SAVERIO MURATORI o L’AVVENTURA DELLA CIVILTA’
Presentare ad un pubblico di lettori non architetti la figura di Saverio Muratori senza generare equivoci, risulta ancora oggi, a distanza di tanti anni, obiettivamente difficile. Architetto e maestro di pensiero, morì a Roma nell’ottobre del 1973 all’età di 63 anni in odore di zolfo, per la cultura ideologizzata dominante, che lo reinserì nella storia della architettura contemporanea solo agli inizi degli anni ’90, con molti equivoci e molte riserve, dopo una “riabilitazione” post-mortem di tipo sovietico. Da qui la difficoltà.
Ancora più ardua diventa l’impresa di presentarlo, se il pubblico è costituito dai lettori dei Quaderni del Veliero, vuoi per l’orientamento che sembra permeare la rivista che per la “lontananza” del personaggio intorno al quale, per quasi vent’anni, fu creata una cortina di silenzio. Assimilo i lettori dei Quaderni ai redattori degli stessi e quindi li immagino nati quando era già in pieno svolgimento la riconosciuta opera di “rimozione dalla cultura e dalla storia” della figura e delle opere scritte di Saverio Muratori. Tuttavia ritengo, dato quello che fu il suo magistero – fu docente di composizione architettonica alla facoltà di architettura di Roma – che è proprio dai giovani di questo fino mellennio che Muratori avrebbe voluto essere conosciuto ed in particolare dai non architetti, quelli che vivono nel mondo creato da questi, e lo inverano o lo consumano.
E’ questa un’occasione anche per me di riflettere su quello che fu il mio maestro nel momento in cui lo devo “consegnare”, nel senso di “tradere”, alla conoscenza di chi mi legge, ma non tradirlo (il termine tradere ha questo ambiguo significato da quando Giuda “consegnò” Cristo). Chi scrive ebbe in sorte di essere suo allievo e trovarsi a guidare negli anni ’60, quelli della “rimozione dalla cultura e dalla storia”, la reazione studentesca in suo favore spaccando in due la facoltà di architettura. Ho vissuto, pertanto un rapporto particolarmente stretto con lui e non sono – quindi – la persona più obiettiva per riferirne la figura ed il pensiero. Mi considero e vengo considerato un muratoriano, ma non sono ritenuto un “depositario” della sua dottrina. Anzi gli ierofanti della scuola muratoriana mi sopportano con amichevole sufficienza per il mio passato “guerriero” e per la mia estraneità dal mondo accademico e nutrono un malcelato timore per le mie esternazioni. Contribuisce a tutto ciò il sospetto per la mia partecipazione politica, professionale e partitica, che mi rende “diverso” ai loro occhi data la fondamentale apoliticità di Muratori in vita alla quale i seguaci accademici dello stesso hanno sempre fatto mostra di attenersi. Non senza ragione.
Sappia ciò il lettore e valuti quanto dirò.
Veniamo dunque alla presentazione sperando di aver mantenuto desta l’attenzione dei lettori.
Rubando l’immagine a Sandro Giannini, già assistente di Muratori poi docente a Genova fino all’attuale pensionamento, si possono distinguere, nella figura di Muratori, più personaggi succedentisi nel tempo, caratterizzando le diverse fasi di sviluppo del processo di maturità ed espansione del suo pensiero e della sua azione. Ogni personaggio contiene dentro quello che lo ha preceduto e che ha autocriticamente superato aprendosi a quello successivo in un continuo processo ciclico di dilatazione dei propri orizzonti e della propria coscienza del reale generando consenso e ammirazione fino al fideismo o, al contrario, ripulsa e livore. Giannini evidenzia almeno cinque di questi personaggi (1), seguendo un’altra logica io ne individuo quattro.
* * *
Il primo Muratori è definito, a posteriori, da lui stesso come “figlio del giovanile velleitarismo moderno”. E’ l’architetto di successo che sin da neo-laureato a 23 anni e a due mesi dalla laurea si qualifica subito come protagonista del dibattito per l’architettura moderna con il concorso per il palazzo del Littorio del 1933 svolto in collaborazione. Partecipa, in collaborazione con altri giovani colleghi fra cui, in particolare, Quaroni e Fariello, a tutti i più importanti concorsi di urbanistica e di architettura promossi dal fascismo mancando, per poco, la vittoria per il palazzo dei Ricevimenti e Congressi nel 1937 e arrivando a vincere il concorso più prestigioso: quello per la piazza imperiale dell’E42, oggi EUR, nello stesso anno. E’ il giovane libero docente nelle due distinte discipline, urbanistica e composizione architettonica, all’età di trent’anni; il più quotato progettista del dopoguerra, insieme a De Renzi, dei quartieri realizzati nel settennio INA-CASA, ma è anche l’architetto che dopo queste esperienze, da lui rivisitate in chiave fortemente autocritica con i suoi studenti, raggiungerà la consapevolezza del fallimento dei programmi dell’architettura e dell’urbanistica moderni. L’eterogenesi dei fini, il conflitto irrisolto dalla cultura contemporanea, tra il mondo del pensiero astratto che agisce sulla realtà per modificarla (l’autocoscienza) e la traduzione in concreto dei programmi da detto pensiero perseguiti, stimola, già da allora, il suo intelletto ponendo il quesito della sapienza attiva ovvero del ricongiungimento della teoria alla prassi, della tradizione alla storia. Si innesca in lui una crisi che supererà quando maturerà il personaggio Muratori/due.
