Fra le pieghe dolorose della storia contemporanea. Sugli ebrei. La chiesa, Mussolini, Hitler … Togliatti

E’ un testo che certo non getta acqua sul fuoco, se vogliamo riferirci innanzitutto alla cronaca quasi ininterrotta di questi mesi e di questi anni dei rapporti fra il mondo “ebraico” e il Vaticano sul ruolo svolto da papa Pio XI. Esso interpreta e dà voce a documenti, idee, avvenimenti importanti e circostanze di cui dà adeguata motivazione, indipendetemente dal fatto che siano arrivati recentemente sino a noi documenti del tutto particolari e legati a specifici “aneddoti” che porterebbero a ripensare e rivedere in senso positivo il giudizio sul pontefice cattolico – cosa che umanamente c’è da augurarsi che avvenga, sempre sul piano della nuda e cruda acquisizione di nuovo materiale di prima mano. Da tutto ciò, noi qui ci distacchiamo, perché è doveroso e corretto lasciare la parola a chi si cimenta nella ricerca ad hoc, nella piena indipendenza dei  motivati giudizi a cui può pervenire  e perviene. Su questo, L’Europa della Libertà è chiara. Molti suoi componenti sono cattolici, ma non bigotti e non sprovveduti. Essi sentono forte l’esigenza della profonda spritualità cristiana che irrompe dalla loro sfera interiore, quanto sono coscienti al tempo stesso della pluralità delle forme in cui la spiritualità si è manifestata nel corso della storia e si manifesta nelle persone. Ad essa pluralità e diversità sentono di dovere assoluto rispetto, quanto anche a chi ritiene di essere privo dell’esigenza della categoria del religioso, senza più condividere la trascorsa storia cattolica di estremismo, esclusivismo, intolleranza, verità imposta. Anche la Chiesa, con il Concilio Vaticanoi II è approdata a del nuovo quasi in senso assoluto. La storia insegna ad essere, tuttavia, sempre previdenti. Ultima notazione. Nell’articolo di Spadaro ci si muove entro l’analisi storica degli avvenimenti affrontati, con il linguaggio in uso. Ci riferiamo alle parole “ebreo” e “antisemita”, che noi invece oggi riteniamo di utilizzare in maniera assolutamente corretta. Perciò rifiutiamo di utilizzarle nel significato che rimane ancora di uso corrente e ciononpertanto erroneo, anzi ancora più erroneo, con il volerne cristallizzare il senso dato dalla chiesa e, poi, in contesti diversi ma non autonomi, dai nazisti. Innanzitutto, affermiamo che “ebreo” non è sinonimo eo ipso di israelita, giudeo sia in senso storico in generale sia in senso religioso, anche se così purtroppo per tanti secoli è stato inteso. Poi, il termine nazista “antisemita”, che in tanti, ad iniziare dai circoli sionisti e israelitici, non vogliono abbandonare, è datato e al tempo stesso bollato in tutta la sua erroneità, perché utilizza la parola “semita” assegnandola in esclusiva  ad un ben preciso, piccolissimo, margialissimo ramo della grande famiglia semita, per di più nella quasi totalità disperso per secoli al di furi dai territori d’origine ed anchea volte frammischiato ad altre genti, tanto da portare agli assurdi odierni … quale quello di indicare in una posizione politica antisionista, antigiudaca, antiisraelitica, antiisraeliana … al limite “antiebraica” di un singolo uomo, di un gruppo, di un governo arabo, di indicare, stiamo dicendo, una posizione politica siffatta come “antisemita”! 

