E’ lunedì 2 febbraio: a palazzo Marini a Roma è in corso un “convegno” su Roma capitale promosso dal circolo New Age ( sic! ) prendendo spunto dall’approvazione in senato del disegno di legge sul federalismo fiscale che all’art.22 recita: Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’art. 114 terzo comma, della Costituzione.
Leggi il testo e ti accorgi che si sta legiferando sul federalismo fiscale imposto dalla Lega Nord ed, immediato, nasce il sospetto che si voglia far inghiottire al resto degli italiani il rospo della scissione dello Stato gabellando, con l’art.22, l’ordinamento transitorio di Roma capitale come affermazione di un simbolo di unità nazionale.
Ascolti gli oratori del convegno “parlarsi addosso” su un soggetto invecchiato nel proprio liquido amniotico ancor prima di vedere la luce e ti chiedi se sappiano di cosa stanno discettando mentre ti prende il rictus involontario non sai se provocato dal sarcasmo o dall’incazzatura. E’ un riflesso involontario quello che ti spinge a portarti le mani al viso per sondare se il metaforico anello al naso che senti formarsi nelle parole degli intervenuti si sia materializzato improvvisamente sulla tua appendice facciale.
Roma capitale, nientedimeno!
E’ dal 1990 che se ne parla, da quando, dopo l’entrata in vigore della L. 142/90 sull’autonomia statutaria e finanziaria dei comuni, venne emanata lalegge 15 dicembre 1990 n.396 di dieci articoli. Oltre ad individuare, all’art.1, sette interventi “… di preminente interesse nazionale …” si stabilivano procedure e finanziamenti per la realizzazione degli stessi. Una legge che, ben applicata, offriva l’opportunità di realizzare – o quantomeno di avviare – un ridisegno della città che, partendo dal rinnovo urbano e dalla riqualificazione delle periferie, reimmettesse in orbita il processo organico di formazione della città. Mancavano, allora, dieci anni alla fine del secolo XX e i maggiori stati europei erano già lanciati, senza aver formulato dichiarazioni di intenti in proposito, a presentarsi all’inizio del terzo millennio con le loro capitali rinnovate o accresciute dalla realizzazione di opere architettoniche e/o urbanistiche prestigiose concorrendo tacitamente a proporle come capitali-simbolo dell’Europa. Solo in Italia la classe politica al governo della città di Roma, intenta da sempre a sputare controvento, non si lasciò trascinare nella competizione pur avendo ottenuto la legge n.396/90 e i finanziamenti relativi. Nemmeno la concomitanza di due eventi epocali, l’inizio del terzo millennio e il giubileo 2000, valse ad infondere in lei un soprassalto di orgoglio per una città che era stata maestra nell’arte di creare la vita urbana. Non mancavano le idee e tantomeno quadri di riferimento per l’applicazione della L. 396/90 e della L. 142/90, ma si arrivò a ridosso del volgere del millennio senza uno straccio di programma e ancor meno di una visione d’insieme di quella che avrebbe dovuto essere Roma capitale e la sua area metropolitana.
Oggi, vent’anni dopo e 2759 ab urbe condita, ritorna, veicolata dal federalismo fiscale, Roma capitale come ente territoriale le cui attribuzioni sono poco di più di quanto la L. 142/90 attribuiva alla provincia di Roma e di conseguenza all’area metropolitana. Dato che la Regione Lazio non ebbe mai a delimitare territorialmente l’area metropolitana ed il governo non si è mai avvalso dei poteri delegatigli dall’art.21, si è trovato, oggi, l’escamotage di questo ordinamento transitorio per consentire a Roma di avvalersi delle attribuzioni che le dovrebbero esse conferite come area metropolitana. In più le verrebbero assegnate … ulteriori risorse a Roma capitale … previa la loro determinazione specifica … come doveva avvenire con la L. 396/90 e le verrebbe attribuito … un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite.
A questo punto, dopo aver speso anni di studio e discussioni in convegni sul tema è lecito chiedersi: è sufficiente questo art. 22 per fare di Roma una vera capitale?
