La recente ripublicazione da parte della Adelphi in edizione economica (2006, € 18,00) di un “classico” della comprensione della storia aurorale del pensiero ellenico su cui poggia ancora oggi parte cospicua della nostra articolazione concettuale, è motivo per ripubblicare una bella recensione di Dario Del Corno apparsa all’uscita della prima edizione del volume di Onians (1998, oggi € 49,50). E’ un testo fondamentale, la cui lettura è raccomdanadata alle persone colte al di là dalla pre-richiesta di interessi e specializzazioni specifiche.
LE ORIGINI DELL’OCCIDENTE
Cercando il pensiero nell’emicrania di Zeus |
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R.B. Onians, “Le origini del pensiero europeo, la mente, l’anima, il mondo, il tempo, il destino. Nuove interpretazioni di materiali greci e romani, di altre testimonianze e di alcune fondamentali concezioni ebraiche e cristiane”, a cura di Lorenzo Perilli, traduzione di Paolo Zaninoni, Adelphi, Milano 1998, pagg. 648, L. 95.000 |
Uno tra i miti più celebri della teogonia greca è la nascita di Atena adulta e in armi dalla testa di Zeus, opportunamente aperta (o medicata: il sommo dio sentiva una formidabile emicrania) da un colpo di scure assestato con esperta mano da Efesto, il fabbro dell’Olimpo. L’episodio è al limite dell’assurdo, ancorché avvolto nella maestà del prodigio; e ispirò una serie di allegoriche interpretazioni al fine di motivarne la stravaganza. Ma quando il mito del parto di Zeus fu inventato, esso non rappresentava altro che l’estrema simbolizzazione di una credenza primordiale: nella testa ha sede la vita, e la sua trasmissione.
In una serie di passi omerici kephalé, “testa”, e psiché, “vita”, si alternano con una sostanziale equivalenza, che si lascia spiegare soltanto come un relitto di quest’arcaica concezione. Peraltro, il testimone più impressionante si trova in Esiodo, Opere e giorni, dove è detto che la calura estiva rende impotenti gli uomini perché dissecca loro la testa e la ginocchia. Il secondo membro stupisce ancora più del primo: ma gonu, “ginocchio”, è evidentemente connesso con la radice gen- che opera ancora nel nostro “generare”. Ecco perché l’atto di abbracciare le ginocchia equivaleva a supplicare un uomo nel nome della sua stessa vita.
Materia costitutiva della vita, la psiché non soltanto si propaga nell’atto della generazione, ma permane anche dopo la morte della persona.
Essa diventa, nell’evoluzione lessicale, anche “anima”, l’immateriale e individuale simulacro di ciò che egli fu da vivo. Nell’aldilà essa ha la figura dell’ombra, il doppione incorporeo e tuttavia reale che accompagna l’uomo vivo: così come il principio vitale si percepisce come solidale e indissolubile condizione dell’esistenza, senza tuttavia possedere una dimensione autonoma, e tanto meno una sostanza tangibile.
Tanto si deduce da Omero: ma cosa ci fu prima di lui? Può servire da spia una parola, che nei poemi compare un con un’intrigante ambiguità di possibili significati: aiòn. Nell’uso tardo il vocabolo significa “tempo”, soprattutto in quanto durata; e in Omero viene di solito interpretato come “vita” dell’individuo. Ma una seconda accezione risulta da fonti sia letterarie che erudite e scientifiche, tra cui Ippocrate: aiòn è anche il “midollo spinale”. In questo organo si identificò originariamente la materia della vita e della generazione, prima che i due significati si dividessero, relegando nell’oblìo il rapporto primario fra l’osservazione concreta del dato anatomico e la sua estensione a categoria astratta dell’esperienza.
Le parole trasformano i loro significati nel corso della storia; e dopo l’età arcaica, psyché si impossessò dei processi della coscienza, e ne trasferì la sede nella testa: dove sono rimasti fino ai nostri giorni, almeno per la maggior parte. Ma Omero localizza altrove le percezioni, le sensazioni, le passioni, i pensieri. L’uomo pensa e parla mediante la phren (o phrenes, al plurale), che non indica il diaframma, secondo l’interpretazione d’uso, bensì i polmoni. In quanto strumento del respiro, ossia dell’atto che assicura all’uomo la consapevolezza del proprio esistere, i polmoni sono la sede del pensiero, che di tale consapevolezza è la forma essenziale.