 

Giuseppe A. Spadaro

8 Marzo 2009

Benedetto XV e i Protocolli dei Savi Anziani di Sion

L’operazione gatto selvatico

Parlare dell’«operazione gatto selvatico», ricordata da Massimo Caprara, che
fu il segretario personale di Togliatti (Quando le Botteghe erano Oscure – Il
Saggiatore 1997), non può non sortire oggi un effetto comico, nell’era del
cattocomunismo. Il gatto selvatico doveva essere rinchiuso in una stanza senza
mobili e senza finestre, e a furia di randellate doveva esser lasciato
stecchito sul terreno. Il gatto selvatico non era altro che la Chiesa cattolica
(o se più piace il Vaticano), e l’idea era di Palmiro Togliatti, segretario del
PCI. Un episodio ormai rimosso, ma che lo storico deve tener presente, per
valutare le difficoltà che un uomo di Stato incontra nell’attuare in Italia un
suo programma politico. Perfino uomini come De Gasperi trovarono intralci nel
loro tentativo di costruire una democrazia laica, da parte di chi dopo la
vittoria elettorale del 18 aprile 1948 aveva accarezzato l’idea della
ricostituzione d’uno Stato confessionale.
Detto ciò, dobbiamo chiederci perché Togliatti, pur avendo in mente sì truci
propositi, nel ’46 si dichiarò favorevole a recepire nella Costituzione i Patti
Lateranensi. L’atteggiamento di Togliatti è solo in apparenza contraddittorio,
in realtà dimostra che il segretario del PCI aspettava solo il momento
favorevole per rinchiudere il gatto selvatico dentro una stanza. Diversamente
da Mussolini, che tuttavia ebbe a sperimentare nel ’31 la difficoltà a
convivere col Vaticano. Don Romolo Murri rivelò ne L’ulivo di Sàntena i
retroscena di quella crisi che rischiò di mettere in forse la Conciliazione:
«Il disegno di legge sulla libertà dei culti gettò l’allarme tra i cattolici. L’
on. Mussolini aveva detto: – Nel Concordato si assicura alla Chiesa cattolica
il libero esercizio del suo potere spirituale, e le si conferisce altresì una
posizione di speciale prestigio… Ma la piena libertà dell’esercizio degli
altri culti e l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non è e non
poteva essere menomamente toccata.»
Quale la materia del contendere? La modifica dell’articolo 1° dello Statuto
albertino: Gli altri culti sono tollerati, in: Gli altri culti sono ammessi.
Don Romolo Murri proseguiva: «Ma del disegno di legge furono spiacentissimi i
cattolici. Vero è che il ministro Rocco dichiara non esservi rottura di
continuità, ma la spiegazione non soddisfa quanti vogliono lo Stato cattolico,
cioè confessionale. Tra gli altri l’on. Gilberto Martire chiedeva che il primo
articolo fosse modificato, in modo che restasse aperta la via ad impedire la
propaganda degli altri culti o a limitarne il proselitismo. Quanto all’art. 5°:
La discussione in materia religiosa è pienamente libera, non ne vediamo l’
opportunità, mentre non possiamo nasconderne il pericolo.»
Erano conciliabili tali pretese con una visione moderna dello Stato? Il
Vaticano aveva chiesto a Mussolini la chiusura della Sinagoga di Roma, la
rimozione della statua di Giordano Bruno da Campo dei Fiori e di quella di
Garibaldi dal Gianicolo, nonché l’esclusione retroattiva dall’insegnamento non
solo di Ernesto Buonaiuti, ma di tutti i preti apostati o irretiti da censura.
Non avendo ottenuto ciò che pretendeva, il Vaticano rispose con le arti in cui
era esperto: beatificando il cardinale Bellarmino, che tanta parte aveva avuto
nella condanna al rogo di Giordano Bruno, così come nel ’21 aveva beatificato
Giovanna d’Arco (ch’era stata condannata per stregoneria da un tribunale
ecclesiastico) per dare un contentino ai nazionalisti francesi afflitti per la
condanna dell’Action Française. 

