Come il mercato immobiliare influenza quello economico e finanziario
In precedenti articoli, abbiamo spesso citato il fatto che l’andamento del mercato immobiliare influenza notevolmente quello dell’economia nel suo complesso. Abbiamo, inoltre, detto che l’andamento di questo mercato è spesso all’origine di molte delle crisi che si sono succedute nel tempo, in particolare in riferimento alla crisi mondiale ancora in atto. L’incidenza dell’andamento immobiliare sul quadro economico complessivo e in particolare nel mercato finanziario è tale che adesso difficilmente se non se ne può dare conto, anche perche è sulla bocca di tutti che la crisi che stiamo vivendo (soprattutto negli USA), come abbiamo appena ricordato, sembra essere originata proprio dallo “scoppio” della bolla immobiliare. Se le cose stanno effettivamente così, e lo scoppio della bolla ha avuto ripercussioni sostanziali sull’economia, è più che ragionevole supporre e affermare che anche il suo precedente “gonfiarsi” ha portato ad una crescita sopra la media. Cioè, che il tutto sia stato un fenomeno “pilotato”, forse non a piccole linee.
Come funziona il meccanismo? Le ragioni dell’influenza del mercato immobiliare sull’economia finanziaria ed in generale nello sviluppo economico sono molteplici, e vale la pena esaminarle più in dettaglio, anche sullo spunto del voluminoso “L’andamento del mercato immobiliare italiano e i riflessi sul sistema finanziario” della Banca d’Italia , che anche se tratta della realtà italiana, dà una chiara indicazione dei meccanismi che giustificano l’importanza del settore nel ciclo economico. Prima di capirci meglio, occorre tuttavia cominciare col capire cosa esattamente sia il settore immobiliare (o Real Estate dall’inglese real=”immobile” ed estate=”bene”) e quali attività comprende. Il concetto di Real Estate si riferisce ai beni immobiliari derivanti dal sito naturale (terra), più i miglioramenti risultanti dal lavoro umano inclusi fabbricati, attrezzature e macchinari situati sul luogo, oltre a vari diritti di proprietà posti sugli stessi. In primo luogo esso riguarda, pertanto, i fabbricati che possono essere ripartiti in altrettanti mercati di unità immobiliari suddivisi, per tipologia catastale, in settori: Residenziale, Terziario, Commerciale, Produttivo ed altro. Il settore residenziale comprende la costruzione di abitazioni destinate ad abitazione primaria o per vacanze. I magazzini, considerati a sé per le loro peculiarità, mostrano un andamento sostanzialmente simile al settore residenziale, al quale sono in buona parte collegati cosi come il mercato dei box auto. Il settore terziario comprende sostanzialmente gli immobili destinati ad Uffici, ed il settore Commerciale i negozi, laboratori ed i centri commerciali. Il resto, come ad esempio fabbriche e capannoni industriali, rientra nella categoria del Settore Produttivo.
Gli immobili entrano nel mercato come costo di acquisto o canone di locazione o di affitto. Essi, inoltre, sono oggetto di trattativa come beni portatori di garanzia contrattuale per via dei diritti reali che li possono riguardare. Gli immobili nel loro insieme sostengono un indotto relativo alle spese di manutenzione, amministrazione ed assicurazione ed alimentano il gettito fiscale. Per inciso, è intuitivo che di tali beni conoscerne la distribuzione territoriale (e il numero delle compravendite) nonché il c.d. indicatore dell’intensità del mercato immobiliare (dato dal rapporto tra il numero delle compravendite e lo stock) permette – se inseriti in una coerente banca dati – di verificare l’effettivo andamento dei prezzi e modulare le opportune politiche di intervento pubblico.
La prima osservazione,in questo avvicinamento “metodico” al mercato immobiliare, va al “peso” del comparto in questione sull’economia nel suo complesso. In Italia, ad esempio, il comparto immobiliare rappresenta il 20% del PIL. Nel conteggio sono compresi ovviamente gli investimenti in costruzioni ed immobili, la spesa per gli affitti ed i servizi d’intermediazione immobiliare. Già solo limitandosi a questo breve elenco, è facile comprendere come una variazione anche piccola dei valori degli immobili sia capace di influenzare direttamente la redditività degli investimenti di una larga parte dell’economia dall’industria al terziario. Anche il settore del credito è legato al settore immobiliare, e pesa in modo rilevante. Nel nostro Paese, esso costituisce oltre il 30% degli impieghi bancari totali (il calcolo comprende i mutui per l’acquisto di immobili, i prestiti alle imprese di costruzioni ed alle aziende che svolgono servizi connessi). Inoltre, gli immobili costituiscono la principale “garanzia reale” sui prestiti bancari. Una variazione del valore, di conseguenza, ha un impatto sul credito ottenibile e sul suo “costo”. Non solo, ma ha effetti determinanti sulla “qualità” dell’attivo delle banche: se il valore di un immobile dato a garanzia si riduce, la qualità dell’attivo diminuisce e la banca diventa sostanzialmente un po’ meno solida. I, relazione a ciò di cui stiamo parlando, è bene ricordare che l’art. 1813 del codice civile dice: ” il mutuo è il contratto con il quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili,e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”. A seguito del trattato di Basilea, la Banca può prestare fino a 50 volte quello che ha. Poiché solo il 2% viene trattenuto per contanti, il restante 98% può essere moltiplicato cinquanta volte. Detto in parole povere: il contratto che si stipula con la banca ci obbliga alle scadenze con cui dobbiamo restituire denaro contante garantito dalla ipoteca sull’immobile (se non si paga, il ricavato della vendita dell’immobile va alla banca!). La Banca, invece, ci presta ciò che non ha e riceve un profitto dall’intermediazione. Cosi va la vita … tuttavia c’è un rovescio della medaglia in tutto questo: quando il valore del bene in garanzia diminuisce, la banca deve contrarre i suoi impieghi. In tal caso sono dolori, perché la riduzione colpisce in modo più che proporzionale la banca. Questi effetti insiti nel sistema bancario, sono stati ulteriormente amplificati nella crisi attuale dalle innovazioni negli strumenti finanziari e nel mercato dei mutui come abbiamo già evidenziato nei nostri precedenti scritti e nel volume “Crack finanziario” ( I libri del Borghese, 2009.
