L’Aquila e la sua storia. Origini, attività produttive, politica, cultura, cataclismi

18 Aprile 2009
Riceviamo dall’arch. Piero Rocchi (fonte: Wikipedia) e pubblichiamo

L’Aquila. Le sue origini, la sua storia.

 

Transumanza, attività produttive, politica, arte

 La città, già ideata da Federico II di Svevia, ha come atto di fondazione il diploma rilasciato da Corrado IV, figlio dell’Imperatore, nel 1254 che così recita: “…al fine di impedire a generici predoni, che davano man forte a quanti traditori si schieravano contro l’impero, di penetrare nel regno. Si stabilisce che nel luogo detto Aquila sito tra Amiternum e Forcona, laddove vi sono castelli disparsi ma fedeli, si costruisca una città che appunto sia Aquila riprendendo e il nome del luogo che l’emblema dell’impero. La fondazione gioverà sia al sovrano che ai sudditi…”

In epoca romana, nella vallata dove nascerà poi l’Aquila,  c’era una fioritura notevole di città, come Amiternum per i Sabini, Forcona per i Vestini, e poi Aveia, Peltuinum ed anche Pitinum, cioè Pettino. Tutta questa zona era percorsa da una gran numero di vie commerciali e la stazione di posta di Pitinum era al centro di un nodo viario molto importante, soprattutto in riferimento ad Amiternum, la cui importanza è testimoniata da imponenti resti archeologici. Una bretella univa Amiternum alla Salaria, poi da Pitinum si separava la Claudia Nova che arrivava fino all’attuale Bussi sul Tirino, e confluiva poi nella Tiburtina Valeria, che collegava Roma  all’attuale Pescara. Da questa ripartiva poi la Minucia che finiva a Castel di Sangro. Non solo, da Pitinum partivano la via Cecilia per Interamnia, l’odierna Teramo, e la via Litina, che sappiamo univa Amiternum alla Salaria verso Amatrice.
Cosa giustificava questo imponente sistema viario? Non si spiega come mai in una zona così aspra e montagnosa si costruisca una fitta rete stradale. La spiegazione sta nel fatto che  tra queste valli era nata   la Transumanza. Questa realtà esisteva già in epoca italica, ma si sviluppa solo a partire dal II secolo a.C., quando, con le guerre puniche e lo spopolamento della Puglia causato dalle confische, la nobiltà romana acquisisce larghi latifondi che diventano utilizzabili soltanto dalle greggi.
E qui Vestini e Sabini danno nuovo impulso all’attività della Transumanza, che è sempre esistita, ma che a quel punto si evolve acquisendo appunto un carattere industriale, tanto che gli stessi imperatori romani investono nella Transumanza, tant’è che la città di Peltuinum nasce per contare le pecore. Immaginate la vita che doveva fervere in questa città nei tre o quattro mesi l’anno in cui transitavano le greggi. Non si giustifica diversamente la presenza di un teatro all’aperto capace di ospitare tremila spettatori.
La Transumanza, infatti, si trasforma da economia di sussistenza a economia di investimento di capitali. Un’economia che si caratterizza per la massima concentrazione e la massima differenziazione specialistica della produzione, con presenza di salariati e capitali ed è chiaro, quindi, perché sono nate queste strade, le città, i teatri e quant’altro.
Ma la condizione perché l’economia della Transumanza fiorisca è la certezza del diritto. Bisogna avere la garanzia di trovare il pascolo, di viaggiare in sicurezza e di poter far ritorno sani e salvi. Crollato l’impero romano che assicurava questa legalità, finisce anche la Transumanza e con essa tutto l’indotto economico e sociale collegato. Tutto va in rovina e quanta poca sicurezza vi fosse ormai per il mondo della Transumanza lo si può capire dall’editto di Teodorico del VI° secolo che punisce con la morte il furto delle greggi.