La Croce e i Fasci

La tendenza a vedere il fascismo come braccio secolare a cui affidare i
lapsi, andava di pari passo con il disegno di rendere confessionale lo Stato,
ed è questo l’errore che lo storico Pietro Scoppola imputa a Pio XI. Le parole
pronunciate da Mussolini al Senato nella seduta del 25 maggio 1929 erano state:
«L’Italia e la Città del Vaticano distano migliaia di chilometri, quanto la
distanza che separa Parigi dal Vaticano, Madrid dal Vaticano, Berlino o 
Varsavia dal Vaticano.» Ma nei suoi colloqui con Ludwig il Duce si ricrede:
«Libera Chiesa in libero Stato? È irrealizzabile con la Chiesa cattolica. L’una
e l’altro hanno davanti a sè la stessa materia, l’uomo: in un caso come
credente, nell’altra come cittadino… Se poi la Chiesa risiede nella capitale,
allora bisogna affrontare anche questioni topografiche. Una capitale, e ad un
tempo una città che appartiene a un altro Stato…» Tuttavia la simbiosi fra la
Croce e i Fasci fu per volontà di Mussolini fino a un certo punto perfetta.
Quando uscì la voce fascismo sulla Enciclopedia, scritta a quattro mani da
Gentile e Mussolini, P. Tacchi Venturi corse a Palazzo Venezia: «Duce, Sua
Santità è su tutte le furie, perché la voce fascismo tradisce troppo
apertamente il suo carattere idealistico». Mussolini ordinò di ritirare il
volume, e riscrisse di suo pugno le parti più pregnanti della voce fascismo,
perché potesse essere gradito al Papa.
Sono gli anni dell’intesa fra Pio XI e Mussolini. Del Papa che definì il
Duce «Uomo della Provvidenza», Giancarlo Zizola descrive «il carattere
autoritario, lo stile decisionistico, la freddezza calcolatrice che si rovescia
a volte in repentini scoppi di collera». Egli passava nei confronti del Duce
dal «dilettissimo figlio» a toni più burberi, ma non arrivò mai, neppure al
tempo dell’enciclica Non abbiamo bisogno, all’aperta condanna del Fascismo, che
non ci fu nemmeno per il Nazismo, guardato solo Mit Brennender Sorge (Con
cocente preoccupazione). Sapeva bene che l’alternativa erano le democrazie
massoniche o il bolscevismo «intrinsecamente perverso». Di Mussolini si è
parlato d’una segreta conversione, ma è preferibile giudicarlo soltanto come
statista. È nel vero P. Giovanni Sale, quando parla di «una pagina di storia
nazionale che vede contrapposti Mussolini e Pio XI»? E la Divini Redenptoris?
In quell’enciclica il Pontefice legittimò l’ordinamento corporativo come
Restaurazione dell’ordine sociale secondo la legge evangelica: «Lo Stato
riconosce giuridicamente il sindacato, non senza carattere monopolistico in
quanto esso solo può rappresentare gli operai e i padroni, esso solo concludere
contratti e patti di lavoro». P. Giovanni Sale vada a rileggerla.     
Mussolini fece di tutto per non turbare quell’intesa faticosamente
raggiunta, che sanava il conflitto di coscienza in cui si trovavano tanti
italiani. C’era certo una differenza fra fascisti- cattolici e cattolici-
fascisti, e nei secondi al momento della scelta prevarrà il primo termine. Ma
questo appartiene al senno del poi. Per il momento sono insieme, fascisti-
cattolici e cattolici-fascisti, impegnati nella conquista dell’Impero,
benedetta dal Pontefice perché diretta ad estirpare l’eresia eutichiana del
clero Copto. Di rincalzo arriva l’Alzamiento in Spagna. L’Italia fascista non
può non intervenire, rispondendo all’appello lanciato il 14 settembre 1936 dal
Pontefice per «salvare la civiltà europea dal pericolo comunista». Il Fronte
Popolare dell’ebreo Lèon Blum (che nel ’45 venne fuori sano e vegeto per far
condannare il maresciallo Pétain) schiera la Francia accanto all’Unione
Sovietica, la Gran Bretagna finge un non-intervento, e alla mischia partecipa l’
aviazione tedesca. Matura così l’alleanza dell’Italia con la Germania.

