Giappone e balene: un Paese di grande civiltà che si attarda in fanatismi culinari arcaici e inaccettabili
24 giugno 09 Etica e politica | COMMISSIONE BALENIERA Una proposta per il Sol Levante
Dal tavolo della 61/a sessione dell’International Whaling Commission viene lanciata un’offerta al Giappone: rinunciare alla caccia scientifica in cambio della possibilità di catturare un numero limitato di balene lungo le sue coste. La trattativa andrà avanti ancora per un altro anno
La parola “fine” non uscirà da Madeira. La piccola isola portoghese al largo del Marocco che ospita in questi giorni (dal 22 al 26) la sessantunesima sessione della Commissione baleniera internazionale (International Whaling Commission, IWC) potrebbe rappresentare tutt’al più un punto di partenza, non certo di arrivo.
Sembra infatti un miraggio riuscire a raggiungere la super maggioranza del 75 per cento necessaria per sciogliere gli annosi nodi gordiani in programma al meeting: riforma strutturale dell’IWC, metodi di uccisione dei cetacei, istituzione di nuovi santuari e, soprattutto, contenimento della caccia scientifica. Infatti tra i capitoli che i delegati degli 85 paesi membri lasceranno aperti – loro malgrado – ci sarà inevitabilmente la “questione giapponese” della caccia per scopi scientifici.
Il traguardo che i paesi del blocco anti baleniero si sono prefissati è molto ambizioso: convincere il Giappone a rinunciare al massacro di migliaia di cetacei perpetrato in nome della scienza. Come intendono farlo? Permettendogli, in cambio, di cacciare un numero limitato di balene lungo le coste, sotto il diretto controllo dell’IWC. Non sarà impresa facile, ma neanche impossibile. Il gruppo ristretto della Commissione che da più di un anno sta cercando di dialogare con l’Oriente nutre buone speranze, ma ha chiesto in questi giorni di poter avere a disposizione ancora un altro anno per le trattative.
Se l’accordo andasse in porto, oltre a una notevole riduzione della quota di esemplari uccisi (nei due programmi scientifici attualmente in corso sono morte finora 1.400 balene), si assisterebbe al definitivo tramonto di un’attività dannosa, costosissima, impopolare e completamente inutile (vedi video). In quel caso resterebbe, come unica scappatoia alla moratoria universale del 1986, la caccia per sostentamento consentita solo ad alcune popolazioni indigene (l’appiglio su cui fanno leva Islanda e Groenlandia).
C’è un rischio però nella proposta della IWC che non va sottovalutato, mette in guardia Huw Irranca-Davies, ministro per l’ambiente del governo britannico, e consiste nelle possibili rivendicazioni che altri paesi potrebbero avanzare. La Corea del Sud, per esempio, che da tempo ambisce a cacciare le balene nelle sue acque, non potrebbe vantare gli stessi diritti del Giappone?
Ma la strategia del compromesso, senza dubbio la novità più rilevante approdata al tavolo di Madeira, andrà avanti, anche perché ha già dato prova di far presa sul Giappone molto più di altri argomenti. Tanto che la delegazione nipponica si è presentata all’appuntamento della 61/a sessione con un documento sulle basi scientifiche a supporto della pesca costiera (Small-Type Coastal Whaling, STCW).
Ha invece dimostrato molto meno appeal il rapporto sui vantaggi economici del whale watching presentato ieri dall’International Fund for Animal Welfare. Eppure le cifre sono di tutto rispetto: due miliardi di dollari l’anno nel mondo, contro i dieci milioni ottenuti vendendo carne di balena. Non abbastanza, evidentemente, da convincere i paesi balenieri a convertirsi al turismo da avvistamento. L’Islanda per esempio sostiene che le due attività non sono affatto incompatibili e che nelle sue acque c’è posto tanto per i binocoli quanto per gli arpioni: Insomma sia per le balene vive che per quelle morte, a ciascuno la sua scelta.
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