* * *
Muratori/due nasce a Venezia a trentanove anni, tanti ne aveva quando vinse il concorso per la cattedra di “Caratteri distributivi degli edifici”. La lunga gestazione “dai venti ai quarant’anni per individuare i problemi non risolti della cultura attuale”, come dice lui stesso (2), sfocia nell’intuizione dell’organicità della città come inveramento nel reale della coscienza spontanea, ovvero della consapevolezza che l’uomo pensante (il soggetto) ha del mondo (il suo oggetto) e di sé come parte del mondo (sé come oggetto). E da architetto pensante indaga e scopre la relazione che lega insieme organismo, tessuto urbano, edificio (anch’esso organismo ad un’altra scala di valore) e la successione di fasi di formazione cioè la storia (3). Un’ulteriore sviluppo della coscienza lo porta ad intravedere nell’architettura la sapienza attiva, dove l’unità dei vari aspetti del sapere, graduati in categorie dello spirito, si manifesta in concreto. In un “crescendo” di attività intellettuale sperimenta, indaga, insegna, riduce la propria attività professionale a progetti che gli offrano la opportunità di tradurre in costruito la nuova concezione acquisita della “tipicità delle forme urbane e della ciclicità del mondo della città, come di quella dell’uomo”.
E’ la riconferma della classicità come visione polare che sin dal 1935 Muratori/uno individuava come equilibrio tra spirito e materia nell’unità dell’opera d’arte e sperava entusiasticamente fosse riconquistata dal vigore dell’ “arte nuova” quale “espressione tangibile della mutata coscienza sociale e del profondo rinnovamento politico e morale” (4).
Dopo l’esperienza veneziana che produrrà un libro fondamentale per capire i processi urbani -Studi per un’operante storia urbana di Venezia- questa concezione, più matura, è assunta come atteggiamento risolutore della settorialità inconcludente del mondo moderno in architettura e quindi dell’uomo che, proprio attraverso l’architettura, costruisce il mondo.
Muratori/due è anche il personaggio che verrà “ammesso” nella storia gestita dalla cultura dominante perché difficilmente ignorabile: 1950-51 vince ex-equo il concorso per l’Auditorium di Roma con un progetto di grande suggestione; 1952 progetta il palazzo dell’ENPAS a Bologna; accademico di S. Luca -l’antica ed intellettualmente aristocratica istituzione romana che ebbe, fra i suoi membri, Martino Longhi, Mascherino, Bernini, Borromini etc.- riceve il Premio nazionale d’Architettura conferito dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi; 1955 vince il concorso per il contestatissimo palazzo Sturzo sede della Democrazia Cristiana (5).
Comincia con questo palazzo -l’ultima opera realizzata da Muratori- l’ostracismo allo stesso da parte della cultura imperante ormai totalmente egemonizzata dalla sinistra. Matura, infatti, quella che si configurerà poi come la tragica e meravigliosa vicenda di Saverio Muratori, architetto/maestro di pensiero, e della sua scuola.
A Muratori, già versillifero del moderno, non sarà più perdonato, nemmeno con la “riabilitazione” postuma, il più grande peccato che un architetto potesse mai compiere in quegli anni: la critica alla modernità e l’iconoclastia del Movimento Moderno (M.M. in sigla): la religione dell’architettura contemporanea.
