Dal G8 AL DOPO IL G8. DALL’AQUILA L’INIZIO DELLA SVOLTA
Il vertice dei capi di Stato e di governo del G8 svoltosi a L’Aquila la scorsa settimana impone tutta una serie di riflessioni. Innanzitutto, esso conferma come la formula sia del G7 sia del G8 sia qualcosa di definitivamente superato in riferimento al fatto che i “grandi” della Terra non sono più contenuti entro le dita di due mani. I capi dei Paesi che si riuniscono per prendere decisioni che alla fin fine coinvolgeranno molti altri popoli sono dunque di più. Questo è il dato che è stato anticipato nelle dichiarazioni del presidente di turno del G8, Silvio Berlusconi. E’ esso che comincerà a segnare e a numerare i futuri incontri e le future “convention” delle assise più importanti in cui si discuterà e si deciderà di economia, energia, salute, ambiente, cultura, sicurezza ed interessi ed equilibri internazionali e globali.
Inizia una nuova epoca, della quale noi occidentali possiamo avvertire solo il cambiamento di certi contorni. Lo sviluppo della prima parte del nuovo secolo è tuttavia qui già anticipato a chiare lettere. E’ il superamento definitivo dell’etnocentrismo europeo e dei suoi epigoni geograficamente collocati al di fuori della vecchia, piccola Europa centro-occidentale: Usa e Russia. E’ il superamento definitivo dell’oligopolio statunitense, per quanto gli USA continueranno a detenere per alcuni decenni un’assoluta supremazia strategico-tecnologico-militare. Ma questa supremazia sin da adesso è da intendere come un’anatra azzoppata, perché agli USA già manca e mancherà via via ancora di più il ruolo della preminenza economica e commerciale.
E’ probabile che le scelte sbagliate americane nei temi e nei settori più cruciali della strategia complessiva di Washington, ripetute e accentuate nel corso degli ultimi due decenni, abbiano accentuato in termini temporali questo processo. A questo fattore non possiamo non associare, d’altro canto, gli errori degli europei, commessi da costoro sia in ordine sparso sia sotto l’egida dell’Unione Europea. Un “errore” è da mettere in particolare risalto sul conto degli europei: la politica dell’inazione, ovvero dell’agire e del decidere solo quando non è possibile seguire una via alternativa.
Ecco quindi che Cina, India, Brasile, Messico, Sud Africa, Egitto fanno il loro ingresso nell’agone ufficiale dei confronti e delle decisioni mondiali. E non basta. In questi fori, già da adesso sicuramente appellabili come fori del “G14″, vi sono implicitamente inserite realtà ben più articolate che rispecchiano una dinamica mondiale che va oltre lo stesso G14, e che ci portano al “G20″ e oltre. Realtà che includono Paesi dell’Unione Europea o ad essa prossimi geograficamente e nei loro più profondi interessi politici ed economici, quali Spagna, Polonia, Turchia e del “primo mondo” come Australia e Sud Corea, e Paesi la cui presenza nei teatri regionali risulta molto forte, come Argentina, Iran, Nigeria, Arabia saudita.
Altro punto positivo del summit de L’Aquila è l’annuncio fatto dal presidente americano Obama di un prossimo vertice mondiale sulle questioni nucleari, che si terrà in USA. Appuntamento sicuramente importante per le spinose questioni di Corea del Nord, Iran… Pakstan. Il Pakistan, in quanto è una potenza nucleare politicamente e socialmente sempre instabile ed attraversata da gravi crisi in cui i condizionamenti religiosi in chiave integralista e terroristica agiscono in profondità creando anche una condizione di cronica instabilità in tutto il Medio Oriente, il subcontinente indiano e, forse, in un futuro prossimo, nell’Asia centrale. L’annuncio di Obama è importante ed è stato ben accolto anche perché è avvenuto all’indomani di una rinnovata intesa con la Russa in merito a nuovi e più avanzati accordi per la riduzione degli armamenti nucleari strategici. Per noi europei, rimane aperta la questione del sistema antimissile in funzione anti-iraniana, che sa più di una presa in giro, e della risposta di Mosca intenzionata ad installare nuovissmi “euromissili” nell’enclave di Kaliningrad. Speriamo che Obama faccia definitivamente recedere i suoi strateghi dal perseverare nell’estremismo inconcludente e fallimentare dell’amministrazione Bush. In merito ai problemi iraniani, si toccano argomenti spinosi. In linea di principio, l’Iran rivendica qualcosa di giusto in merito alla questione nucleare, e cioè il diritto di poter procedere all’arricchimento dell’uranio. Qualcosa da sempre vietato dalle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, su cui esse hanno potuto costituire la loro supremazia planetaria… messa però in cale dalle nuove potenze nucleari quali Cina, India, Pakistan e la prima fra di esse, non dichiarata e che gode di uno status del tutto indefinito, Israele.