Venendo a mancare l’attività di produzione, con la fine dell’Impero romano iniziò la rovina del territorio durata qualche secolo, infatti, quando nel 980 giunge sul posto Ottone I, la cronaca della sua venuta parla di ruinas tantas di Amiternum.
In quei secoli il meridione d’Italia vede la presenza di grandi monasteri: Montecassino, Farfa, San Vincenzo al Volturno. Essi sono grandi centrali di controllo di vasti possedimenti territoriali. I monasteri però non sono in grado di gestire il potere; con la loro economia di autoconsumo, garantivano soltanto la sopravvivenza. Quel periodo storico è segnato dal terrore delle scorribande saracene. Il Sud vive in quel tempo la tragedia infinita dei feroci assalti condotti dai pirati arabi che possedevano portolani e dettagliate carte delle coste italiane e dell’interno, sapevano dove sbarcare attaccando scientificamente i grandi monasteri e i centri abitati, uccidendo centinaia di persone e di monaci ogni volta, ottenendo così di avere intere province alla loro mercé.  In questo panorama fosco, le grandi abbazie non erano in grado di garantire la difesa ed è in questa situazione che giungono in Italia i Normanni dopo l’anno mille, i quali stabiliscono un regno destinato a durare per quasi mille anni, praticamente fino all’arrivo di Garibaldi.
Come visto, la fondazione dell’Aquila avviene nel 1254 per volontà degli abitanti dei castelli sparsi nel territorio circostante i quali intendono sfuggire alle vessazioni dei baroni feudali, dopo essersi rivolti anche al papa Gregorio IX nel 1229, ottengono finalmente da Corrado IV, figlio dell’Imperatore Federico II, il permesso di fondare la città, riprendendo il toponimo del luogo in cui essa nacque, anche perché il nome richiamava l’insegna dell’impero, che è appunto un’aquila, immagine che peraltro ritorna nello stemma della città.
L’Aquila è una città particolare, unica nel Medioevo, nata non per una casualità ma per progetto secondo un disegno armonico che non trova precedenti nella storia dell’urbanistica ed è da considerarsi uno dei più importanti avvenimenti nella formazione dell’architettura urbana nell’Europa occidentale. La nascita dell’Aquila, tra i monti dell’Appennino, fu un evento così importante  da inserirsi  a pieno titolo nel contesto europeo contemporaneo.
La città si incentra sul numero 99, infatti, essa fu costituita dall’unione di 99 castelli presenti nella zona , ognuno dei quali costituì un quartiere che rimase legato al villaggio-madre e fu considerato parte dello stesso per circa un secolo. Il suo numero magico 99 si ritrova perché tante sarebbero le chiese, le piazze e le fonti presenti nel comune, senza dimenticare la nota fontana detta appunto delle 99 cannelle.
Nella nuova città demaniale i cittadini dei castelli inurbati dentro le mura (intra moenia) e quelli rimasti nei castra d’origine (extra moenia) mantengono gli stessi diritti civici e nell’uso delle proprietà collettive, come pascoli e boschi.
Nel 1259 la città fu distrutta  ad opera di re Manfredi e nel 1266 risorge come libero Comune.  Ognuno dei villaggi eleggeva il proprio sindaco. L’unione dei sindaci costituiva la “camera” cittadina, con a capo un Camerlengo, responsabile dei tributi, che, da allora in poi, furono pagati da tutta la città in quanto tale, mentre, in precedenza, erano pagati dai singoli villaggi, ognuno dei quali comprendeva il quartiere realizzato in città.
