29 Ottobre 2009
Fonte: Unilibro online
‘CARNEFICI E VITTIME’, L’INFERNO DEL PCI IN UNIONE SOVIETICA
Carnefici e vittime. I crimini del Pci in Unione Sovietica
di Lehner Giancarlo – Bigazzi Francesco
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Dettagli del Libro:
Autori: Lehner Giancarlo Bigazzi Francesco
Editore: Mondadori
Genere: storia
Argomento: comunismo-storia italia-storia
Collana: Le scie
Pagine: 436
ISBN: 8804551267
ISBN-13: 9788804551263
Prezzo: € 20,00Descrizione:
Mosca negli anni del terrore staliniano. Il libro si apre con la storia del delatore per antonomasia, Paolo Robotti, a sua volta incolpato e torturato dalla polizia sovietica: con l’ausilio di una documentazione inedita, raccolta da Francesco Bigazzi, viene ricostruita la paradossale vicenda di Robotti. Il libro si chiude con la storia anch’essa inedita dell’ultimo prigioniero politico sovietico, liberato nel 1987. Tra l’inizio (Robotti) e l’epilogo (Mironov), Lehner ripercorre le vicende drammatiche degli italiani vittime del comunismo, attraverso le fonti dei verbali processuali, con l’obiettivo di collegare i documenti alla ricostruzione delle personalità dei giovani.
dalla rete:
Spunta un altro inferno scrostando l’icona del comunismo realizzato. E’ infatti una storia che mette i brividi, ma maledettamente vera, quella che racconta Giancarlo Lehner con Francesco Bigazzi in ‘Carnefici e vittime. I crimini del Pci in Unione Sovietica’ (Mondadori, pp. 436, euro 20). Attraverso un’inchiesta puntuale che inchioda a drammatici fatti portati alla luce con documenti inediti dagli archivi sovietici, Lehner narra la disillusione dei comunisti occidentali degli anni Venti e Trenta, per i quali l’URSS appariva come la ‘terra promessa’. Molti di loro intrapresero percio’ lunghi viaggi, spesso clandestini, per toccare il sogno di uguaglianza e giustizia predicato nella bandiera rossa.
Ma, arrivati a destinazione, furono costretti a un bagno di realta’: scoprirono che la vita era ben diversa dai racconti fatti sull’epopea di Stalin e che le condizioni di lavoro erano durissime anche nel Paese della neve. E benche’ l’Italia fosse sotto il fascismo, mantennero sempre vivo il legame con il loro Paese, anche se spesso solo una cartolina ai parenti lontani o un caffe’ bevuto al bar con qualche nuovo italiano da poco sbarcato nell’Eden del socialismo perfetto. Non immaginavano, percio’, che di li’ a poco sarebbero stati considerati controrivoluzionari, da eliminare non di rado fisicamente .
Ne’ potevano sapere che i loro compagni comunisti si sarebbero trasformati nei loro principali delatori: sara’ infatti la sezione dell’ufficio quadri del Comintern (fra cui Palmiro Togliatti, Domenico Ciufoli, Antonio Roasio), a fornire al Commissariato del popolo per gli affari inetrni l’elenco dei ‘deviati’, i portatori contagiosi di ‘umori negativi’ nei confronti della ‘grand madre’ Unione sovietica. E’ lo stesso Lehner a dare un bilancio di queste pagine e delle loro conseguenze storico-politiche. ‘’Togliatti amava dire: ‘Noi veniamo da lontano’. Adesso, sulla base della ricostruzione fatta – dice l’autore – siamo in grado di decodificare quell’affermazione, che significa ‘Noi veniamo da un bagno di sangue’, perche’ il Pci si distinse nella cosidetta ‘vigilanza rivoluzionaria’, ossia la schedatura dei quadri medio-bassi del partito”.
‘’Non e’ un caso, anzi e’ esattamente il contrario di quanto avvenne in Francia ad esempio -incalza lo storico- che il Partito comunista italiano porta a casa dalla Russia tutti i propri dirigenti, ma lascia a morire il 90% di operai. Togliatti in pratica abbandono’ la base”. ‘’Percio’ possiamo affermare -taglia corto Lehne- che il Pci era il partito piu’ secchione nella vigilanza”. E aggiunge: ‘’Credo che se un decimo dei crimini commessi da Togliatti fossero state note negli anni ’50, probabilmente il Pci sarebbe stato posto fuorilegge in Italia, come del resto chiedeva Edgardo Sogno”.
Dopo ‘La tragedia dei comunisti italiani’, Lehner da’ percio’ un nome e un volto di questi giovani disincantati comunisti d’Occidente; attraverso i verbali degli estenuanti interrogatori ne ricostruisce la storia, il cui triste epilogo segue un copione scontato: dopo pesanti torture, tutti si autoaccusano e dichiarano di aver svolto attivita’ spionistica a favore dell’Italia fascista. Da qui alla condanna a morte il passo e’ breve. Soltanto dopo il 1956 verranno in gran parte ‘riabilitati’, ma spesso alle famiglie non sara’ comunicata la vera causa del decesso.
Tra gli episodi e i nomi – tantissimi – riportati alla storia dai polverosi archivi sovietici, ci sono anche i ‘ragazzi che fabbricavano i dirigibili’. Racconta del tentativo di Umberto Nobile – lo stesso che sul ‘Norge’ fece la trasvolata del Polo Sud – di dare una flotta di dirigibili a Stalin nel villaggio appena fuori Mosca, Solgoprudnaja. E’ la fine del 1932 quando il generale Nobile accetta le offerte del Cremlino, che prevedono la costruzione di decine di nuovi e moderni dirigibili. Per contratto, ha diritto di scegliersi il personale piu’ preparato e percio’ fa venire dall’Italia tecnici di sua fiducia come Felice Trojani.
Nasce cosi’ la fabbrica Kaganovic, dove andranno a lavorare anche altri rifugiati politici italiani. Ma nell’agosto del ’34 il dirigibile V7 non prendera’ il volo: un fulmine o chissa’ che altro incendia l’hangar e le fiamme divorano il nuovissimo modello destinato alle glorie aeree del Cremlino. La colpa era dei materiali sovietici scadenti, ma per esorcizzare il disastro vengono uccisi almeno cinque italiani, ritenuti ‘spie di Mussolini’ e autori dei ‘sabotaggi’. All’origine della catena di montaggio della repressione, ci sono le delazioni partite dai compagni italiani.
Ma c’e’ anche la storia di Mario Papucci, alias Olivetti, un meccanico di Lastra a Signa (Fi) ucciso con un colpo alla nuca sul ciglio della fossa comune di Butovo il 10 settembre 1938. La sua colpa? Le macchine della fabbrica dove lavorava non funzionavano. E invece di capire che era il sistema sovietico a essere obsoleto, si puni’ il proletario ‘sabotatore’ divenuto addirittura, secondo le autorita’ sovietiche imbeccate dal Pci, un confidente dei nazisti. Di quelle morti, il Partito comunista italiano dell’epoca non e’affatto innocente.
Gerardo Picardo