Dopo quaranta anni, vince il progetto di Giorgio Almirante. E nessuna rottura con la storia del primo Novecento.

Domenico Cambareri

23 Marzo 2009

Chiusura di Alleanza Nazionale e nascita del Popolo della Libertà – Errori recenti e meno recenti, inconcludenze e progetto di lunghissima durata finalmente riuscito – La memoria dei fatti storici di ieri aiuta a comprendere gli avvenimenti di oggi – A Silvio Berlusconi spetta la responsabilità di creare in  appena qualche anno una moderna Destra, nazionale ed europea, interclassista, e non un fumoso e acquiescente “centro”destra a rimorchio di codini e bigotti – Doveroso e indelebile il ricordo di Giorgio Almirante, vero precursore, come lo fu per altri temi Randolfo Pacciardi – Ma quanto ancora vivrà in Italia la partitocrazia?

 

 

Il congresso di chiusura di Alleanza Nazionale non ha molte cose significative in sé. Alleanza Nazionale ha rappresentato un passaggio di necessario adeguamento al nuovo, che poteva e doveva avvenire con forme e soprattutto con contenuti diversi. In essa, infatti, uno degli artifici, Domenico Fisichella, faceva rifluire in maniera inappropriata impulsi e concrezioni cattolico-reazionarie che alla fine avrebbero inciso non poco nel far regredire il panorama culturale interno, per quanto imbellettato con ideali e finalità liberali. Alleanza Nazionale diventava, nella realtà delle cose, una forza politica apertamente schierata, confessionale, papalina. Nulla toglie che l’auto-allontanamento di Domenico Fisichella, qui in piena coerenza con i suoi principi in merito al no alla decentralizzazione dello Stato e alla sua trasformazione in mero apparato burocratico-federale – idea che ho sempre apertamente condiviso e che continuo a portare avanti -, alla fin fine sia valsa a poco. Sia per la bassa levatura culturale che per la poca lungimiranza politica del vertice di AN ex MSI-DN, sia perché tutta un’intera struttura e tutto un intero apparato politico, tutto un partito, diventavano un qualcosa di cui il presidente poteva disporre a suo piacimento. Un presidente-padrone e un partito senza congressi. Questa è la triste, breve storia di AN, costellata da un’infinità di scissioni e di abbandoni, e di qualche ritorno per pagnotta e potere. La rottura non con la nostalgia e il nostalgismo di cui sempre mi è importato poco e nulla, la rottura con i principi identitari della storia patria, soprattutto in riferimento al loro riscatto relativo agli anni cruciali del primo ‘900, del fascismo come movimento storico e ideale particolarissimo ed elevato e peraltro irripetibile, del regime fascista non meno irripetibile e caratterizzato anche da aspetti di cruciale importanza per l’avanzamento della Nazione, tutto questo ed altro ancora … è stato posto sul piatto del tutto dare da Fini per ricevere la patente del filo sionismo internazionale. Errori micidiali, incoerenze abissali e giammai sanabili, dietrofront che caratterizzano imprevedibilità e assoluta mancanza di affidamento morale e politico.
In realtà, gli avvenimenti politici italiani hanno subito una sempre più forte accentuazione in questi quindici anni per la presenza inaspettata di un imprenditore, Silvio Berlusconi, che, pur con il suo burrascoso passato, ha di fatto determinato trasformazioni radicali fondamentalmente più che positive. Trasformazioni che hanno avvicinato sempre più, con contraccolpi e brusche frenate imposti da forze politiche minoritarie e ricattatrici, il nostro Paese al sistema bipartitico. Non ritengo e non ho mai ritenuto questo modello l’espressione più alta e più funzionale di un sistema politico liberaldemocratico. Esso tuttavia ha rappresentato e rappresenta ancora per l’Italia un male certamente minore rispetto alla frammentazione dei partiti e alla capacità di interdizione e di ricatto che minoranze parlamentari esigue possono esercitare sulla coalizione di governo di cui fanno parte, contro l’interesse generale. E questa, come tutti ben sappiamo, è stata la cruda, distruttiva storia parlamentare e politica del secondo ‘900 italiano. E’ oggi, dunque, il progetto perseguito dai club di intellettuali e politici che si sono raccolti attorno a Berlusconi a vincere, con lui, club di variegata ed eterogenea provenienza, con individui non sempre specchiati in termini politici e di coerenza, ma che lo hanno saputo sostenere  in tutti questi anni. Non solo e non certo, quindi, gli yesman che vivono sempre di ricerca di potere e di danaro.
E’ Silvio Berlusconi che sta portando a compimento questo processo necessario del bipartitismo. Alleanza Nazionale non ha fatto altro che dire di sì. E non poteva dire che sì sia per non rischiare sempre più in una guerra d’attrito con l’alleato maggiore che l’avrebbe potuta in qualsiasi momento, con inattesi responsi elettorali, fortemente penalizzare; sia per non essere sempre più scoperta di fronte ai temi spesso beceri della “borsa” del localismo portati avanti dalla Lega; sia, soprattutto, in riferimento ai “temi nobili” della politica, perché al suo interno allignava una linfa di ideali, inclinazioni, energie quasi sopite ma non morte trasmesse dalla memoria storica di Giorgio Almirante.
Con Silvio Berlusconi, con il sì di Alleanza Nazionale, dunque, entro una seria analisi e ad una fondata prospettiva storica, nasce ciò che Giorgio Almirante aveva auspicato e aveva cercato di realizzare tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta. Cosa allora non riuscita, subito abortita, non perché ancora anticipatrice dei tempi, come non era stata troppo anticipatrice dei tempi l’esperienza di Nuova Repubblica di Pacciardi. Il fatto è che le fortissime animosità presenti nell’intellighenzia che guidava i partiti di allora, l’esasperato ed esasperante spirito partitocratico ammorbava coscienze, ragione, tutto…!  Malagodi, leader del PLI, esponente di spicco della borghesia intellettuale dedita alle attività di “uomini di Stato”, non capì mai, nonostante le sue esperienze diplomatiche, a cosa avrebbe potuto portare il senso della proposta di Almirante nell’innovare la vita politica italiana, nel far uscire dal ghetto qualche milione di voti che avrebbe potuto stabilmente contribuire al governo della Nazione, fondare una nuova, grande Destra italiana sul modello di quelle francesi e anglosassoni. La triste storia è che il PLI sarebbe praticamente scomparso  in appena qualche anno e che l’Italia si sarebbe incamminata per lunghi anni nel buio delle lotte armate proletarie, delle stragi, delle interferenze internazionali occulte, dei “doppi estremismi” perseguiti da qualche mente politica criminale della DC come esclusivo pericolo fascista…
In realtà, oggi, con lo scioglimento di Alleanza Nazionale, è il progetto di Giorgio Almirante che vince. A Silvio Berlusconi resta questa grande eredità ancora non rivendicata, quella di costituire una grande Destra e non un “centro”destra. Un progetto quasi compiuto, che però rischia di restare mozzato, per il solito pericolo della persistente capacità dei club confessionali di sapersi infiltrare, ricicciare, condizionare, non meno dei sionisti. Ma l’Italia, per uscire dal collo della bottiglia, deve riuscire proprio in questo. Altrimenti, sono e saranno altri gravosi, pesanti oneri che un’Italia ancora a parole democratica e liberale “laica” dovrà pagare nella sua politica interna e non di meno in quella internazionale agli idoli della spelonca, del teatro, del foro, delle tribù.
                                                                                                                                                                                          

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