Dal micro-mosaico del coleottero ai cristalli dei virus, ecco come la biologia ispira la tecnologia
di Federica Fratini
Il verde metallizzato cangiante del coleottero Chrysina gloriosa non dipende da particolari pigmenti, ma da una rifinitissima struttura hi-tech, ottenuta in milioni di anni di evoluzione. Lo mostra su Science Vivek Sharma del Center for Advanced Research on Optical Microscopy (Carom) di Atlanta (Usa), che ha scoperto il particolare design grazie a un microscopio ad altissima risoluzione.
Il micro-mosaico del primo strato della corazza (elitra) dell’insetto è composto da cellule disposte secondo esagoni concentrici che formano piccoli coni colorati e poco profondi, seguendo un disegno a nido d’ape. L’effetto ottico finale è simile a quello dei cristalli liquidi organici derivati dal colesterolo (la cui struttura molecolare a spirale si espande e si contrae a seconda della temperatura) e la superficie assume colori diversi a seconda della luce che la illumina: un raggio non polarizzato, come quelli del Sole, o polarizzato verso destra (che forma cioè una spirale destrogira) colorano l’insetto di quel verde acceso e fluorescente che lo distingue; la superficie diviene scura, invece, se illuminata da un raggio polarizzato verso sinistra.
Il Chrysina gloriosa rivela così un altro esempio di strutture presenti in natura che avanzano la più sofisticata tecnologia dei nostri sistemi fotonici. I coleotteri, come moltissimi altri insetti, ma anche uccelli, pesci e piante, hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione alcune “super-strutture” che, per le loro caratteristiche ottiche, termodinamiche, aerodinamiche o idrofobiche, hanno ispirato un intero settore della ricerca scientifica applicata all’industria, la biomimetica. Da bio e mimesis (imitazione), questa recente disciplina si occupa di trovare soluzioni tecnologiche copiando, se non sfruttando direttamente, i design del mondo naturale.
Ad esempio, per alcuni dei più moderni costumi dei nuotatori olimpici si utilizzano tessuti ispirati alla pelle degli squali. Questa, infatti, è coperta da squame simili a denti, chiamate denticoli, che formano scanalature a forma di V. Mentre il pesce nuota, l’acqua si incanala nei denticoli seguendo un percorso a spirale che riduce l’attrito e facilita lo scorrimento del corpo attraverso il fluido. Se non bastasse, questi costumi tengono conto del disegno e del funzionamento delle fasce muscolare: le cuciture ne seguono le forme e il tessuto ne accompagna il lavoro esercitando una pressione sul corpo. Il risultato è un modello anatomico-dinamico-biomimetico in cui le cuciture si comportano come tendini e il tessuto come muscoli.
Un altro modello sensazionale è quello di una mosca preistorica di 45 milioni di anni, conservata nell’ambra. Il biologo Andrew Parker ha scoperto nella cornea dell’insetto una maglia di microfibre organizzate a formare un reticolo di rifrazione, in grado di ridurre sensibilmente la luce riflessa. Questa struttura è stata applicata ai pannelli solari e aumenta del 10 per cento la capacità delle celle fotovoltaiche di assorbire la luce.
Secondo Parker, la maggior parte delle sfide della tecnologia sono state già vinte dalla natura: “Tutte le specie, anche quelle estinte, sono il risultato di un processo evolutivo di milioni di anni, e questo ci dà la garanzia che la loro ‘proposta di design’ sia quanto meno valida”. Tuttavia, alcune strutture ottiche nanoscopiche che si trovano negli insetti hanno una architettura talmente elaborata che le tecniche ingegneristiche oggi disponibili non sono in grado di riprodurle. E anche se lo fossero, non sarebbe possibile esportarle su scala industriale a costi vantaggiosi. La soluzione alternativa, ottenuta grazie alla collaborazione di ingegneri, fisici, chimici e biologi, consiste nel non limitarsi a mimare la natura, ma prenderla direttamente in prestito: “Gli animali e le piante realizzano già questi disegni in maniera assolutamente efficiente”, sostiene Parker, “perciò, coltivando le cellule in laboratorio, possiamo lasciare che sia la natura stessa a produrre queste strutture per noi”.
Gli iridovirus, per esempio, infettano le cellule di alcuni insetti e formano in esse una matrice simile al cristallo, capace di diffrangere la luce secondo la regola di Bragg (la legge che descrive la riflessione della luce dei cristalli). Oggi questi virus vengono prodotti in larga scala nella base aerea di Wright-Patterson negli Stati Uniti, dove sono utilizzati per produrre cristalli utili a un’ampia gamma di strumenti ottici, dai sensori alle guide d’onda. Ulteriori ricerche mirano a ottenere modifiche nei cristalli attraverso mutazioni genetiche di questi virus. Con lo stesso spirito, altri sensori ottici sono prodotti a partire dalle lamine che compongo le ali delle farfalle.