Referendum e ballottaggio elettorale: colpi bassi, mancanza di assunzione di responsabilità dei partiti, disaffezione politica della base … rendite politiche e permeabilità al malaffare. Ancora una volta vince la partitocrazia
C’è una disaffezione profonda. Anche colpa dei bau bau della sinistra a Berlusconi e della campagna mediatica di bassissima speculazione di cronaca da bassifondi
La partecipazione elettorale si è attestata al ballottaggio delle comunali poco sopra il 61%, a quello delle provinciali attorno al 46%. Un dato che accentua la scarsa propensione degli italiani ad andare a votare per la seconda volta. Esso segnava già una flessione dei partecipanti al primo turno. Nulla di scandaloso ad avviso di non pochi politologi che, come Sartori, guardano come modello a quello di tipo liberale del nord Europa e soprattutto degli USA, Paesi in cui la partecipazione scende vertiginosamente ed in cui a decidere è un elettorato partecipe poco sopra il 40%. Per noi, italiani, invece, costituisce un problema, forse per abitudine inveterata e al tempo stesso di buona tradizione civica (una delle poche cose che ci rimangono in politica?), con il dire che la scarsa partecipazione penalizza comunque l’obiettività del risultato generale. Il fatto è che molti italiani sono stanchi effettivamente di andare a votare. In fondo, oggi come ieri e più di ieri, albergano ancora di più in loro un senso e un motivo di ampia sfiducia: cosa di cui si deve incolpare esclusivamente la classe politica. Questo dato è il risultato di una realtà tutta italiana, che prescinde dalle analisi e dagli enunciati di Sartori e si colloca tutto entro il contesto della nostra storia elettorale. Nei suoi contenuti specifici, la tornata elettorale articolata nei suoi due appuntamenti vede un’ampia conferma del Pdl, seguita, a distanza e con ampia settorialità, da forze che si basano su specifiche piattaforme quali la Lega, L’Italia dei valori, il CCD. Il dato di massimo rilievo è l’accentuata fase di crisi, se non di declino, delle forze raccoltesi sotto il simbolo del PD, seconda forza elettorale del Paese. Da ciò non può che risultare una seconda bocciatura della linea della leadership, ieri di Veltroni e oggi di Franceschini, che con i continui bau bau contro Berlusconi, con la campagna mediatica di bassissima speculazione di cronaca da bassifondi, con l’inizio della disfatta sempre annunciata del nemico neppure gli importa d considerare il livello di suicidio elettorale a cui è giunto. Cecità o pazzia? O tutte e due le cose? Inaspettato l’aiuto giunto da D’Alema, anche se sottile come le lame che il personaggio usa utilizzare, ma esso è servito a poco e pare che porterà a dei boomerang proprio in terra di Puglia, dove un parvenieu è diventato un principe della politica e di sport di classe marcatamente borghese. In lode della rendita politica. Le cose che più ci importa rilevare sono due: la prima, relativamente ai risultati elettorali conclusivi, di come i grandi e i piccoli partiti nazionali si lasciano felicemente coinvolgere nelle corride elettorali comunali di città, cittadine e paesi in cui il livello della permeabilità politica e della inefficienza delle giunte e dei consigli comunali è enorme. Questo è un dato di una gravità immensa, che porta a diagnosticare la specificità del male italiano. Su di esso, torneremo quanto prima. La seconda è su ciò su cui non abbiamo ancora fatto riferimento: il referendum. La partecipazione elettorale si è attestata appena al 23-24%. Un vero tracollo di partecipazione in riferimento ad uno strumento che per la natura dei sui fini, dovrebbe ottenere invece un’elevata adesione del corpo elettorale. Ed è proprio qui che, senza prescindere dagli abusi referendari a cui abbiamo assistito negli scorsi decenni, si palese in pieno la crisi partecipativa dell’elettorato italiano. La demotivazione risulta dal giudizio che la stragrande maggioranza dei cittadini dà della qualità della vita politica e della fiducia che il ceto politico non riscuote. E’ un non senso, a rigore di logica, ma è la risposta della demotivazione, del pessimismo, dello scetticismo che alberga nell’animo della stragrande maggioranza degli italiani, i quali sentono parlare di riforme da quando avevano i calzoni corti. Altro, allora, che utilizzare frasi scopertamente demagogiche come quelle degli sproloquianti Bossi e Casini. L’elettore non è andato a votare non perché ha bocciato il bipolarismo, ma perché crede e sa che poi il parlamento, il potere legislativo fa quello che vuole, beffando, come in non pochi casi in precedenza, i risultati della “volontà popolare” apertamente contraddetta (vedi il referendum sulla responsabilità personale del giudice). Eppure, anche non condividendo parte del merito del referendum o tutto per intero, c’era da andare a votare … In questo, dobbiamo ritenere che quanti hanno votato per il referendum, tra un quarto e un quinto dell’elettorato, rappresentano una realtà di cittadini assolutamente e positivamente trasversale, ossia appartenenti a tutti, o quasi, i gruppi politici, di persone che non si rassegnano e non vogliono dare per scontata la morte delle stagioni delle grandi riforme, che fu appena iniziata e che risale, per chi ha buona memoria, alla presidenza della commissione bicamerale del liberale Bozzi. Essi sono una vera cartina di tornasole e fanno capire come all’interno dei partiti vi sono pur sempre, anche se relegati a presenze scomode, uomini e processi ideativi che non si fermano nel voler vivere alla giornata. Uomini che ritengono che l’Italia, al di à delle lotte politiche più o meno corrette o più o meno sordide, ha bisogno, urgente e incessante bisogno di cambiamenti radicali in riferimento alle modalità e ai processi complessivi in cui si articola e vive la democrazia italiana. Non solo in parlamento, ma anche e soprattutto negli enti locali.