Ma il termine chiave per l’attività interiore dell’uomo omerico è thymòs, la sostanza aeriforme che nutre il corpo e traduce in emozioni gli stimoli del mondo esterno. Non diciamo ancora oggi “trattenere il respiro” per la sorpresa, o “tenere il fiato sospeso” per l’incertezza, o “respirare liberamente” per il sollievo, e così via? L’interrelazione fra l’atto mentale e la reazione corporea ha provocato la sopravvivenza di questi modi di dire, che corrispondono all’arcaica constatazione della risonanza fisiologica fra l’esperienza sensoriale ed emotiva, e gli organi del corpo umano. Il cuore è la sede del ragionamento, il fegato quella delle passioni: e le loro operazioni vengono trasmesse e coordinate nell’individuo dalla materia costitutiva della coscienza, che è il thymòs, distinto e complementare rispetto alla materia della vita, la psyché.
La civiltà occidentale si nutre dell’eredità della Grecia, nel lessico e nel sistema del pensiero; ma questa permanenza si è verificata attraverso un continuo e graduale processo di spostamenti e adattamenti, già in atto durante la civiltà greca. La psiché di Platone muove dalla psiché di Omero; e tuttavia, da una tappa all’altra, la sua portata semantica e concettuale subisce una profonda trasformazione. La filosofia e la scienza dei Greci si fanno iniziare di solito dai pensatori ionici del VI secolo a.C.; ma il sistema di conoscenze su cui essi fondarono le loro teorie aveva radici ben più antiche. Ai posteri è concesso di risalire fino a Omero, nel recupero di questo patrimonio immenso; ma Omero è a sua volta il terminale di una sconfinata preistoria, i cui tratti affiorano nelle sue concezioni soprattutto dove queste presentano intermittenze, contraddizioni, ambiguità: tanto più che il quadro è aggravato dalle tenaci incrostazioni che ha sovrapposto, lungo millenni, il lavoro d’interpretazione.
All’impresa di recuperare il momento aurorale, in cui il linguaggio e le idee scaturiscono dalla realtà della vita stessa, senza che a sua volta un sistema preesistente interferisca sulla spontaneità assoluta di quest’operazione, dedicò la sua esistenza di studioso Richard Broxton Onians, che visse dal 1899 al 1986, e fu professore di Latino all’Università di Londra. Le origini del pensiero europeo è l’opera della sua vita, giunta alla pubblicazione definitiva nel 1953, dopo una trentina di anni dal primo progetto, attraverso una serie di rielaborazioni e aggiunte. Quest’articolata storia compositiva si riflette nel labirintico percorso del trattato, peraltro sempre sorretto da una fortissima convinzione nell’idea portante. Si tratta di un testo fondamentale, che a sua volta sfida il tempo per originalità e dottrina; ed è un evento a lungo atteso e auspicato l’edizione italiana, realizzata con una competenza scientifica di primo ordine e un’altrettanto eccellente qualità editoriale.
Questa risulta particolarmente apprezzabile sia nel lavoro di integrazione degli apparati, sovente ellittici nell’originale; sia nell’accurato sistema di versione dei testi letterari, che consentono la lettura dell’opera anche a lettori non professionalmente coinvolti nella conoscenza delle lingue antiche.
Onians mette a partito una dottrina sconfinata, che padroneggia sia un imponente complesso di discipline, sia ambiti culturali altrettanto diversi: e d’altronde sa fronteggiare con cautela le sirene dell’ostentazione di tracciati interdisciplinari e di avventurose ipotesi comparatistiche. Come si conviene all’intrinseca serietà e validità dell’indagine, al suo centro stanno i testi; e il punto di forza delle argomentazioni di Onians risiede nella profondità critica, nell’indipendenza di giudizio, nella competenza linguistica, che consentono all’autore e ai suoi lettori di rileggere con fresco e libero sguardo passi inchiavardati in interpretazioni convenzionali, e di rintracciare in essi i fascinosi documenti della scoperta dell’uomo e del suo esistere.
Si è tentato di offrire un saggio, ovviamente del tutto parziale, dei temi che ispirano le prime due sezioni del trattato, rispettivamente intitolate “La mente e il corpo” e “L’anima immortale e il corpo”. La terza è dedicata a “Tempo e destino” e propone uno scandaglio parimenti originale di termini e concezioni, in cui Omero attesta già le sfasature prodotte dal processo che tramuta l’immagine concreta in un modello astratto. La figura della necessità, che è l’intuizione tragica dell’uomo allorché scopre tanto la propria volontà quanto il limite che la tronca, si manifestò in origine come un laccio, una catena, un intreccio, una fascia tesa in forma di cerchio. Il mito creò poi la trinità delle Moire che tessono, intrecciano e tagliano; ed esso conferì il fulgore della metafora alla drammatica energia che si esprime nell’immediatezza dei fenomeni.
In questa simbiosi si afferma il privilegio della mente greca: la capacità di vivere contemporaneamente le due dimensioni dell’immaginazione e della realtà.