costante ripetizione di eventi sempre simili a se medesimi. Quest’ultima è sicuramente la storia di una colonia di insetti costretta da sempre alla rigidità dei comportamenti istintuali, non certamente quella del destino dell’uomo che gravido di scelte non può essere la somma di rigide prescrizioni sul presente.
In uno dei più suggestivi testi vedici Krisna indica al discepolo Arjuna i cinque oggetti di studio della Bagavad-gita: l’Isvara (il Signore supremo), lo jiva (l’anima individuale), la prakrti (la natura materiale), il Kula (l’eternità) e il karma (l’azione). Solo il karma, fra questi, non è eterno né immutabile, esso è la rete che imprigiona gli uomini nell’agire temporale, nel ciclo delle nascite e delle morti dove l’azione comporta tutta una serie di incalcolabili conseguenze e modificazioni sull’intero contesto; in altre parole esso è la storia.
E’ vero che gli uomini nascono, amano e muoiono, ma il modo in cui tutto questo avviene è sempre diverso, in quanto l’uomo è libero di scegliere sapendo di essere responsabile delle sue scelte e possiede una intelligenza in grado di creare. P. Ricoeur scriveva: “La storia non è storia se non nella misura in cui essa non ha avuto accesso né al discorso assoluto, né alla singolarità assoluta, nella misura in cui il senso ne resta confuso, mescolato… la storia è essenzialmente equivoca nel senso che è virtualmente evenementielle e virtualmente strutturale. La storia è per davvero il regno dell’inesatto. Questa scoperta non è inutile, giustifica lo storico. Lo giustifica di tutte le sue incertezze. Il suo metodo non può essere che il metodo inesatto. La storia vuole essere obiettiva e non può esserlo. Vuole rendere le cose contemporanee, ma al tempo stesso le occorre restituire le distanze e la profondità della lontananza storica. Alla fine questa riflessione tende a giustificare tutte le aporie del mestiere dello storico. Queste difficoltà non riguardano vizi di metodo, ma sono equivoci ben fondati”.
Ad Abstracta collaboravano (ovviamente pagati, anche se molto poco) duecento studiosi di cui la metà erano professori di varie università, italiane e straniere, ricercatori e esperti di storia del mondo simbolico e magico, giornalisti e cultori delle varie materie, la filosofia, la scienza, la storia, l’antropologia, le religioni, la letteratura … E’ chiaro che non erano iniziati, adepti, seguaci, discepoli, proseliti di “qualcosa e qualcuno” …ma solo dei seri studiosi. Se poi nel privato fossero tifosi della Lazio o della Juventus, gli piacesse il Pippo Baudo o i films di Fellini e Bergman, votassero per Andreotti o per Berlinguer, credessero nel cristianesimo, nell’islamismo, nel buddismo e nello sciamanesimo, aderissero all’esoterismo, alla cabala, alle dottrine misteriosofiche e occulte o leggessero Diabolik o Spider Man non aveva nessuna importanza.
L’unica cosa da noi richiesta è che fossero “storici” e che lavorassero con impegno e coscienziosità. La stessa che ancor oggi richiediamo.
“Non v’è esercizio intellettuale – scriveva Jorge Luis Borges in Pierre Menard autore del Chisciotte – che non sia finalmente inutile. Una dottrina filosofica è dapprincipio una descrizione verisimile dell’ universo; passano gli anni e si riduce a un capitolo o magari un paragrafo o un nome nella storia della filosofia”.
Puntuale e caustico, come gli è d’abitudine, il Grande Bibliotecario sintetizza così la sottile vendetta che la storico può prendersi sul filosofo. Nei brevi spazi del sincronico, la filosofia ha sempre escluso e relegato la storia ai margini di quell’itinerario di pensiero il quale, dopo aver riconosciuto che l’immediato non è l’originario, crea e sistematizza la conseguente necessaria ed incontrovertibile teoria fondazionale su cui si regge l’ inevitabile Weltanshauung definitiva (o almeno quella, di volta in volta, reputata tale). Sul lungo periodo, il diacronico in cui ogni weltanschauung supera quelle che l’hanno preceduta ed è a sua volta superata dalle successive, lo storico si ripaga concedendosi il privilegio di compilare un suo elenco “ragionato” delle “grandi visioni del mondo” ed una propria interpretazione e valutazione di queste, condotta secondo il metro con cui è solito misurare ciò che fa parte del proprio universo d’oggetti: la descrizione, sub specie contingentiae, del mondo umano nel processo del divenire. Egli può allora erigersi a “pantocratore” di tutti coloro che hanno giudicato l’universo adattandolo e costringendolo nei loro sistemi. Così facendo, utilizza una propria, per quanto inespressa, visione del mondo, ingenuamente reputata capace di contenere, sotto l’ala di una generale filosofia della storia tutte le altre che l’hanno preceduta. Sfortunatamente la figura del Protrepticon aristotelico sta sempre in agguato e gioca ineluttabilmente il ruolo che nella mitologia greca era stato affidato alla Severe Signore Gendarmi di Dike. Un perfido circuito a “strano anello” in cui, inaspettatamente, salendo o scendendo i gradini di una gerarchia fatta di filosofi che hanno ricostruito l’originale progetto “divino” del mondo e di storici che hanno esaltato, sfumato, riposizionato o cancellato dalla storia alcune di queste ricostruzioni, ci si ritrova al punto di partenza: la costruzione di un sistema che vuole fondare, nell’identificazione con la propria rappresentazione, il fondamento stesso del suo essere. Come Narciso, preso dalla vertigine dello specchio, il sistema filosofico s’affonda nel fondamento, mentre la descrizione storica, che sopraggiunge ad evento concluso, non coglie che frammenti di bellezza riflessi sui cerchi dell’acqua racchiusasi attorno al giovane inghiottito dal gorgo e con questi frammenti riproduce ancora uno specchio fatto di infinite superfici nelle quali nuovamente si riflettono gli infiniti “narcisi” che hanno percorso i sentieri del fondamento. Della limpidezza e delle dimensioni di tali frammenti è lo storico a giudicare e a scegliere, e queste sue scelte sono spesso in disaccordo con quelle fatte da altri storici che lo hanno preceduto o che gli sono contemporanei.