I Protocolli dei Savi Anziani di Sion

L’alleanza con la Germania fu una fatalità a cui l’Italia, isolata dagli
Stati aderenti alla Società delle Nazioni, non poteva sottrarsi. Sconfitto
militarmente il Fascismo, parve alle supreme gerarchie vaticane giunto il
momento di usare il suffragio universale (per principio inconciliabile col
cattolicesimo in quanto espressione d’una sovranità popolare che trova riserve
perfino nell’opera dell’attuale Pontefice) per ottenere ciò che dal Fascismo
non aveva ottenuto: trasformare l’Italia in Stato confessionale. Il Vaticano s’
illuse di poter imitare l’Uovo di Colombo: ammaccando un poco la levigata
superficie della sua dottrina, credette di poter tenere in piedi tutto il
Dogma. Il risultato sarà disastroso, ma questa è un’altra storia…
La restaurazione del ’45 fu la più squallida e malaccorta restaurazione. L’
Europa fu riportata indietro d’un secolo, e al posto della rivoluzionaria
rappresentanza corporativa, ch’era stata imitata dal primo New Deal
rooseweltiano, fu reintrodotto il suffragio universale, «la cui tendenza
corruttrice, in ragione del suo carattere inorganico e statistico tende a
trascurare le categorie meno numerose e a non tener conto della competenza,
dell’utilità e del disinteresse» secondo il “liberale rivoluzionario” Salvador
de Madariaga. Ma, illudendosi di poter attuare i suoi fini occulti, il Vaticano
prende le distanze dal Fascismo, tentando di far dimenticare le responsabilità
nei suoi innegabili errori, e soprattutto la Guerra di Spagna, nel cui clima
Civiltà Cattolica non aveva mancato di risfoderare il mai accantonato
antisemitismo, insistendo in modo particolare sul rapporto giudaismo-
bolscevismo.
A tale spirito era improntato l’articolo del fasc. 2071 del 1936: «In fondo
all’accanimento del giudeo nell’arricchire e speculare sul denaro, sta la sua
concezione materialistica e temporalistica della vita… Nel giudeo
razionalista e rivoluzionario, il messianismo latente nell’animo diventa l’
aspirazione al regno ideale di giustizia che sognano i comunisti, da conseguire
anche a costo di stragi e di rovine, come confessa Rathenau e come hanno
dimostrato i sanguinari Bela Kun Abele Cohen e Szamuelly in Ungheria, i
giudei bolscevichi in Russia e gli agenti stranieri che imperversano
orrendamente in Spagna». Parole che non differiscono molto da quelle del Mein
Kampf di Adolf Hitler, se non per l’accenno, che sarà fatto tra gli altri da P.
Gemelli (9 gennaio 1939), alle colpe del popolo deicida: «Tragica dunque, e
dolorosa, la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro
sangue e per la loro religione, di questa magnifica patria; tragica situazione
in cui vediamo attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha
chiesto su di sè e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare
una patria, mentre le conseguenze dell’orribile delitto lo perseguitano
sempre.»