I relatori del convegno non si sono pronunciati in merito, ma dalle loro esposizioni non traspariva l’idea di cosa fosse una capitale in termini di immagine.
Prima che si ingeneri qualche equivoco chiariamo il significato di immagine urbana. Non è riferita al solo aspetto formale della città percepibile attraverso il senso della vista, bensì alla forma che la stessa assume come sintesi espressiva – individuata esteticamente – della gradualità dei rapporti che intercorrono fra i diversi aspetti che la caratterizzano: l’aspetto storico individuato nella logica del suo particolare processo di formazione; l’aspetto tecnico-economico con le sue strutture produttive e la vastità dell’area di pertinenza in cui si realizza il mercato dei suoi prodotti; l’aspetto etico-politico con le sue istituzioni pubbliche e private nazionali ed internazionali; l’aspetto artistico-culturale inteso come attitudine di una città a “produrre” interpretazioni del mondo sia come sintesi che come prefigurazione.
Non sono, quindi, la grande dimensione o la ricchezza economica a fare di una città una capitale. Questi sono fenomeni meramente quantitativi che, ancorché rilevanti, si rivelano fittizi e forieri di squilibrio se assunti a soli valori di riferimento. Quel che fa una capitale è la sua polarità all’interno di un organismo civile, l’essere punto di attrazione e di riferimento di tutte le componenti materiali e spirituali dello stesso.Dal grado dell’organismo civile ( regione, stato, confederazione, ecumene ) deriva quello dealla capitale che lo rappresenta. La capitale è il luogo in cui l’aspetto storico si mantiene vivo nel senso che il suo processo di formazione è ancora ciclicamente attivo, dinamico esprimentesi non solo nei monumenti del passato più o meno recente, ma in quelli del presente attestanti la sua immutata polarità rispetto al mondo.
In tal senso qual è il grado, ovvero il valore di Roma capitale?
Una visione miope, frutto di un’”incultura”meccanicistica al tramonto, incapace di percepire il sistema delle relazioni che sta alla base di una geopolitica organica, la vorrebbe ridurre al ruolo di capoluogo di regione o “provincializzarla” al ruolo di una delle città metropolitane previste dalla L. 142/90 ignorando il valore ecumenico, universale, che da sempre è stata la dimensione della città anche nei momenti più bassi del suo processo evolutivo.
Era ecumenica quando Bonifacio VIII indisse il primo giubileo e ospitava meno di 30.000 abitanti. Lo rimase persino quando, durante la cattività avignonese, si ridusse a 17.000 abitanti. Lo divenne, grandiosamente, con Niccolò V quando sulla metà del quattrocento, ospitando appena 40.000 abitanti realizzò il luogo dove cielo e terra comunicano “ con la grandiosità degli edifici … monumenti in qualche guisa perpetui, testimonianze che sembrino opera dello stesso Dio “. Con queste parole lo stesso papa dettò il suo testamento spirituale ai cardinali raccolti al suo capezzale. E fedeli a questo testamento furono i pontefici che seguirono ed i reggitori di Roma. Perraggiungere la piena maturità dell’immagine della città universale, ecumenica, il luogo della comunicazione fra cielo e terra, bastarono i 100.000 abitanti del 1600. Lo splendore barocco fu realizzato da una città di circa 130-150.000 abitanti.
Oggi, con oltre 2.800.000 abitanti, la città vive, in termini di immagine, su ciò che realizzarono quei pochi abitanti della città santa universale, incapaci come siamo di creare una nostra moderna imago mundi. Siamo “provincia” per scelta di pochi: siamo parassiti – in immagine – su un corpo urbano assediato dall’opulento squallore di una città che vanta un motore ad abitante e che è pronta a “vendere” le grazie del suo centro storico che rappresenta meno del 6% del suo patrimonio edificato. Un atteggiamento da prosseneta che speriamo non trovi riscontro nell’azione politico-urbanistica della nuova amministrazione.
