Il filo rosso della totalità nell’oltrepassamento estetico e logico della scissione dell’essere
Riprendiamo il discorso dove lo lasciammo il mese scorso per affrontare il momento della logica o del concetto. La preoccupazione che prende chi scrive articoli del genere che qui proponiamo è quella di catturare l’attenzione del lettore per evitarne la fuga, la sua caduta d’interesse dopo le prime frasi di un argomentare che minaccia di svilupparsi tortuosamente. Invochiamo l’indulgenza dei pochi lettori che ci hanno seguito sin qui affinché portino pazienza per la durata della non breve premessa che andiamo ad esporre e per i continui richiami o spiegazioni di ciò che abbiamo detto negli articoli precedenti .
Appunto nell’articolo precedente esordimmo affermando che trattare del momento dell’estetica rappresentava uno scarto dal percorso ciclico stabilito per la trattazione dei quattro momenti dell’esistenza: del concetto o della logica; del fine e del mezzo ovvero dell’economia e della tecnica; dell’organicità o dell’etica; dell’individuo o dell’estetica. Stavamo e stiamo seguendo una ciclicità nella trattazione dove il momento della logica inizia il ciclo, ma segue anche quello dell’estetica ad un livello scalare superiore.
Fermo là: perché ciclicità e perché a scala superiore? In “Uscire dal deserto”, se ricordate, parlammo di compresenza di tradizione e di divenire, ovvero di permanenza e di mutamento. Una legge che comprenda e leghi in sistema le due condizioni di permanenza e di mutamento è una legge ciclica dove il mutamento – il divenire – assume una stabilità, cioè un comportamento continuo: quello che si dice un comportamento ciclico. In matematica ( ohibò!) il movimento-mutamento viene espresso da una cicloide. Oddio, che cos’è? E’ il tracciato che un punto su una ruota di bicicletta in movimento lascerebbe se proiettato su una superficie. Il tracciato si chiama sinusoide. Avete presente i grafici che rappresentano le scosse sismiche o le pulsazioni cardiache sullo schermo del computer del vostro cardiologo? Beh, quei grafici sono sinusoidi. Il nostro caso di ciclicità, però, ha una particolarità inconsueta: la superficie su cui il punto della metaforica cicloide lascia la traccia, non è piana come un foglio, ma segue l’andamento della spira di una vite geometricamente particolare. Il livello o scala superiore è quello in cui il metaforico punto si trova dopo aver compiuto un giro di vite, cioè una spira. E’ la rappresentazione concettuale della tradizione (l’eterno ritorno) e del divenire (il passo della vite). Ritorniamo al momento dell’estetica, quello in cui la ragione, che ha portato alla definizione dell’organismo, lascia il posto all’intuizione che gli dà forma individuandolo, dandogli una identità. Ebbene, il momento del concetto che qui verrà trattato è quello che possiamo considerare “iniziale” di un ciclo che ha come antecedente, il momento “finale” del ciclo dell’estetica e come successivo il momento del fine e dei mezzi o dell’economia e della tecnica. Mi fermo qui, mio stoico e paziente lettore: promesso. La premessa è finita ma, come si vedrà, si rivelerà utile per la comprensione nel prosieguo del discorso.
oOo
Ci proponiamo, come annunciato sin dal principio, di trovare la strada per l’oltrepassamento della modernità ed è proprio dal momento del concetto e quindi della scienza e della filosofia, oggi in crisi, che inizia la ricerca. Come facemmo per l’estetica, anche nella trattazione del momento della logica occorre prendere la rincorsa partendo dalla Grecia tentando di trovare il bandolo del metaforico filo rosso che ha marcato il groviglio della logica e quindi della filosofia per duemilasettecento anni -più o meno- fino ai giorni nostri. Lo scopo è pervenire ad una nuova logica capace di individuare l’essere dell’universo. Partiamo dalla capacità che fu dei greci di misurare la terra in rapporto al cielo, di misurarsi con la divinità e tramite questa misura di inserirsi nel processo di creazione del mondo decomponendo e ricomponendo, mediante un processo analitico di giudizio, le leggi genetiche della realtà fisica e psicologica. Poniamoci il quesito che Hüsserl, negli anni trenta del secolo scorso, allorché constatò il venir meno della fiducia nella scienza e nella filosofia della modernità, ebbe a porsi sulla finalità (telos) della nostra civiltà. Solo così sarà possibile decidere se quel telos che è innato nell’umanità europea dalla nascita della filosofia greca, e che consiste nella volontà di essere un’umanità fondata sulla ragione filosofica e sulla coscienza di non poterlo essere che così …….. sia una mera follia storico fattuale, un conseguimento casuale di un’umanità casuale in mezzo ad altre umanità e ad altre storicità completamente diverse, oppure se piuttosto nell’umanità greca non si sia rivelata quell’entelechia(1)che è propria dell’umanità come tale.