P. Brucculeri e il Manifesto della Razza

Renzo De Felice (Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi
1961) ricorda alcuni fatti salienti che avevano rinfocolato l’antisemitismo:
«Innanzitutto le congratulazioni di Benedetto XV° e del segretario di Stato
cardinal Gasparri a monsignor Jouin, curato di Sant’Agostino in Parigi,
fondatore nel 1912 della Revue Internationale des Sociétés Secrètes indirizzata
a combattere il pericolo giudaico (che tra l’altro curò la traduzione dei
Protocolli dei Savi Anziani di Sion) e autore di La judéo-maçonnerie et la
domination du monde. Poi il sistematico accoppiamento, dopo la rivoluzione d’
Ottobre, dell’ebraismo e del bolscevismo. E per finire nel 1928 la condanna e l’
abolizione della Società degli amici di Israele, che operava per la conversione
degli ebrei.»
La prima traduzione dal russo dei Protocolli, il libro più pericoloso e
nefasto per l’ebraismo, che, nonostante sia riconosciuto un falso, ha
contribuito maggiormente alla propagazione dell’antisemitismo nel mondo, è
dunque dovuta a monsignor Jouin, complimentato per questo da un Pontefice di
Santa Romana Chiesa. I Protocolli li ritroviamo citati da padre Massimiliano
Kolbe, che pubblicava la rivista Il Cavaliere dell’Immacolata, in cui accusava
gli Ebrei di tutti i crimini possibili e immaginabili. È soltanto nel 1920 che
don Giovanni Preziosi, che s’era spretato per protesta contro l’indifferenza
della Chiesa nei confronti del dramma degli emigranti, impressionato dai
Protocolli avuti da Maffeo Pantaleoni, dà un taglio antiebraico alla sua
rivista La Vita Italiana, facendone la caratteristica più essenziale della sua
azione politica.
«Mentre sulla nozione di razza si sono ammucchiate nebulosità d’ogni sorta,
i docenti fascisti hanno enunciato un contenuto del razzismo, in cui si fa
giustizia sommaria dei detriti irrazionali, con cui si è costruita una teoria
della razza, che documenta il disorientamento del pensiero contemporaneo. “Il
concetto di razza è un concetto puramente biologico”.» È questo il concetto di
razza approvato dal Brucculeri, e questo è il concetto che impone Mussolini al
Gran Consiglio del Fascismo: «Sono io che, praticamente l’ho dettato». Egli
lascia intendere che ci sono esigenze superiori che impongono di approvarlo. E
mentre da parte fascista si levano le voci di dissenso di due quadrunviri della
Rivoluzione: De Bono e Balbo (De Vecchi si astenne avendo la moglie ebrea),
oltre che di Federzoni e Acerbo, il quale dichiarò che quel Manifesto «era
desunto da sorpassate proposizioni della scuola tedesca dell’Ottocento»,
nessuna voce si levò in campo cattolico, nemmeno quella del Nunzio Apostolico
presso il Regno d’Italia, né di monsignor Beccaria, Cappellano maggiore del Re,
al quale in ultima istanza era demandata la firma perché il provvedimento
diventasse Legge dello Stato.      
«La Santa Sede, non solo mantenne sempre la polemica sul terreno
strettamente giuridico-concordatario, ma avallò nelle coscienze di molti
cattolici il principio della persecuzione degli Ebrei», afferma il De Felice, e
Mauriac denunziò: «Per circa un anno e mezzo mancò del tutto il conforto di
sentire il successore di Pietro condannare la crocifissione di tanti fratelli
del Signore». Il Vaticano lascia che la campagna antisemita vada avanti, finché
il divieto dei matrimoni misti lo decide a denunciare il vulnus al Concordato:
«Più difficile si presenta il caso del matrimonio quando si tratta di ebrei
convertiti. i quali di fronte alla Chiesa sono cattolici come gli altri… È
questo l’unico punto, sul quale la Chiesa formulerebbe obbiezioni», scrive a
Mussolini l’ambasciatore presso la Santa Sede Galeazzo Ciano. Ma se il concetto
di razza è puramente biologico, come può riguardare la conversione?