Gli immobili, infine, entrano nella ricchezza delle famiglie che nel caso italiano è costituita per il 60% da “attività immobiliari”. Nel 2006, secondo quanto emerge dai dati ISTAT, tra le famiglie che vivono in abitazioni di proprietà (73,4% del totale), il 13,8% paga un mutuo la cui rata rappresenta per la famiglia una uscita consistente: in media 458 euro al mese (il 4,5% in più dell’anno precedente) per circa 2 milioni e 379 mila famiglie. Nel solo 2006, in Italia sono stati accesi 404.276 mutui per la casa, il 2,9% in più rispetto all’anno precedente ed il 47,8% delle compravendite sono state realizzate attraverso la richiesta di un mutuo. L’importo medio finanziato nel 2006 ammonta a 127.571 euro per abitazione, valore in crescita negli ultimi tre anni (2004 euro 108.196, 2005 euro 118.033). L’acquisto degli immobili è, pertanto, in maniera determinante il principale motivo di indebitamento delle famiglie stesse.
Cosa ha favorito, almeno nel nostro Paese, la crescita del prezzo della edilizia residenziale? Proviamo a chiarirci ulteriormente le idee rispondendo prima ad un’altra questione. Ci sono state in questi anni politiche per l’affitto? A guardare i dati disponibili, dal 2001 ad oggi l’area dell’affitto è scesa nel nostro Paese dal 24,7% all’12,9%. Stando così il mercato dell’affitto, cosa è avvenuto allora che ha alimentato e favorito la crescita delle compravendite? In un primo tempo, l’impossibilità di trovare immobili in locazione (complice anche la disciplina dell’equo canone?) ha di fatto costretto la popolazione all’acquisto della casa e quindi ha stimolato la costruzione di nuovi alloggi su terre che da agricole sono passata a zone edificabili. Successivamente, la politica del basso costo del denaro e quindi la propensione all’investimento da parte di una platea sempre più ampia di soggetti ha visto comparire accanto alle famiglie bisognose di locali abitativi, i fondi di grandi speculatori sia delle imprese che delle famiglie ricche. Infatti, poiché minore è stata la convenienza ad investire in azioni ed obbligazioni, è aumentata la consistenza di depositi bancari. Ciò ha spinto in tal modo le banche a promuovere i mutui immobiliari e, per allargare il bacino d’utenza, aumentare il ventaglio e il grado dell’offerta ( la durata dei mutui a 25/30 anni, 100% mutuo, rimborsi flessibili, mutui per atipici, tassi variabili, fissi, cup-rate). Inoltre, negli ultimi anni agli investitori tradizionali si è sempre più affiancata una componente speculativa e di “allocazione di risorse finanziarie” di provenienza non sempre legittima. Ciò, a nostro modo di vedere, ha determinato un’intensificazione delle già presunte tendenze alla patrimonializzazione del sistema economico italiano.
I principali cofattori di influenza che hanno favorito l’esposizione sono certamente stati: il processo di avvicinamento alla moneta unica, che ha comportato l’obbligo di rispetto di parametri macroeconomici minimi, che ha prodotto sorprendenti riduzioni nel tasso di inflazione e sul costo del denaro; il rendimento degli investimenti azionari, che ha consentito di accumulare ricchezze sino al 2000; le successiva contrazioni dell’economia internazionale, il calo dei tassi d’interesse, la forte appetibilità dei mutui immobiliari a partire dal 1999; le misure fiscali per il reinvestimento degli utili aziendali (leggi Visco, Tremonti e bis) per il 2001-2002-2003; il primo “Scudo fiscale” nel 2002 . A tutto ciò si aggiungono la maggiore cognizione della tutela economica data dalla ricchezza patrimoniale rispetto a quella finanziaria e l’incertezza dell’economia, che ha contribuito alla corsa verso il mattone.