La risposta al quesito hüsserliano si trova nell’oltrepassamento della crisi delle scienze e della ragione filosofica che l’occidente dovrà effettuare. Per individuare il percorso da seguire, però, occorre rifarsi alla rottura dell’unità del pensiero greco-romano provocata dal tardo stoicismo e dal cristianesimo del IV-V secolo quando si abbandonò la concezione ciclica del tempo per assumerne una lineare progressiva. Cambiò il rapporto con la natura ed il cosmo per effetto della svalutazione della realtà sensibile e materiale rispetto a Dio (la natura non emana dall’Uno, ma è creata da un Dio ad essa trascendente) e l’armonia della visione greca dell’universo venne obliata. Dovettero passare sette secoli prima che, nel basso medioevo, l’esigenza di riconquistare una visione più matura del mondo portasse alla rivalutazione della tradizione classica del sapere, sia pure attraverso la fede. Ramòn Llull (1232-1315) che, in omaggio alla cultura dominante del tempo, ebbe italianizzato il suo nome in Raimondo Lullo e soprannominato il doctor illuminatus, riprense a seguire il filo rosso dell’unità del sapere elaborando l’Ars magna. E’ questa un’”arte” o metodo combinatorio e mnemotecnico basato su principi tali da contenere i fondamenti di tutte le scienze. Primo fra i pensatori formulò l’unione tra fede e ragione, ma proprio la sua Ars magna nel 1376, sessantuno anni dopo la sua morte violenta a ottantatrè anni, fu condannata dalla chiesa.
Il secolo successivo a quello in cui visse Lullo e che vide la nascita dell’umanesimo e la sua evoluzione nel rinascimento, segnò la ripresa del filo rosso che guidava il cammino del pensiero verso una nuova unità del sapere. L’ars combinatoria e la mnemotecnica lulliane soddisfacevano l’aspirazione enciclopedica propria del rinascimento che andava riscoprendo la natura, la concezione ciclica della storia e collocava l’uomo al centro dell’universo scoprendone la individualità. Il lullismo si diffuse, così, in tutta la cultura europea in una forma nuova. Con Nikolaus Krebs (1401-1464), altro dotto tedesco che meritò l’umanistica italianizzazione del proprio nome in Nicola Cusano con cui è universalmente conosciuto, si riconquistò la concezione organica del reale. Il mondo ed i suoi fenomeni naturali furono considerati come la vivente realizzazione di Dio e come l’insieme dei segni in cui è racchiusa la suprema armonia dell’universo inattingibile all’intelletto umano se non per avvicinamento progressivo senza poter mai raggiungere la conoscenza del tutto perché i limiti della ragione non superano la definizione di una cosa rispetto ad un’altra, di una parte in relazione con un’altra parte. Quella che si dice una conoscenza asintotica. Insieme a Cusano, stimatissimo dal papa umanista Enea Silvio Piccolomini, anche il fior fiore della intellighenzia rinascimentale si lasciò penetrare dal lullismo: il cardinal Bessarione, Pico della Mirandola (Oratio de homminis dignitate), Giannozzo Manetti (De dignitate et excellentia hominis), Carlo Bovillo italianizzazione umanistica di Charles Bouelles. Ma il grande salto evolutivo compiuto dal rinascimento, frutto più dell’intuizione artistica che della ragione, si esaurì perché nel proprio interno il sapere del tempo recava i germi della dissoluzione della raggiunta unità che il lullismo aveva favorito. Non va dimenticato che in pieno rinascimento si spezzò l’unità della chiesa. Nel 1517 Lutero, fortemente influenzato dalla corrente della devotio moderna tardo medioevale, rigettò il magistero della chiesa che, dopo Lullo e soprattutto con Cusano, Ficino e l’intellighentia di cui abbiamo fatto cenno, si era evoluta nella ricerca del connubio di fede e ragione. Affisse sulla porta della cattedrale di Wittenberg le novantacinque tesi sulle indulgenze e ruppe con Roma. Soprattutto ruppe con lo spirito del rinascimento che già aveva pervaso di sé tutta l’Europa. Lo scisma religioso si vestì di politica frammentando le coscienze degli europei e facendo lievitare il separatismo bellicoso fra gli stati di cui soffriamo le conseguenze ancora oggi.