Il fascismo tradì gli ebrei italiani

Come reagiscono i gerarchi fascisti alle recriminazioni vaticane? «Se come
cattolici siamo divenuti antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti che ci
furono dati dalla Chiesa durante venti secoli.» scrive Farinacci il 7 dicembre
del ’39: ««Noi non possiamo nel giro di poche settimane rinunciare a quella
coscienza antisemita che la Chiesa ci ha formato lungo due millenni.» In Il
fascismo, crocevia della modernità (Settimo Sigillo 1998) arrivavo invece a
queste conclusioni: «Il Fascismo, diversamente dal nazismo nato antisemita,
tradì gli Ebrei italiani. Attenuanti e giustificazioni non bastano a modificare
questo giudizio. Ancora una volta l’ipoteca cattolica aveva falsato la vera
natura di quei provvedimenti, dando loro l’impronta biologica esaltata da P.
Brucculeri.» Scrisse Curzio Malaparte (Mamma Marcia, Vallecchi 1959): «Gli
Ebrei italiani sono stati, fino al 1938, ferventi fascisti nella quasi
totalità. Nella lista dei martiri fascisti i nomi di Ebrei sono frequenti.
Ammiragli ebrei, generali ebrei, altissimi gerarchi ebrei, ministri ebrei…
Nel 1943, quando i Tedeschi occuparono l’Italia, gli Ebrei italiani subirono
persecuzioni, ma furono i Tedeschi a perseguitarli: ed è onesto osservare che i
processi intentati contro delatori di Ebrei, furono processi quasi tutti contro
delatori ebrei…»
Mussolini rimase prigioniero di quel Manifesto della Razza, che non era né
del tutto biologico, né religioso, né politico. Diede istruzioni perché fossero
salvati quanti più Ebrei, sottraendoli alla deportazione, ma non sempre quei
provvedimenti verranno accettati. Ettore Ovazza, ex-combattente, squadrista e
marcia su Roma, preferì seguire la sorte dei correligionari, finendo trucidato
insieme alla famiglia. L’on Aldo Finzi, sottosegretario nel primo governo
fascista, fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Ma cosa intende P. Sale quando
afferma che «la Segreteria di Stato assunse un atteggiamento piuttosto
prudente… per non contribuire a rendere ancora più dura la legislazione
antiebraica… in particolare degli ebrei convertiti al cattolicesimo»? Su quel
periodo Curzio Malaparte attesta: «Le conversioni di Ebrei fascisti erano
frequenti, presentando un carattere pubblicitario assai significativo.» Ciò
rivela le vere intenzioni del Vaticano facendo proprio il razzismo biologico:
lasciar perseguitare gli Ebrei, per poi accoglierli sotto la sua grande ala.
Così avvenne infatti: gli istituti religiosi accoglieranno gli Ebrei
fuggiaschi, salvando la reputazione del Vaticano.
In Francia, dove l’antisemitismo aveva radici ben più profonde, le direttive
vaticane furono improntate allo stesso principio: angariare gli Ebrei per
costringerli alla conversione. Ma se in Italia fu facile addossare tutte le
colpe al fascismo e a Mussolini, diamo uno sguardo alla Francia, dove nel 1944
arriva come Delegato apostolico monsignor Angelo Roncalli, il futuro Giovanni
XXIII. «La Chiesa francese non ha avuto un atteggiamento chiaro durante l’
occupazione, e ora la Resistenza minaccia di sottoporla a massiccia
epurazione», leggiamo sulla rivista cattolica Fêtes & Saisons (N° 547 – agosto
2000): «Il cardinale Baudrillart, il più compromesso coi Tedeschi, è morto nel ’
43, ma De Gaulle vuole punire i colpevoli, in primo luogo il Nunzio pontificio,
monsignor Valerio Valeri, costretto a rientrare precipitosamente a Roma. Il
ministro dell’Interno Georges Bidault dichiara che bisogna “bazarder” almeno
trenta vescovi, e porge la lista a Roncalli, che con calma taglia lo zero e
negozia. Egli ottiene che nessuno dei cardinali sia toccato e che il numero dei
vescovi da dimissionare sia ridotto a tre: monsignor de la Villerabel, che
aveva denunziato il terrorismo dei resistenti, monsignor Auvity, che aveva
proibito ai seminaristi di aderire alla Resistenza, e monsignor Dutoit, che
aveva apertamente sostenuto la collaborazione coi Tedeschi.» Domandiamoci
allora: questi trenta Vescovi, con monsignor Suhard, arcivescovo di Parigi alla
testa, avevano di loro iniziativa aderito allo Stato Nazionale del maresciallo
Pétain, alleato dei Tedeschi, il cui trinomio era: Dio, Patria, Famiglia, o non
avevano piuttosto seguito le direttive vaticane?         
                                                                                                     

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