Con palazzo Sturzo Muratori ripropone, alla cultura architettonica contemporanea, la “parete urbana” ed il rapporto dell’edificio pubblico con l’ambiente urbano individuato. Una concezione scandalosa proposta come “manifesto” di architettura contemporanea: un “tradimento” iconoclasta contro il verbo del M.M. già codificato da tempo nel pentalogo lecorbusieriano (le tavole della legge con i “cinque punti”). Benchè Bruno Zevi non abbia ancora formulato il conformista catechismo parrocchiale delle sette (sic!) invarianti (a mò di virtù teologali e cardinali) e la metodologia dell’elenco (1973) il suo bigottismo antimuratoriano non tarderà a manifestarsi. L’occasione la fornisce -manco a dirlo- un’altra vittoria “a man bassa” di Muratori nel concorso di urbanistica più importante del dopoguerra: Barene di S. Giuliano a Mestre. Ormai a Roma dal 1954 alla cattedra di Composizione Architettonica, non può non partecipare ad un concorso che mette a verifica la sua esperienza veneziana. Partecipa con i suoi assistenti romani elaborando tre progetti: vince, naturalmente, e uno degli altri due progetti ottiene una segnalazione. Tutto il fior fiore degli urbanisti di allora, tutti di sinistra o catto-comunisti, viene sonoramente battuto.
La reazione non si fa attendere. Comincia l’Unità, poi gli studenti “progressisti” del corso di Muratori con l’aiuto di Paese-Sera; seguono i radicali de Il Mondo ai quali si accoda una rivista di settore: Architettura-Cantiere. E’ l’occasione che da sempre i progressisti aspettavano per la conquista delle università e per la imposizione della nuova cultura ufficiale. Infatti la campagna iniziata in marzo dall’Unità viene spinta nei toni, fino al terrorismo culturale, dal bigottismo settario e interessato del progressista Bruno Zevi che sulla sua rivista, con ispirate parole scrive:
“VIATICO ALLE PSICOPATIE LAGUNARI” di Bruno Zevi da Architettura –
Cronache e storia luglio 1960
“Una nuova vena accademica mira a corrompere l’architettura italiana…”
“…un altro conato masochistico, altezzoso quanto inconsistente, tinto di culturalismo viziato all’origine da un senso di insufficienza o addirittura di impotenza”
“Non siamo avvezzi a lanciare allarmi quando il lupo non c’è; e, nella fattispecie, trattasi di cagnetti. Ma da noi ogni latrato ha virtù di rimbombo. … L’invito ad evaderne (dalla civiltà contemporanea) è subito accolto dagli arrivisti, giovani e vecchi, come un mezzo spiccio per sentirsi maschi, vitali, promotori di storia a rovescio. Il gusto della premurosa infecondità diviene facilmente bandiera nazionale”
“Tutto è ammissibile… Razionalismo, architettura organica, visioni sinceramente monumentali, persino decadentismi neo-liberty… Solo la strada dei traditori è vietata: quella dell’accademia perversa, dogmatica e boriosa, negatrice dei problemi reali e urgenti, provinciale, goffa”
Seconda e terza pagina, editoriali in breve:
“SI ACCORDANO SU UN PUNTO: E’ MEGLIO IL MERETRICIO”
“Gli studenti della Facoltà di Architettura di Roma si sono riuniti per discutere l’impostazione del corso di Composizione tenuto da Saverio Muratori. Citiamo qualche frase… da una parte ci sono il progresso, la cultura, dall’altra c’è Muratori… sostanziale immoralità… i progetti… suscitano solo sentimento: l’ilarità…”
Il quartiere delle Barene non sarà più realizzato e con questo concorso si chiude la fase del Muratori/due. Non potrà più progettare perché “fuori del M.M.”. E’ “rimosso dalla cultura e dalla storia”.
* * *
Nasce Muratori/tre che, abbandonato il mondo ristretto dei concorsi e della professione, ormai a lui precluso, vola alto proprio mentre la crisi universitaria precipita.
Gli studenti di sinistra e progressisti formano una associazione con giovani assistenti di stessa estrazione e occupano la facoltà con il dichiarato scopo di “cacciare”(6) Muratori e richiedere la chiamata a Roma di tre docenti di sinistra: Zevi (vedi caso), Quaroni e Piccinato.
Gli studenti non progressisti reagiscono: organizzano due corsi liberi di elementi di composizione, anticipando di un anno l’insegnamento di Muratori, e rifiutano altri docenti spaccando la facoltà in due filoni: uno ufficiale tenuto dalla trimurti progressista e dalla vecchia classe accademica da sempre ostile a Muratori, l’altro liberamente gestito dagli studenti che fanno riferimento all’Istituto di Metodologia Architettonica.
Inutile dire che il filone progressista fallisce miseramente i suoi programmi di riforma didattica mentre il filone libero dei muratoriani riesce, nonostante le opposizioni, a raggiungere i propri obiettivi.
