Dopo la venuta di Netanyahu a Roma, ricordiamoci di un uomo assassinato perché cercava la pace. Queste cosa vanno oltre le demarcazioni politiche e sono quelle che contano soprattutto

28 Giugno 2009

 Fonte: Effedieffe

Ytzhak Rabin, un eroe da non dimenticare mai

Riprendiamo da una testata di diversa impostazione e da un autore di non meno diversa impostazione un articolo che, a distanza di quattro anni, possiamo continuare a condividere sul valore riconosciuto a Ytzhak Rabin, assassinato da un giovane fanatico israeliano. I tempi  delle grandi manifestazioni del movimento israeliano “Peace Now” paiono scomparsi nella memoria di tutti, eppure Ytzhak Rabin è un nome scolpito sulla roccia. Se gli israeliani sapranno tornare al suo limpido coraggio di coesistenza con i palestinesi e gli arabi, potranno voltare definitivamente pagina alla loro storia. Perché una cosa è certa. Anche se oggi vi è l’età dell’oro del sionismo, Israele, anche un Grande Israele, rimarrà inchiodato in un fazzoletto di terra. E non potrà vivere per sempre calpestando i palestinesi.
Il sogno di Amir Peretz
Maurizio Blondet
25/11/2005
Pubblichiamo il discorso di Amir Peretz, già capo del sindacato di sinistra Histadruth, che ha soppiantato a furor di popolo il vecchio e ambiguo Shimon Peres alla testa del partito laburista israeliano.
Peretz (che è membro di Peace Now, l’organizzazione pacifista) ha parlato il 12 novembre davanti a 200 mila persone in Piazza Rabin, nel raduno che celebrava la memoria di Ytzhak Rabin, il premier israeliano ucciso da un estremista ebreo (1).
In quell’adunanza, solo Shimon Peres e Bill Clinton dovevano parlare; il nome di Peretz è stato aggiunto fra gli oratori all’ultimo momento, su richiesta della figlia di Rabin, Dalia.
E al premier trucidato si è rivolto Peretz nel suo discorso: “dieci anni fa la tua voce [di Rabin] ha risuonato in questa piazza, indicando nuovi fini allo Stato d’Israele. Hai suscitato speranze, hai fatto sognare la gioventù della possibilità di un Paese cambiato. Sì, la tua voce è risuonata ed è echeggiata, fino a quando il proiettile dell’assassino l’ha obbligata al silenzio. Dieci anni fa, in quella sera fatale, tu dicesti che la violenza mina le fondamenta della democrazia; e la morte violenta ti aspettava dietro l’angolo. Dieci anni dopo, la violenza è ancora con noi, Ytzhak. Il Paese è pieno di violenza. Non siamo riusciti a isolarla. La violenza è traboccata oltre le zone di conflitto coi palestinesi, ha messo radici tra noi… Se avessimo abbandonato i ‘territori’, e bloccato la violenza che esce di lì, alla fonte, avremmo anche vinto la violenza che è tra noi”.
 
“Il nostro continuo dominio sui ‘territori’ è il motivo per cui affondiamo nella palude, e per cui Israele perde valori e moralità. Abbiamo bisogno di una ‘roadmap morale’, la cui stella polare deve essere il rispetto per la dignità umana. Una ‘roadmap morale’ significa porre fine all’occupazione e firmare un accordo permanente [con i palestinesi]. Una ‘roadmap morale’ consiste nel difendere il valore di ogni persona – in Israele – la sua dignità, la sua famiglia, la sua vita.
I dieci anni passati non hanno acquietato in noi l’acuto senso della tua mancanza, Ytzhak. Non eri l’uomo che si vantava e faceva promesse arroganti e false; eri l’uomo che prendeva dure decisioni, persisteva in esse, e le compiva. Oggi non sei con noi, ma la strada che ci hai indicato è ancora vibrante di vita. Alcuni vogliono negarla, altri la criticano in tanti modi, ma non vinceranno: la via di Oslo è viva, e continua la vita che a te è stata negata e troncata. E’ viva in ogni angolo, e tutti sanno che essa è la nostra sola speranza”.
 
“Io sono il bambino che venne in Israele cinquant’anni fa, all’età di quattro anni. Sono il bambino che è cresciuto al tempo del Fedayun [i primi “coloni” che si infiltravano nei territori palestinesi negli anni ’50], e che oggi vive con la famiglia all’ombra dei razzi Kassam [i missili fatti in casa usati da Hamas]. I bambini della mia città dormono male per la paura dei Kassam, mentre i nostri vicini [palestinesi] a Gaza sono svegliati dai boom sonici [degli aerei israeliani] e dalle azioni preventive anti-terrorismo.
Io ho un sogno, Ytzhak. Io sogno che un giorno la terra di nessuno tra Sederot e Beit Hanun fiorirà. Sogno fabbriche che nascano là, e luoghi di ricreazione, e campi da gioco dove i nostri bambini e i bambini dei palestinesi possano giocare insieme, e costruire un futuro comune. Quando questo sogno si avvererà, io verrò alla tua tomba e dirò: riposa in pace, Ytzhak. Hai meritato il tuo riposo. Sei stato assassinato, ma hai vinto!”.
 
Amir Peretz è l’uomo che, per anni, apparentemente quasi solo, ha detto: “l’occupazione è anzitutto un atto immorale. E voglio che finisca non per la pressione palestinese, ma nell’interesse stesso di Israele”.
Il fatto che ora lo ascoltino in 200 mila, lo applaudano e lo abbiano votato, dice un’altra verità: che il regime di Sharon è un golpe permanente, che ha silenziato ogni vera e dignitosa opposizione per ascoltare le minoranze feroci del fanatismo rabbinico.
Con l’aiuto volontario del cosiddetto Occidente, che ha sistematicamente ignorato le voci della pace e della ragione.
Il discorso di Peretz e l’applauso della folla spiegano perché Sharon oggi si è staccato dal Likud e fonda un suo partito, subito definito “centrista” dalla stampa servile; e spiega perché Shimon Peres, tradendo ogni principio del socialismo israeliano, si schiera con Sharon in questo nuovo partito.
Il partito della violenza perenne, il partito del golpe permanente, si sente minacciato dalla voce di Peretz; e sta radunando attorno a sé le forze della violenza e del fanatismo messianico.
Inutile dire che la vita di Amir Peretz, vero ebreo (2), è in pericolo.
Lui lo sa meglio di ogni altro, visto che ripete la frase che fu di un altro assassinato, Luther King: “I have a dream”.
Possa Dio vegliare sulla sua vita, e non permettere che la sua voce venga troncata.
Maurizio Blondet
 
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Note
1) Il giornalista israeliano Barry Chamish ha condotto un’inchiesta su questo assassinio. E si è convinto che Rabin è stato assassinato da un attentato organizzato dal Mossad e da quelli che chiama “circoli sabbatei” in Israele. Di questa indagine esiste un’edizione italiana (Barry Chamish, “Chi ha ucciso Ytzhak Rabin”) da chiedere al traduttore, Franco Levi (cellulare 349/2218113).
2) Amir Peretz è nato in Marocco da famiglia sefardita; nelle sue vene circola il vero sangue di Abramo. I fanatici rabbini sono per lo più askenaziti, discendenti dall’etnia turco-mongola dei Khazari.
 
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