Grazie all’autonomia politica e amministrativa, lo sviluppo economico e territoriale fu rapido. L’Aquila poté battere moneta propria, un vero privilegio dell’epoca medievale, e dare impulso ad alcune attività specifiche, quali l’industria della seta, della lana e dei merletti, e alla coltura dello zafferano, che le fecero assumere il ruolo di centro importante del Regno Angioino , seconda solo a Napoli per potenza e ricchezza, appoggiando la casa d’Angiò contro Alfonso d’Aragona e raggiungendo  nella seconda metà del 1400  l’apogeo della sua potenza.
Risale a questo periodo la creazione di uno “Studio generale” (un’antica università) e l’apertura d’una fra le prime tipografie italiane a opera di Adamo di Rottwill, diretto discepolo di Gutenberg.  
Nel XVI secolo l’Aquila iniziò a decadere, quando il viceré spagnolo Filiberto d’Orange, dopo averla saccheggiata e in parte distrutta, la separò dal suo contado con forti perdite territoriali e gravi imposizioni fiscali da parte del governo imperiale, introducendovi il feudalesimo spagnolo. Persa così l’autonomia e funestata, inoltre, da una serie di terremoti ed epidemie, fu scenario di continue ribellioni interne fino al XVIII sec., quando salì al trono di Napoli Carlo III, dei Borboni di Spagna, che cercò di risollevarne le condizioni economico-sociali.
Ma coi fatti del 1799, L’Aquila fu costretta a subire un nuovo saccheggio da parte francese, e durante il regno di Murat fu privata di considerevoli tesori artistici. Nel periodo risorgimentale, dopo la restaurazione borbonica, partecipò ai moti del 1821, del 1831 e del 1848, e dichiarò la sua annessione al regno d’Italia l’8 settembre 1860, subito dopo l’entrata in Napoli delle truppe garibaldine.
Il patrimonio monumentale medievale-rnascimentale abruzzese, testimoniato da numerosi edifici sacri e civili, è tra i più cospicui d’Italia; tra questi spicca la chiesa tardoromanica di Santa Maria di Collemaggio, iniziata nel 1287 fuori dalla cinta muraria, caratteristica per la sua facciata ad incrostazioni marmoree e per i bellissimi portali, è il monumento più insigne e meglio conservato della città, nonché la più alta espressione architettonica dell’intera regione. Pure tardoromaniche, ma in parte rimaneggiate, sono le chiese di Santa Giusta (1257-1349), Santa Maria di Paganica, San Flaviano (risalente alla fine del 1200) e San Silvestro. La basilica rinascimentale di San Bernardino (1454), con la facciata cinquecentesca di Cola dell’Amatrice e sculture di Silvestro dell’Aquila, contiene il mausoleo dedicato a San Bernardino da Siena
Numerosi sono i palazzi cinquecenteschi e i monumenti sia barocchi che neoclassici lungo le strade del centro storico cittadino.
Caratteristico monumento è la Fontana dalle 99 cannelle costruita del 1272 e di seguito ampliata  con la doppia vasca su cui versano l’acqua 99 getti, rievocante la tradizione cittadina collegata al numero delle antiche piazze e degli antichi “castelli”.
Nell’imponente Castello cinquecentesco, costruito dagli Spagnoli, ha sede il Museo Nazionale d’Abruzzo.
Ricca di tradizioni culturali, L’Aquila vanta inoltre un’Accademia di belle arti, un Teatro stabile, una Scuola di arte drammatica, un Conservatorio musicale e il Centro studi musicali Alfredo Casella, nonché, dal 1964, una Libera università e un Libero istituto universitario di medicina e chirurgia. L’economia della città, oltre al turismo, si fonda sul commercio, ma soprattutto sull’industria ed in particolare su quella dell’elettronica, senza dimenticare il laboratorio di fisica nucleare nelle viscere del Gran Sasso. E proprio la vicina montagna è meta usuale per escursionisti e sciatori.

