L’uccisione di Aristide Maillol. “Liberazioni” ed assassinii mirati di grandi artisti

27  Febbraio 2010

Giusppe A. Spadaro

I maquisard assassinarono lo scultore Aristide Maillol

Il grande scultore francese fu assassinato e non perì in un incidente stradale. Un ennesimo crimine camuffato dai “liberatori”, questa volta quelli d’oltralpe, per colpire un “collaborazionista”  che aveva superato le barriere dell’odio secolare tra francesi e tedeschi anticipando le condizioni odierne di fraterna coesistenza e integrazione europea – Una pagina tra le tante tragiche vicende nel corso del tramonto nazista e germanico che getta particolari sprazzi di luce, anche confrontando quanto racconta nel suo Diaro Ernst Junger e quanto è venuto dopo alla luce della ricerca – La tesi di Luca Lionello Rimbotti

 

Sfoliando i “Diari 1945-1947” di Junger avevo trovato la notizia che Aristide Maillol, tornato a Perpignan dopo la “liberazione” di Parigi, era stato ucciso dai suoi compaesani. Google riporta invece la notizia ufficiale (al contrario di noi italiani, i francesi si vergognano dell’assassinio di una gloria nazionale!), secondo cui Maillol morì in un incidente stradale. Luca Leonello Rimbotti, pur accogliendo la notizia ufficiale, ricostruisce nel modo seguente la personalità e l’opera di Aristide Maillol: La sera del 27 settembre 1944, nei pressi di Perpignano, l’auto che stava riportando a casa Aristide Maillol [nella foto a sinistra mentre lavora alla sua ultima opera, L’Armonia, 1943, rimasta incompiuta]- il maggiore scultore europeo allora vivente – si capovolse sulla strada bagnata per la grande pioggia e tra le lamiere il vecchio artista rimase gravemente ferito, trovando di lì a poco la morte. Si salvò invece Dina Vierny, la giovane modella ebrea divenuta compagna e musa del maestro, della cui memoria sarà per tutta la vita la dinamica vestale. Fu lei, ad esempio, a costituire la Fondazione e il Museo Maillol, oggi visitabile in rue de Grenelle a Parigi, dove lei e il maestro avevano abitato. Qualcuno parlò subito di un attentato dei maquis (i partigiani francesi), che avrebbero voluto colpire uno dei simboli dell’amicizia tra la Francia e la Germania: un’amicizia a lungo divulgata dai “collaborazionisti” negli anni di Vichy. Ma pare proprio che non sia andata così. Sarà stata certo colpa delle strade dell’epoca, nel sud della Francia. Maillol, di stirpe franco-catalana, era nato nel 1861 a Banyuls-sur-Mer, Pirenei orientali, nella regione del Rossiglione, vicino al confine con la Spagna, terra “catara”. Qui viveva e qui stava facendo ritorno quella sera. Nel 1944 era ben conosciuto, ma solo da vecchio la fama lo aveva ripagato di una vita tutta in salita. Allievo di due grossi calibri come Rodin e Bourdelle, Aristide Maillol inizialmente fu pittore e disegnatore. Solo a quarant’anni si scoprì scultore. E, la sua, fu grande scultura. Fuori dalle accademie, sebbene avesse studiato alla Scuola di Belle Arti di Parigi, ammiratore di Cèzanne e Gauguin, egli trasportò la forza del disegno pittorico sul legno, sull’argilla, sulla pietra, sul bronzo. Divenne il grande cantore dell’armonia immortale rappresentata dal corpo femminile. Il suo viaggio a Pompei e in Grecia, nel 1908, gli valse la finale: la forma del sublime, ma riproposta con mano originale, con un tratto a volte pesante, che i critici hanno considerato come un segno del suo impulso mediterraneo, fatto di una classicità arcaica, grave, mai frivola. Uomo semplice, figlio della sua terra, Maillol volle celebrare il gusto per la vita, la forza che è nella natura, la sanità e la solidità di figure femminili particolari: quasi di una “paganità” di campagna, un’antica, fiorente robustezza. Un suo biografo ha scritto che la sua creatività derivava dall’ amore per la vita, “una vita vicina al mondo del sole, alla vegetazione, ai ritmi rustici. La donna ne è il più bel frutto”. Povero e di carattere schivo, Maillol pian piano venne notato da un gruppo di amatori d’arte, di cui divenne il beniamino: una sorta di artista “di culto”, come diremmo oggi. Soprattutto in ambienti della Mitteleuropa, quella sua capacità di combinare la ieraticità plastica con la sensualità delle forme piaceva molto. Quanti amavano lo stile classico reinterpretato con gesto moderno vedevano nel suo lavoro una nuova avanguardia, ma tradizionale, nel solco del gusto e dell’estetica tipicamente europei. A partire dal 1910, il collezionista tedesco Harry Kessler e il famoso drammaturgo Hugo von Hoffmansthal furono i suoi primi mecenati, e le loro committenze trassero Maillol dalla vita grama e dall’anonimato. Queste frequentazioni gli sarebbero valse più tardi, durante la Prima guerra mondiale, un’amara accusa di spionaggio filo-tedesco. Diviso tra la terra natia e Parigi, Maillol cominciò a farsi conoscere, e i suoi capolavori presero a diffondere una nuova stagione di cultura artistica: alle corrosive avanguardie della scomposizione e dell’astrattismo, la tradizione sapeva rispondere con gli antichi canoni rivisitati dalla genialità dello spirito moderno. Un po’ quello che, anche da noi in Italia, ad esempio, stava succedendo con Libero Andreotti – anch’egli allievo di Bourdelle -, che seppe conciliare lo stile eroico e rappresentativo con una classicità non di