Eppure a cogliere il senso della sua condizione ecumenica sarebbe sufficiente considerare la sua situazione geografica. Roma è al centro del Mediterraneo il genitore dell’Europa e dei paesi rivieraschi. Per la sua posizione e per ciò che la stessa ha dato luogo, il suo ruolo sarà sempre di grado elevato sia che lo eserciti i n positivo effettuando una sintesi del duplice aspetto dell’Europa ( mediterranea e continentale ) che lo eserciti, invece, in negativo 2Provincializzata” come area metropolitana e ridotta ad avamposto di frontiera nei confronti dei balcani, del vicino medio-oriente e dell’Africa.
Che piaccia o meno.
Roma è un caso emblematico del concetto di polarità. Anche i n decadenza sarebbe, comunque, l’oggetto di mire esterne per ciò che ha rappresentato e per quello che, potenzialmente, potrebbe rappresentare ed il suo destino si rifletterebbe sui suoi antipoli. Quindi Roma dovrà avere una sua politica attinente al ruolo che riveste in Italia, nel Mediterraneo e in Europa: Una politica di immagine di città ecumenica perché la sua esistenza implica il concorso o provoca l’interesse di tutto il mondo.
Non è, certo, la Roma capitale che scaturisce dal disegno di legge sul federalismo fiscale, tardiva realizzazione della L. 142/90, mai completamente applicata, quella che potrà svolgere il suo ruolo polare. Dovrebbe essere un ente territoriale con attribuzioni molto più ampie. Una sorta di città-stato in grado di legiferare, soprattutto in campo urbanistico e in quello economico al di fuori dei condizionamenti regionali ed estesa a comprendere i comuni che, per logica di sistema, formano con lei un i insediamento organico. E’ pur vero che tutte le strade portano a Roma – perché è da lì che partivano – e quindi il sistema polarizzato su Roma si estenderebbe, in teoria, all’antico ecumene romano, ma non ci si riferiva a questo livello; vi è una dimensione di grado più ridotto che definisce, appunto, l’area metropolitana e che in studi sempre più approfonditi è stata individuata e pubblicata a più riprese a partire dai primi anni ’90. Vi è, anche, una immagine, tratteggiata abbastanza compiutamente, di Roma proiettata nel terzo millennio che fu elaborata da AN per le elezioni amministrative del 1997 e pubblicata quando l’attuale sindaco era all’opposizione. In essa si considerava l’avvento del terzo millennio come momento di svolta per la città eternae si auspicava la nascita della Quinta Roma dopo la terza che vide la capitale d’Italia prendere forma compiuta con la mostra del 1911 e la quarta che ancora vede il degrado delle periferie. L’ingresso nel terzo millennio è ormai alle nostre spalle, ma nessun segno di riscatto culturale e politico è stato registrato da parte delle amministrazioni e dei governi che ci hanno portato fino ad oggi. La nuova amministrazione ed il nuovo governo hanno davanti un compito che investe non solo Roma, ma l’Italia e l’Europa in una diversa e più matura prospettiva politica e non può esaurirsi in un articolo di legge sul federalismo fiscale.
Ci sia perdonato il peccato dell’autocitazione. Avemmo a scrivere, a proposito della funzione culturale della Quinta Roma, come la stessa dovesse avere il compito“… di rivisitare, in chiave processuale, tutti gli ideologismi degli ultimi due secoli riproiettandoli in una dimensione temporale millenaria e superandoli in una più matura concezione del mondo. La visione del mondo secondo la scienza, la filosofia, l’economia, le istituzioni giuridiche e l’arte si dovrà confrontare con l’espressione materializzata della civiltà: la città dell’uomo. “
Siamo senza illusioni, dati i tempi e gli uomini, ma ci piacerebbe che in un futuro riscatto dalla condizione presente una Roma capitale adottasse, come sintesi delle finalità cui dovrebbe tendere, la parafrasi di quanto ebbe a proclamare il presidente del Comitato esecutivo dell’Esposizione universale di Roma 11 conte Enrico di S. Martino nel discorso di insediamento:
“ Roma e l’Italia chiamano il mondo a riconsiderare il cammino della civiltà dello spirito percorso in due millenni di storia per superare le secche del pensiero moderno ed aprire la strada all’evoluzione nel 3° millennio. “