Con Muratori/tre nasce la scuola muratoriana e sboccia Architettura e civiltà in crisi – 1963 – che rappresenta la prima opera teorica di grande respiro ed “un ulteriore superamento dei precedenti (personaggi) con abbagliante espansione di orizzonti”(1)
“L’architettura è la società che si autodetermina, cioè la società vista dall’uomo, è la civiltà. Parlare di architettura è parlare della civiltà, parlare della crisi dell’architettura è parlare della crisi civile”.(7)
Un’identificazione, quella tra architettura e civiltà, mai prima tentata nella storia del pensiero. Con quest’opera oltre a contestare dall’interno, rovesciandola, la cultura idealista in quanto cultura moderna (il “tradimento” imputatogli dilatato a comprendere la civiltà moderna) da architetto progetta concretamente (metodologicamente) lo sviluppo e la soluzione della crisi.
Questo Muratori/tre è un nuovo architetto che, abbandonata per forza di cose la scala della progettazione grafica, crea la sua opera architettonica – Architettura e civiltà in crisi appunto – ad una scala talmente elevata che la rappresentazione grafica non la può esprimere e calce e mattoni non la possono concretizzare, ma solo può tradursi in concreto mediante città e istituzioni misurate e proporzionate categorialmente come unità di spirito e materia, di uomo e natura. E’ la “nuova dimensione estetica del mondo come prodotto dell’uomo, come continua e sempre rinnovantesi opera d’arte”. (8)
In questo stesso 1963 l’esperienza veneziana si ripete a Roma ma ad un livello di gran lunga più maturo. Insieme ai suoi assistenti, S. e R. Bollati e G. Marinucci, dà alle stampe Studi per un’operante storia urbana di Roma edita dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Opera ponderosa che pochi capiscono, ma che permette a Muratori di verificare, su una città dalla doppia vita, la verità della ciclicità della città, ovvero del processo di trasformazione della città che è, al tempo stesso, una legge di permanenza e di mutazione.
Nasce Civiltà e Territorio (1967); è la seconda opera teorica in cui il respiro si dilata ancora di più. Il progetto palingenetico di Architettura e civiltà in crisi si concretizza esaminando “i processi positivi presenti nella crisi… e le condizioni di un loro possibile impiego ricostruttivo, anche sul piano civile autocosciente”. “Dalle ideologie, cioè dalle eresie particolaristiche e insieme esclusivistiche tipiche della crisi, il positivismo logico, il materialismo storico, il pragmatismo, la fenomenologia esistenzialistica, la critica passa alle correlative visioni eretiche della scienza, alle tecniche tipiche della crisi, il formalismo logico matematico, l’economia, la sociologia, la psicologia, considerandone – contro ogni particolarismo – gli acquisti di coscienza integrativa nei confronti dell’astrazione ideologica”. (2)
“Il superamento dell’equivoco soggettivo, che pure è non eliminabile condizione posizionale della coscienza, non può essere – ovviamente – che asintotico, non per questo meno effettivo: con la riduzione del mito del progresso ai valori di contenuto e alla nozione rigorosa della ciclicità stabile del reale, tenderà anche a una nozione via via più positiva della condizione umana nel mondo, cioè del territorio, unità simbolica di uomo e mondo protesa a un suo asintotico equilibrio; una scienza, un’economia, una politica del territorio e su tale base una sempre più spontanea e autentica, ma insieme sempre più oggettiva e sicura nozione dell’individualità e della libertà – precipuamente spirituale – dell’uomo, nei confronti della società civile e della sua base naturale fisica e ambientale”. (2)
* * *
Scoppia il ‘68 che travolge ciò che era rimasto delle strutture accademiche della facoltà di architettura di Roma. Solo Muratori rimane integro, isolato ma rispettato anche dai contestatori che non violano il santuario dell’Istituto di Metodologia Architettonica. Ma l’università italiana è allo sbando in preda al marasma che Muratori e i suoi studenti avevano annunciato.
Ancora una volta la crisi della facoltà coincide con il trapasso dal personaggio numero tre all’ultimo. Ma siamo alla fine. Muratori/quattro brilla come una supernova sul punto di spegnersi. E’ molto malato e sa di esserlo, ma vuole giocare la morte prima che gli impedisca l’ultimo volo: l’avventura della civiltà. Non può più scrivere, sa di non averne più il tempo e quindi affida al registratore il ciclo di lezioni degli anni 1971-72 e 1972-73 come “testimonianza e l’esperienza… di un insegnamento stabilmente fondato e perciò vitalmente sperimentale, adeguato sia all’architettura che a una coscienza civile criticamente consapevole, capace di garantire un risultato non vuoto di valore tecnico e civile”.
