Per arrivare a dire del libro di Antonio Serena :
La Cartiera della morte. Mignagola 1945 (Mursia editore, 2009, € 17),
scelgo di partire da lontano e ricostruire una traccia, sia pur per sommi capi, di quella «lotta eterna tra verità e menzogna / luce e fango…» (Ezra Pound) che fa in qualche modo distinguere l’uomo libero dallo schiavo di partito…
La verità viene sempre a galla, si dice… Non è sempre vero: a volte il peso che la tiene occultata nel fondo di qualche abisso della coscienza, personale o collettiva, è talmente massiccio e greve che le impedisce di riemergere alla luce… Oppure, può accadere che ci riesca ma lo fa così intempestivamente che pochi sono disposti a riconoscerla ed accettarla e, pur restando in superficie, se ne va alla deriva come un relitto utilizzabile al massimo dai naufraghi. Bisognerà allora aspettare che la corrente sia quella giusta per condurla finalmente in quel porto che si chiama storia… Quando è storia e non mistificazione dogmatica…
Prendiamo quella nostra storia recente che va sotto il titolo di “guerra civile” e che data, all’incirca, 1943 – ‘45. Per decenni si è preteso scriverla come lotta fra un “bene assoluto”: onesto, eroico, coraggioso, leale rappresentato dai partigiani e un male assoluto: cieco, violento, vigliacco, torturatore, scatenato per biechi obiettivi di sopraffazione, vendetta e barbarie rappresentato dai nazifascisti… Tutti i sopravvissuti di quella vicenda, che vi abbiano partecipato come protagonisti o ne fossero stati testimoni, sapevano benissimo che era una pura falsità, che in tutte le guerre, civili e non, il male e il bene, l’eroismo e la vigliaccheria, la lealtà e il tradimento si manifestano da una parte e dall’altra e che la palma del migliore in campo spetterà sempre e solo a chi vince… Perché è sempre e comunque chi vince che scrive la storia con la pretesa di affermarla coincidente non con la sua verità ma con la verità tout court… Il vinto, invece, se pure riacquista o riconquista il diritto alla parola non può che essere portatore di pure falsità…
Che le cose, nel corso della guerra civile italiana non fossero andate esattamente come le raccontavano i vincitori, cominciò a scriverlo un giornalista italiano negli anni 60, Giorgio Pisanò, con due libri: Sangue chiama sangue (prima ed. CDL Edizioni, 1962, ripubblicato recentemente per le edizioni de Lo Scarabeo, 2005) e Storia della Guerra Civile in Italia 1943-1945 (prima ed. Edizioni FPE, 1965 quinta ed. Eco Edizioni, Melegnano, 1999). Erano cose vere, documentate in maniera inconfutabile, oneste nel riconoscere la tragedia comune a tutte e due la parti in armi. Pur tuttavia, quei libri avevano un grosso limite: l’autore era stato un combattente della Rsi, prima e tra i fondatori del Msi, dopo… Fu gioco facile per gli storiografi di un’accademia ufficialmente schierata screditare il suo lavoro come sporco tentativo revisionista in chiave apologetica del defunto regime… La verità, insomma, interessava poco: più importante era non offuscare la luminosità della storia acquisita una volta per tutte come unica degna di essere raccontata e rappresentata…
Così, toccò, quarant’anni dopo, a un altro giornalista, Giampaolo Pansa, farsi carico di riproporre quella vicenda secondo più onesta aderenza ai fatti. Lo ha fatto scrivendo tre libri: Il sangue dei Vinti (Sperling & Kupfer editore, Milano, 2003), La grande bugia (Sperling & Kupfer editore, 2006) I gendarmi della memoria (Sperling & Kupfer editore, 2007). E le reazioni della sinistra, da quella post-comunista a quella dei comunisti in residuo servizio stabile effettivo, sono state esattamente le stesse che toccarono a Pisanò: “la resistenza non si processa e bla, bla, bla compagni”. Nemmeno essere stato per anni vicino alle posizioni del Pci e, oggi, del Pd, gli è valso quanto meno l’ascolto da quelle bande. Gli è toccato, invece, l’ostracismo: dalla mobilitazione antifascista che a Reggio, nel 2006, ha impedito, mano (para)militare, la presentazione del libro, al commiato definitivo di molti suoi vecchi amici di bandiera… Ciononostante, due fattori erano nel frattempo intervenuti rispetto al precedente tentativo operato da Pisanò. Il primo: la fine dell’egemonia culturale della sinistra comunista; il secondo, forse ancor più decisivo: il sopirsi degli odi di fazione dei protagonisti di allora, determinato dall’inesorabile trascorrere del tempo. Tant’è che il nuovo quotidiano della sinistra radicale “L’altro”, diretto da Piero Sansonetti, uscito da una costola di Rifondazione comunista, ha dedicato a Pansa un’ampia intervista, impensabile fino a qualche mese fa, in cui ha potuto finalmente affermare che “Revisionista, non è un insulto” senza, stavolta, subire alcun tipo di censura né verbale né morale.
Del resto, la prassi di revisione storica di quel periodo appare ormai, oltre che un “non-insulto”, difficilmente arginabile. Scrive Franco Cardini nella prefazione a La Cartiera della morte. Mignagola 1945: «Il revisionismo è un atroce e fangoso equivoco. La storia altro non è se non una revisione continua: verifica dei dati e dei fatti che ritenevamo assodati, rettifica dei giudizi precedentemente espressi, progressivo avvicinamento avvicinamento verso un punto ideale d’arrivo che non può non essere, moralmente parlando, il tragurdo di ogni studioso di storia (…) quanto alla “verità storica”, essa muta con il mutare delle generazioni e degli strumenti esegetici e gnoseologici di ricerca (…). Contro il cosiddetto “revisionismo”, si è voluto semplicemente negare il rischio d’una anche soltanto parziale modificazione di dati e di valori giudicati intangibili e irreversibili…».
Antonio Serena indaga in maniera scientifica e documentata la vicenda di quel luogo di massacro di fascisti e civili che fu Mignagola di Carbonera nel Trevigiano, tra l’aprile e il maggio del 1945. Ancora una volta, non si tratta di riaprire ferite ma di suturarle, in via definitiva, con l’unica medicina utile allo scopo: quella che sostituisce i pregiudizi del fascismo-anti-fascismo con un giudizio equo e approssimato quanto più possibile alla verità… In tale chiave, sarà interessante vedere se il libro sarà recensito e in che modo sul “Secolo d’Italia”, già organo ufficiale del suo ex partito, An, dal quale si dimise un attimo prima di essere comunque espulso per aver inviato, da deputato qual era, una videocassetta ai suoi colleghi parlamentari sulle violazioni di legge nel processo a Erich Priebke. O se dovrà subire, lui come già Pansa, lui e la sua indagine sui fatti di Mignagola, la censura degli ex camerati convertiti all’antifascismo.