 

 
 
L’Aquila. I cataclismi e le tragedie umane.
La città dell’Aquila sorge in uno dei territori a maggiore sismicità della penisola;  nel corso della sua storia è stata funestata da notevoli eventi tellurici, infatti, la storia dei terremoti italiani registra molto spesso il nome di località abruzzesi.
Il primo terremoto di cui si abbia notizia in tempi storici risale al 3 dicembre 1315.
Un gravissimo sisma si ebbe il 2 febbraio del 1703, nel quale oltre 3.000  abitanti perirono sotto le macerie e crollarono quasi tutte le chiese della città.
Il terremoto di maggiore importanza nella storia della città si ebbe però il 31 luglio 1786 e si stima che in questo evento tellurico siano morte attorno alle 6.000 persone con notevole danno al patrimonio edilizio. Nel 1904 è la volta della Marsica e di Avezzano e ancora  nel 1915 Avezzano è distrutta e colpita di nuovo la Marsica, anche L’Aquila fu interessata, pur se in modo secondario, dall’evento.
Nel 1933 il terremoto colpì la Maiella. Nel 1943 ancora Marche e Abruzzo. Nel 1958 di nuovo L’Aquila e nel 1963 Ariano Irpino e l’Irpinia seguita da vari eventi minori fino al 6 aprile 2009, quando alle ore 3,32 un terremoto di magnitudo di 5,8 gradi della Scala Richter e tra l’8° e il 9° grado di distruzione della Scala Mercalli, ha scosso il centro Italia, dopo diversi mesi di leggere scosse localizzate e percepite in tutta la zona dell’aquilano. Il sisma ha riversato la sua forza sull’abitato dell’Aquila e sui paesi limitrofi, tra i quali Onna, il cui centro in proporzione è stato il più colpito, sia come numero di vittime che come danni all’abitato. Il capoluogo presenta crolli anche totali in ogni zona del centro abitato e gravissimi danni alla maggior parte degli edifici di valore storico e culturale. Le chiese principali risultano gravemente danneggiate o quasi completamente crollate. Particolare rilevanza ha avuto la mancata resistenza e quindi il danneggiamento talvolta irreversibile della maggioranza degli edifici pubblici, sia antichi che moderni, con maggiore scalpore per questi ultimi: esempi sono l’ateneo e le varie sedi distaccate dello stesso, il moderno polo d’ingegneria, la prefettura con sede nel Palazzo del Governo, la Casa dello studente di via XX Settembre, l’ospedale S. Salvatore, molti palazzi signorili del ‘700 e dell’800.  Per chi non è stato nelle zone terremotate è difficile immaginare l’entità delle devastazioni. Anche vedendo foto e filmati non si percepisce la tragedia in tutta la sua interezza. Una città, il suo territorio, i paesi della valle, e poi le chiese, i castelli, i centri storici, tutto è distrutto. Non si sa cosa possa essere salvato, sicuramente qualcosa, forse più di qualcosa, ma di certo il danno è enorme. Superata la prima fase dell’emergenza, stabilizzata la situazione dei senzatetto, verrà a breve il momento di pensare al domani. Il primo passo sarà dare una casa a chi l’ha persa, in una parola: ricostruire. Ma qui non si tratta di operare in una città moderna, bensì di un grande museo all’aperto, di una metropoli di fondazione medievale stratificatasi nei secoli, ricca di una infinità di edifici storici, costellata di chiese, di palazzi nobiliari, di monumenti. Non si può pensare di ricostruire ex novo dimenticando il passato. Non lo si può fare a L’Aquila come non lo si può fare nei borghi, che erano si povere case, ma avevano secoli di storia.

 

L’Aquila. Quale futuro.

Ora si decide il futuro dell’Aquila, della grande Vallata e dell’intera regione. Il futuro economico di quelle terre non può essere nell’industria, che, come testimoniano gli interventi realizzati in altre occasioni simili ha già ampiamente fallito la sua missione, né può essere nell’apertura indiscriminata di centri commerciali. Parte del futuro è nell’università e nella ricerca, senza subbio, ma la gran parte è nel turismo di qualità, supportato dalle produzioni agro-alimentari tipiche. E il turismo di qualità si fa solo in un territorio di qualità, che ha il suo tessuto urbano e il suo paesaggio intatti, rispettati; i suoi monumenti e i suoi musei ben conservati, integri, meritevoli di ammirazione. L’esistenza o meno di tutto questo dipende appunto da come si ricostruirà. E si decide ora.

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