Le lezioni verranno raccolte e trascritte da uno dei suoi assistenti, Guido Marinucci, e rappresentano, secondo Muratori stesso, un’interpretazione “descrittiva e rapsodica della storia della civiltà in quanto messa in orbita dell’autocoscienza”.(2) Porteranno i titoli: Autocoscienza e realtà nella storia delle ecumeni civili -1976 e Metodologia del sistema realtà- autocoscienza-1978.
“Saverio Muratori demistifica dapprima i falsi ideali della società moderna: l’equivoco della falsa verità, cioè il mito della verità scientifica; l’equivoco del falso progresso, cioè il mito della trasformazione del mondo da parte dell’uomo; l’equivoco della falsa uguaglianza, cioè il mito delle ideologie politiche; e infine l’equivoco della falsa libertà o creatività, cioè il mito della libertà di pensiero e dell’arte astraente. Successivamente espone il proprio metodo di ricostruzione che si fonda sull’utilizzazione, ma con segno opposto, dei medesimi strumenti critici negativi messi in opera dalla cultura moderna, dopo averne individuato i limiti e il segno algebrico.
Il metodo viene verificato con la comparazione di vari livelli della civiltà umana
“l’area gravitazionale di destinazione: è la messa in orbita dell’autocoscienza”. (2) – primitivi, cinesi, indiani, occidentali, mediterranei – che l’autore assume come altrettante categorie dello spirito. L’integrazione di queste categorie, che è la condizione per la consapevole partecipazione alla realtà da parte della coscienza, sarà però graduale e teleologica e procederà con un moto paragonabile a quello di un missile lanciato verso
l’area gravitazionale di destinazione: è la messa in orbita dell’autocoscienza”. (2)
La suddivisione in personaggi della figura di Saverio Muratori, oltre a scandire il suo personale processo evolutivo, rappresenta un comodo artificio per comprendere i pericoli impliciti nella “riabilitazione”. Questa inizia nel 1990, a 17 anni dalla morte, quando Giorgio Pigafetta, con un notevole saggio su Saverio Muratori – Architetto, pubblicato per la collana Saggi Marsilio, rompe la cortina del silenzio tentando un onesto e brillante, anche se non convincente, esame critico del pensiero e dell’opera muratoriana che si ferma a Civiltà e Territorio. Dopo il saggio di Pigafetta ed il convegno che è seguito un anno dopo organizzato dal Comune di Modena, città natale di Muratori, dove un suo allievo ersercitava la funzione di assessore, sulla persecuzione di cui fu vittima e sulle ragioni della sua rimozione culturale non sembra, oggi, esservi più materia di polemica. Anzi la cultura ufficiale – come la chiamava Muratori – quando capita, ne tesse le lodi come architetto fermandosi al Muratori/uno; riconosce la validità della sua opera didattica e, fin dove riesce a capirli, impiega i concetti di tipo edilizio matrice del tessuto urbano del Muratori/due nelle dotte ricerche sulla città(9), ma oltre non va. Quando si tratta di capire questa nuova figura di architetto che Muratori ha impersonato, la cultura ufficiale crea una teca di cristallo (l’immagine non è mia) e ve lo rinchiude dentro imbalsamato per la posterità: lui ed il suo sistema.
E’ per la posterità che speranzosamente è stata scritta questa presentazione.
Mino MINI
Su: KULTUR- I quaderni del Veliero
1) A. Giannini – Atti del Convegno: SAVERIO MURATORI Architetto (Modena 1910
Roma 1973). Sullo stato dell’architettura italiana
verso la fine del secolo XX. Modena 1991.
2) A cura del da: Saverio Muratori: il pensiero e la battaglia civile nei suoi scritti
C.S.S.U. Roma civile nei suoi scritti pubblicati dal 1959 al 1979 pag. 1.
3) A. Giannini – Op. cit.
4) S. Muratori – Nuova architettura e nuovi architetti 1935, citato da: Antologia critica
degli scritti di Saverio Muratori a cura di E. De Carli e E. Scatà. Alinea
editrice s.r.l. Firenze 1991
5) voce S. Muratori in Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica. Istituto
Editoriale Romano 1968.
6) Assistenti corsi Documenti poco noti in merito alla campagna contro il corso di
di composizione “Composizione Architettonica…”
(IV e V anno): VARIPRINT. Roma 1962.
7) S. Muratori – Architettura e civiltà in crisi – C.S.S.U. Roma 1963
8) A. Giannini – La filosofia di Saverio Muratori (relazione al convegno CISPUT, Pien-
za 1983).
9) P.L. Cervellati
R. Scannavini La nuova cultura delle città. Mondadori 1977.
C. De Angelis