Fonte: Affari Internazionali, Rivista online di politica, strategia ed economia
Giovanni Gasparini
Sicurezza e difesa
La Nato verso un nuovo concetto strategico
A sessant’anni dalla sua fondazione e a dieci dall’adozione del suo ultimo Concetto Strategico, l’Alleanza Atlantica ha avviato il complesso processo che, nel corso del 2010, dovrebbe portarla all’approvazione di un nuovo documento d’indirizzo generale. Su iniziativa del Segretario Generale uscente, De Hoop Scheffer, si è svolta di recente a Bruxelles una conferenza per discutere gli obiettivi e i contenuti del nuovo concetto strategico. Vi hanno partecipato oltre 400 rappresentanti del mondo diplomatico, politico, militare, accademico e dei think tanks, provenienti sia dai paesi membri sia dai paesi partner dell’alleanza.
Le diverse funzioni del Concetto Strategico
Diversi interventi hanno sottolineato l’importanza del futuro documento quale strumento di comunicazione verso i cittadini. In realtà, il documento ha innanzi tutto un valore interno: deve dare un orientamento agli sforzi dell’organizzazione e alla pianificazione delle forze, in particolare quelle militari, com’è naturale per un’alleanza politico-militare. Il Concetto Strategico ha poi anche una funzione di auto-presentazione e di confidence-building nei confronti dei paesi partner e, in genere, dei paesi terzi.
Se il Concetto Strategico deve svolgere anche una funzione di marketing, va seguita la regola delle “4 P”: caratterizzare il prodotto (che sicurezza si vuole produrre), definire il suo posizionamento sul mercato (a chi va offerta questa produzione di sicurezza), stabilire il prezzo (quali e quante risorse economiche pubbliche vanno investite), e infine svolgere l’attività di promozione (coinvolgendo le leadership politiche e i cittadini). Si tratta di funzioni complementari, ma va stabilita una gerarchia d’importanza e una sequenzialità nell’impostazione concettuale, senza le quali l’esercizio rischia di tradursi in una sterile promozione dell’esistente.
I dilemmi cruciali
In questa fase di definizione, che vedrà il nuovo Segretario Generale Rasmussen avvalersi di un gruppo di studio ristretto, è vitale porsi le domande giuste. La Nato deve mantenere il suo carattere di asse del rapporto di sicurezza euro-atlantico, come peraltro definito dal suo Trattato costitutivo, o ampliare il suo impegno a livello globale? È auspicabile che si trasformi in un “baluardo dell’Occidente” coinvolgendo Australia, Giappone, Israele o è preferibile che ne possano diventare membri anche paesi come la Russia o l’India? In discussione sono la strategia e i criteri dell’allargamento ad altri partner, nonché lo stesso fondamento politico dell’alleanza. Il rapporto con la Russia è certamente un nodo centrale, su cui c’è divisione fra gli stati membri; non sarà facile giungere ad un compromesso, anche a causa dell’atteggiamento talora contraddittorio del Cremlino.
La seconda questione riguarda l’ambito d’azione della Nato; deve continuare a concentrarsi sulla difesa collettiva o affrontare sempre più anche i problemi di sicurezza non militare? Dalla risposta a questa domanda dipende anche il tipo di missioni che l’alleanza deciderà di assumersi.
C’è poi la questione del ruolo delle armi nucleari nell’ambito della politica di dissuasione. È una questione estremamente delicata, ma ineludibile alla luce dei crescenti rischi di proliferazione nucleare e dell’obsolescenza dei sistemi di lancio delle testate tattiche dell’arsenale atlantico.
Infine, la crisi economica ha portato in primo piano le problematiche relative alle risorse da impegnare nella produzione di sicurezza in ambito atlantico. Dati i vincoli sempre più stretti di bilancio un approccio onnicomprensivo sembra in ultima analisi insostenibile.
Concentrare gli sforzi…
Il primo passo nell’elaborazione del nuovo Concetto Strategico sta nella definizione di uno scenario condiviso delle prospettive e delle minacce alla sicurezza nel futuro prossimo. Va evitata una lunga “lista della spesa” di rischi e criticità, dalla quale poi ciascun paese sceglie “a là carte” quelle di suo interesse.
È necessario quindi individuare le priorità per il prossimo decennio. Ciò permetterebbe alla Nato di focalizzarsi sul suo “core business”. Sulla base del principio dei vantaggi comparati, occorre determinare cosa l’alleanza sia capace di fare meglio di altre organizzazioni o gruppi e singoli stati. Si deve insomma evitare di andare a caccia di problemi e di mettere il cappello dell’alleanza su ogni problema di sicurezza “alla moda”, in una ricerca spasmodica e controproducente di consenso e visibilità. È difficile conciliare l’obiettivo di una maggiore efficienza con la pretesa di voler fare un po’ di tutto.
Problemi come il riscaldamento globale, la sicurezza alimentare, la sicurezza energetica, la lotta alla povertà e così via vanno esaminati nelle loro dinamiche evolutive, ma non possono e non debbono divenire il centro di gravità di quella che rimane un’alleanza politico-militare di sicurezza e difesa.
…e ottimizzare le risorse, puntando sull’Europa
Infine, va svolta una valutazione attenta su come ottimizzare le scarse risorse a disposizione. Contrariamente alla vulgata comune e alle lamentele imperanti della classe politica e militare, le risorse ci sarebbero, ma semplicemente vengono spese in modo molto dispersivo e frammentato. Oltre 160 miliardi di euro all’anno sono cumulativamente spesi per gli strumenti militari degli alleati europei della Nato: più di ogni altro paese al mondo esclusi gli Stati Uniti. Ma larghissima parte di questa spesa alimenta duplicazioni di comandi, strutture e personale e una burocrazia pletorica. La dispersione dei fondi per le acquisizioni di sistemi e armamenti si traduce in assurde e costose preferenze per le industrie della difesa “nazionali” e in sprechi inaccettabili.
La Nato da sola non può, purtroppo, fare molto: deve entrare in gioco il ruolo federativo dell’Unione Europea. Gli Stati Uniti dovrebbero capire che è anche nel loro interesse favorire lo sviluppo della Politica europea di sicurezza e difesa e di forze armate comuni fra gli europei, ponendo fine alle ambiguità del passato (la famigerata politica delle 3D di Albright del 1999 e il successivo divide et impera rumsfeldiano). Solo così avremo un’alleanza capace di servire gli interessi dei suoi cittadini e non solo un gruppo di paesi che rischia di rimanere prigioniero di un passato che non esiste più.
Giovanni Gasparini è ricercatore senior dell’Istituto Affari Internazionali
Vedi anche:
S. Silvestri: La Nato entra nella terza età. Decadenza o rilancio?