La chiesa, come è noto, reagì con la controriforma (1537) e soffocò ogni pericolosa esplorazione nel campo filosofico che fosse men che ortodossa con il Sant’Uffizio (1542). Ne fece le spese, come ognun sa, anche Galileo quando, sessantotto anni dopo, col Sidereus Nuncius comprovò le tesi copernicane smantellando l’immagine dell’universo allora cogente. Il solito frate domenicano lo accusò di eresia denunciandolo al Sant’Uffizio il quale, già dieci anni prima, aveva mandato al rogo Giordano Bruno per le stesse tesi sull’universo. Ma il tratto più singolare fu che nel rogo di Bruno, cultore dell’ars magna lulliana, sembrò bruciare il filo rosso che aveva condotto Cusano e gli altri filosofi a riscoprire la tradizione classica rivitalizzandola in una concezione nuova. Il corso del pensiero subì allora una brusca svolta dando luogo alla modernità che ancora impera non possedendo, in sé, il mezzo intellettuale per evolversi. Riferire cosa sia la modernità in parole semplici e stringate non è cosa facile, ma occorre provarci. La modernità è lo sviluppo coerente di una concezione del mondo, immaginata da Cartesio. Si basava sulla separazione fondamentale dello stesso mondo in due sfere distinte e indipendenti: la sfera dello spirito,la mente, che chiamò res cogitans, sostanza pensante, e la sfera della materia che chiamò res extensa. Secondo questa concezione dualistica l’universo materiale, la res extensa, inclusi gli esseri viventi, non era più un organismo, ma una macchina che in linea di principio poteva essere compresa analizzandola nei termini dei suoi componenti più piccoli percui si sarebbe potuto comprendere il tutto a partire dalle proprietà delle sue parti. La sfera spirituale, la res cogitans, invece dette luogo alla proposizione cogito ergo sum da cui scaturirono dei corollari fondamentali: a) esiste tutto ciò che può essere pensato; tutto ciò che esiste, grazie all’essere pensato e quindi conoscibile, deve essere razionale; da cui b) per essere razionale deve potersi matematizzare, quindi misurare, ma non al modo dei greci bensì mediante il calcolo analitico. L’analisi algebrica effettuata con forme algebriche (lineari), superò lo spazio galileiano concepito ancora organicamente more geometrico e visse di logica lineare propria.
Dalla separazione dualistica di natura e spirito e con la filosofia razionale non più organica, ma lineare ne derivarono: a) le scienze naturali – concezione fisicalistica della natura – nella loro forma di discipline separate; b) la previsione del mondo mediante formule che lo riducono a economia e tecnica.
E il filo rosso della razionalità organica?
Non era bruciato con le corde che legavano al palo del rogo Giordano Bruno. In pieno spirito moderno G.W. Leibniz riprese il filo dell’ars magna lulliana nell’ambito di un progetto di metodologia. Anche per lui era al contempo ars demostrandi e ars inveniendi. Nel suo De arte combinatoria (1666) formulò due condizioni di metodo: – la possibilità di scomporre idee complesse in idee semplici mediante analisi; – la possibilità di comporre un alfabeto del pensiero umano i cui simboli si correlassero nello stesso modo dei pensieri (characteristica universalis) secondo regole fisse (calculus ratiocinator) simili a quelle della matematica. Mentre questa calcolava la quantità, l’alfabeto avrebbe potuto calcolare ciò che è attinente al “potere dell’immaginazione”. La prima delle due condizioni fu di pura concezione cartesiana, mentre la seconda rifletteva l’esigenza di pervenire ad una lingua universale che fu del pensiero rinascimentale, ma che non trovò codificazione.