Un compito scomodo, ingrato ed, in fin dei conti, irto di infinite difficoltà.
Un nostro Maestro era solito ripetere che una tradizione di sapere è come una foresta di alberi giganti in grado di vivere per millenni, dove le foglie e il legno d’oggi sono la pioggia e il sole di tanti secoli fa. Detta così la cosa è affascinante e lascia credere ad un processo lineare per cui è sempre possibile ritornare indietro alla ricerca non solo degli autunni in cui sono state inseminati larghi spazi di terreno, alle primavere che han visto germogliare i semi ed alle estati che li hanno fatti maturare, ma addirittura alle piogge che li hanno irrigati ed ai fertilizzanti che li hanno fatti crescere. Sfortunatamente, però, l’indagine storica su questa foresta é influenzata dagli infiniti fattori di mutamento cui il nostro stesso “sapere” è sottoposto e di conseguenza ogni nostra scelta teoretica, metodologica ed epistemologica porta con sé l’elisione di interi mondi della cui effettiva significanza ci è impedito e ci si impedisce di venire a conoscenza.
Sicuramente abbiamo sempre escluso dall’ambito dei sostenitori di Abstracta (ed ora anche dei collaboratori di airesis”) i “cicapisti” e gli “iniziati”.
Con il termine “cicapisti” intendiamo quei tizi che hanno sempre la verità in tasca perché l’hanno conquistata con il loro sudore e fatica, mentre gli iniziati, la stessa inoppugnabile verità (ovviamente diversa), ce l’hanno dai geni famiglia Una vera lotta fra giganti! Stakanov contro la Thule.
Vi sono uomini che, posti assieme ad altri dello stesso tipo, fondano delle “associazioni scientifiche o esoteriche” che ben presto si trasformano in “congreghe”, la cui ragione d’essere è quella semplicissima d’esistere coerentemente con degli scopi ed esiti che mai mutano. Tale cerchia ha un’altra singolarità: d’essere l’unica e sola autentica portatrice di “Verità” e, di conseguenza, il gruppo ha la caratteristica di non trasformarsi ed evolversi mai. “L’unico mezzo per non cambiare – scriveva Ernest Renan in L’avvenire della scienza – è quello di non pensare” ed, in effetti, questi semplicemente “credono”. Ora tali “sette” hanno la peculiarità di non stare solo da una parte, e quindi d’essere facilmente riconoscibili, ma sono equamente distribuite sul sociale, sul politico, sul religioso, sull’etnico, … ossia in ogni zona del tessuto pubblico. Sono, per così dire, interclassiste, senza appartenere ad un casta, ad un rango, ad un ambiente … fanno parte di un diffuso settarismo che ha nell’intolleranza il suo maggior pregio.
Ad esempio, i “monaci della scienza”, con la loro dottrina di un universo governato da un Dio trascendente attraverso leggi comunque accessibili alla ragione umana, vanno di pari passo con l’ateismo radicale per cui si elimina il dio e si lascia la sola ragione che dichiara reale solo ciò che è sperimentale, col misticismo sapienziale per cui al Dio trascendente si coniuga un sapere che viene dal di fuori della ragione umana (cioè non si sa da dove), e infine con i “talebani dell’Assoluto” per i quali il “mondo” coincide senza resti con la loro “vera religione”.
Ma l’unico concetto che non capiamo è quello di esoterismo in web. L’occulto, il misterioso, l’arcano, il magico, l’ invisibile… concetti tipici degli iniziati … che si parlano in internet … che poi è l’unico metodo per mantenere il segreto fra gli adepti.
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