Riletture. Cicchitto ci ricorda cosa significa l’uso strumentale del giornalismo e del potere giudiziario ai fini della lotta politica. Senza esclusione di colpi
“L’Uso politico della giustizia” già dal titolo presuppone, anche per il lettore più accorto, un viaggio in meandri sconosciuti della vita politica italiana. Non fresco di stampa, già pubblicato da tre anni, in un momento di recrudescenza degli scontri politici quali quelli odierni con altri strumenti e sotto falsi obiettivi, questo volume conserva tutta la forza descrittiva di come i servizi giornalistici e le inchieste giudiziarie hanno svolto e svolgono un ruolo di primo piano. Leggere le pagine di Fabrizio Cicchitto , esponente di rango di Forza Italia ieri e del nuovo PdL oggi, già membro della commissione d’inchiesta sul “Dossier Mitrokin”, significa comprendere, in un’ottica studiata e sicuramente diversa da quella frequentemente conosciuta attraverso le più diffuse testate giornalistiche, le vicende che hanno caratterizzato la storia di questa nostra ‘maltrattata’ Italia. In esso l’autore ripercorre gli episodi che vanno dalla sanguinosa eredità della guerra civile del 1943-45 ai giorni nostri, raccontando con linguaggio scevro da polemiche di parte particolarmen te rilevanti e ricco di studi dettagliati di fatti e indagini “il dopoguerra, il boom industriale, gli anni di piombo, la lotta alla mafia, Tangentopoli”. In queste pagine ci si addentra nei corridoi solitari di sotterranei rimasti finora inesplorati dove albergano fascicoli e fascicoli di pagine documentarie svelatrici di arcani segreti. Corridoi e faldoni che trattano di vicende reali e a noi vicine, che hanno caratterizzato gli anni di giovani generazioni e hanno portato alle battaglie odierne. L’ingerenza del potere giudiziario sul potere politico causa del collasso dei partiti più forti degli anni ’70, la sospetta sopravvivenza di chi voleva egemonizzare e controllare per molti anni a venire tutta l’attività politica economica e culturale d’Italia, rendendola colonia della supremazia sovietica. Fabrizio Cicchitto fa rivivere sessant’anni di vita italiana con imprese e personaggi quali in grandi gruppi indutriali, Fiat in testa, la Banca d’Italia, le segreterie dei partiti, Cuccia, Falcone Andreotti e Agnelli. L’autore realizza con il suo “L’uso politico della giustizia” (edito da Mondadori nella collana degli Oscar, 2006) attraverso una indagine di documenti, di casi giudiziari, di montature giornalistiche, di tentativi di discredito e di annientamento pubblico attraverso la stampa, di investigazione puntuale e critica volta a veder chiaro nell’enigma politico di quegli anni, una profonda analisi su come l’imbarbarimento della lotta politica sia spesso avvenuta, è bene ripeterlo, senza esclusione di colpi e di come non solo il giornalismo, certo tipo di giornalismo, ma anche e infine soprattutto la magistratura siano diventati prima strumenti prediletti poi protagonisti principi della stessa lotta politica. Un libro che, proprio in questi giorni, andrebbe riletto per rinfrescare la memoria a tanti, visto che svela con sagacia la realtà che sottende quelle vicende e ci aiuta a comprendere fatti di cronaca politica dei nostri più recenti anni. Per non parlare di quelle, non meno squallide graffiante aggressive gridate e condizionanti, di queste ultime settimane. Su come, insomma, anche strumentali polveroni servono lucidamente a dare colpi di frusta e a colpire sempre più un basso l’avversario, tanto da lasciarlo letteralmente tramortito e barcollante, incapace di reagire con altrettanta lucidità e immediatezza. Ma soprattutto incapace di prevenire e parare altri colpi, di fronte alla tecnica dello scandalismo ad ogni costo, che ha sempre completà libertà d’iniziativa. Una cosa, forse non marginale, sullo scandalismo di questi giorni però pare acquisita: la sinistra di fronte al pericolo della strategia vincente di Berlusconi delle starlette delle veline e del bottino elettorale sembra preferire gli omosex e massacrare Silvio a colpi di “valori”. Sui valori, la sinistra, proprio la sinistra.