In realtà, il Trattato di non proliferazione nucleare parla a chiare lettere di avviare un processo di denuclearizzazione del mondo in tema di armamenti, cosa mai avvenuta che ha perpetuato questa contraddizione di fondo tra principio basilare del Trattato e reale svolgimento degli eventi politici e militari. La cosa è in realtà estremamente complessa, in quanto la possibilità di arricchire l’uranio consente di detenere plutonio da poter utilizzare per fini militari. La partita con l’Iran si gioca su più campi, anche se l’aspetto dello sviluppo dell’arricchimento nucleare da parte dell’Iran non è auspicato e non è voluto per molteplici ragioni che vanno oltre le questioni di principio e che concernono ruolo e natura e fini della politica estera iraniana e del suo stesso regime. Per cui, se noi vediamo giorno e notte gridare al pericolo Israele e gli Usa, dobbiamo razionalmente credere che per Israele una Persia armata di bombe atomiche costituirà un pericolo minore di quanto lo potrà essere per Arabia saudita, Turchia, Iraq, Pakistan, India e persino Cina. Ci risparmiamo la questione nord-coreana perché richiederebbe tempo e spazio che qui non abbiamo.
Un ottimo successo il summit de L’Aquila lo ha raggiunto su di uno dei temi più cruciali, quello dell’Africa, e, ad esso strettamente collegato, quello dell’acqua. Un continente dilaniato in tante delle sue regioni da fame e sete, malattie, siccità, crudeltà di regimi e di bande in lotta, corruzione di governi e di burocrazie. Il danaro che nei decenni trascorsi è stato “investito” dalle organizzazioni internazionali in azioni umanitarie in realtà è stato quasi sempre dilapidato, perché in grande misura divorato dagli apparati politico-amministrativi del Paesi a cui erano destinati quegli aiuti. Oggi e in futuro le somme disponibili dovranno essere impiegate attraverso iter e protocolli internazionali e ONU completamente diversi, imponendo ai governi interessati veri e propri diktat salutari, al fine di realizzare infrastrutture, scuole, ospedali e centri produttivi in maniera assolutamente certa.
Riteniamo che la cifra di cui si è parlato tra gli otto grandi, 30 miliardi di dollari in pochi anni sia insufficiente, al tempo stesso e senza contraddizione è qualcosa di oramai insperato. Se gli Stati, singolarmente, e l’ONU manterranno la parola, diverse centinaia di milioni di uomini potrebbero iniziare a vivere in condizioni meno misere e a non morire tra fame e malattie. Altro tema in cui per la prima volta si sono allargati i consensi, anche se di massima, è quello dell’ambiente. India e Cina dovranno obbligarsi a fare di più, non c’è altrimenti soluzione al problema, visto che esse sono in grado di inquinare più di mezzo continente asiatico nei prossimi decenni e immense aree oceaniche tra Pacifico e Indiano.
Importantissima è intanto l’azione di leadership che gli Usa vogliono portare avanti con la nuova amministrazione Obama, essa è la benvenuta e segna il definitivo superamento della fallimentare e disastrosa linea di condotta della precedente amministrazione in questo campo. In realtà, le indicazioni per la riduzione dell’emissione degli inquinanti oltre la già acqusita méta del 2020 (grazie al forum mondiale di Kyoto), sono troppo generiche: ridurre del 50% le emissioni nocive entro il 2050 sa quasi di gioco di rima.
Fra quarantuno anni quasi tutti i cinquantenni di oggi e gran parte di quarantenni non saremo neppure in vita. Non potremo dire nulla su ciò, ma soprattutto non potremo vedere nulla di buono, se ci sarà. Il 2050, oltre questa mera considerazione “generazionale”, è troppo lontano per cose così delicate e importanti. E’ necessario e indispensabile che i futuri vertici del G14 delineino quanto prima e con unanime consenso tappe intermedie, tappe che potrebbero cadenzare del 10% di riduzione ogni decennio. In tema di commerci, produzione, finanza ed economia in generale, quanto è stato detto a L’Aquila non può che rappresentare l’introduzione al confronto. Sarà in effetti ambito prioritario dei dibattiti del futuro G14.
Oggi possiamo limitarci ad accogliere le indicazioni di massima sulle norme etiche che dovranno dirigere in maniera più stringente lo “spirito” delle leggi dei protocolli dei regolamenti e delle procedure degli Stati e delle organizzazioni internazionali (Unione Europea. Seato, etc…) e del WTO.
L’incontro del G8 de L’Aquila è stato non un interludio ma l’avvio ufficiale della svolta del proscenio mondiale. Una svolta epocale che ha visto come Paese ospitante e protagonista l’Italia. Una meritata bella immagine, un meritato successo, oltre le stupide e a volte insignificanti divisioni che accompagnano l’aspetto più becero e squalificato della quotidianità politica nostrana.