A partire dal ‘600 fino a tutti gli anni cinquanta del secolo scorso, la rottura dell’equilibrio tra uomo e natura fu caratterizzata dalla dissociazione, operata dal pensiero, dell’unità dell’esistenza e della conoscenza in tanti aspetti settoriali ciascuno informato da una propria disciplina, una propria economia (finalità) settoriale, una propria tecnica. Venne a determinarsi quella che si potrebbe definire la sindrome dell’apprendista stregone: ogni aspetto settoriale, nel suo dispiegarsi senza quei vincoli che l’organicità imponeva di mantenere per l’unità dell’esistenza, mirò, tramite la propria tecnica, alla inflazione indiscriminata nella pretesa di raggiungere l’assoluto e divenire totalità. Negli anni trenta Hüsserl, filosofo, matematico e psicologo, citato più addietro, formulò la prima sintesi della crisi delle scienze europee e mostrò come non fosse possibile comprendere un organismo per mezzo dell’analisi, come sosteneva Cartesio. La conclusione che se ne poteva trarre fu che il mondo macchina espresso matematicamente non esisteva. Lo schema causale-deterministico proprio delle ipotesi meccanicistiche, non era in grado di spiegare le vastissime e complesse interrelazioni che caratterizzano i fenomeni naturali ed antropici. Inoltre il modello meccanicistico della natura elaborato dalle scienze, risultava inadeguato a rendere conto dei fenomeni del mondo microscopico e dell’universo relativistico. Le leggi scientifiche non apparirono più come traduzioni realistiche dei fenomeni naturali, ma piuttosto come schemi pratici e funzionali in cui riassumere convenzionalmente le misure quantitative e le previsioni sperimentali degli scienziati. Nacque così il ramo della scienza e della filosofia contemporanea denominato teoria generale dei sistemi (Bertanlaffy 1950) intendendo con questo termine la connessione di elementi in un tutto organico. Secondo la visione sistemica, che superava la visione analitica di Cartesio, le proprietà essenziali di un organismo, o sistema vivente, sono proprietà del tutto che nessuna delle parti possiede. Ad ogni livello di complessità i fenomeni osservati mostrano proprietà che non esistono a livello inferiore.
Fu l’inizio di una scienza della totalità; un enorme passo avanti che però mantenne irrisolto il grande problema generato dal dualismo cartesiano: la separazione dell’uomo dalla natura. L’andare oltre che andiamo propugnando, implica in primo luogo che il concetto di organicità, implicito nella teoria generale dei sistemi, abbracci la concezione di una totalità formata dalla simbiosi di uomo e natura. In secondo luogo occorre ristabilire la continuità del pensiero organico più maturo riallacciandolo al filo rosso della tradizione dell’ars combinatoria superando il limite leibniziano della scomposizione delle idee complesse sul reale in idee semplici, in favore di modelli costituiti da un rapporto costante tra soggetto percipiente , con la summa delle discipline, e oggetto percepito. Rapporto dialettico espresso secondo la combinazione di quattro gradi di complessità o di interrelazione: elementi, strutture, sistemi e sistema dei sistemi o organismi. Gradi, procedenti dinamicamente secondo un processo ciclico, che ritroviamo espressi nei quattro momenti: il concetto, il fine, l’organicità, l’individualità. Non ci addentriamo nell’esposizione di questo metodo assai articolato per gli evidenti limiti di spazio di questo articolo già abbondantemente “sforati”. Ricordiamo solo che questo metodo ebbe vita negli anni sessanta ed il suo creatore, Saverio Muratori, fu “martirizzato” per questo da una classe accademica mafiosa e ignorante.
(1) Entelechia: stato di perfezione di un ente che ha raggiunto il suo fine (telos) attuando pienamente il suo essere in potenza.