maniera, ma tipicamente legata al dinamismo novecentesco. I frutti della femminilità pagana e mediterranea celebrata da Maillol sono raffigurati in alcuni tra i più famosi capolavori della statuaria del Novecento europeo: da Pomona (di cui fu modella la domestica Laura, che quarant’anni dopo lo assistette in punto di morte), a Mediterraneo [nella foto a sinistra, 1906], opera presentata al Salone d’Autunno del 1905 e poi rielaborata in diverse versioni; da Le tre Ninfe, tipica scultura de plain air, a L’Azione incatenata, a Il Fiume e alle tarde La Montagna del 1937 e L’Armonia, cui stava lavorando ancora nel 1944 e rimasta incompiuta. In tutte queste opere c’è l’ideologia di Maillol: la donna, la femmina, come effetto simbolico di un valore eterno di forza e di bellezza, di armonia e di superiore equilibrio: l’architettura del corpo femminile come sentimento naturale, simbolo carnale della vita, senza nessun richiamo soggettivo. Maillol non riproduceva persone fisiche reali, egli ritraeva la forma allo stato puro. Rappresentava l’idea platonica, non faceva ritratti borghesi. Come ha scritto Dina Vierny, «il soggetto umano non è più che un mezzo e non un fine per mettere in forma il pensiero dell’ artista…Maillol libera la scultura dalla nozione di soggetto e la sostituisce con la ricerca della forma pura…davanti all’eloquenza della scultura classica, l’artista oppone il silenzio…». Quello di Maillol fu insomma un nuovo, rivoluzionario classicismo: antisoggettivo, naturalistico, organico. Vera ispirazione “comunitaria” fu la sua, che nell’arte ricerca i nessi della verità biologica eterna e non gli astrattismi intellettualistici. Presente con tre sale all’Esposizione del 1937 a Parigi, Maillol finì con l’avere grande influenza sugli artisti contemporanei. E tra i suoi allievi, vi fu Arno Brecker, il “Michelangelo tedesco”, con lui a Parigi nel 1928, e poi con lui di nuovo in rapporti di stima reciproca negli anni della collaborazione franco- tedesca, gli anni di Vichy. Tra l’altro, la moglie di Brecker, la greca Mimina, ebbe modo di posare per Maillol. Il 15 maggio 1942, Jacques Benoist-Méchin, l’eclettico segretario di Stato del governo Pétain – fu anche diplomatico, giornalista e storico, autore di una famosa storia dell’esercito tedesco e di un’ancora più famosa biografia dell’Imperatore Giuliano – organizzò all’Orangerie di Parigi una grande mostra delle opere di Arno Brecker. Maillol, in qualità di membro del comitato d’onore, raggiunse Parigi per il vernissage, cui presero parte molti tra gli intellettuali più in vista della Parigi dell’epoca, da Sacha Guitry a Drieu La Rochelle, da Maurice Vlamick ad Abel Bonnard, a Jean Cocteau, che ne parlò sul suo Journal1942-1945. Si trattò del momento culminante di quella volontà di riconciliazione tra Francia e Germania, che era nei voti di quanti volevano seppellire, nel progetto del Nuovo Ordine Europeo, la secolare inimicizia tra i due popoli. Brecker, profondo ammiratore, come molti tedeschi, dell’arte francese, era uno dei più convinti sostenitori di un’alleanza tra i vecchi nemici, ed aveva in questo l’appoggio personale di Hitler: «Mai la Francia si troverà davanti a unuomo così sensibile», affermò Brecker. E Cocteau, addirittura, considerò la presenza tedesca a Parigi come la vera causa della “scoperta” tardiva del genio di Maillol. Brecker era lo scultore preferito da Hitler. Con lui e con Speer, alle prime luci dell’alba del 23 giugno 1940, il Führer aveva voluto visitare i monumenti di Parigi, appena occupata. E a Brecker, in qualità di antico maestro, si rivolse Maillol per chiedere protezione per la sua modella-compagna ebrea, ottenendola. Come ha scritto lo storico inglese dell’Occupazione Julian Jackson, la mostra all’Orangerie espresse «l’omaggio della Francia agli studi virili di Brecker e l’ammirazione di coloro che in quelli e nelle forme femminili tutte rotondeggianti della scultura di Maillol potevano leggere una metafora della Collaborazione nel suo insieme, una replica o un’anticipazione artistica dei rispettivi ruoli dei due paesi nella Nuova Europa». La virilità tedesca rappresentata dalla gigantesca statuaria di Arno Brecker e la femminilità francese incarnata dalla plastica curvilinea di Aristide Maillol. Jean Cocteau coniò una formula: «Maillol, francese germanico, Brecker, tedesco di Francia». Nel binomio è riassunto tutto il significato di quella nuova unità europea che si voleva realizzare a Parigi, nel pieno della guerra, e sotto gli auspici dello stesso Hitler, che volle riservarsi per la capitale francese il ruolo di “reggitore confuciano”, come disse Pound, di capo politico rivoluzionario, ma, ad un tempo, di mecenate, protettore delle arti e artista egli stesso. «L’Occupazione fu un periodo splendido per la vita culturale parigina», ha scritto Jackson nel suo libro France.The dark years 1940-1944. Ma quando Maillol, in quello scorcio del 1944, come è stato affermato da un biografo, “moriva semplicemente, come un povero vignaiolo”, destinato a rimanere vittima di una nuova stagione di oblìo, l’Europa dei popoli, delle patrie, delle divinità campestri, dei simboli antichi, l’Europa delle arti e della forza rivoluzionaria della Tradizione stava anch’essa morendo, affogata in un mare di odio e di sangue.