Il momento dell’economia e della tecnica, argomento di questo quarto articolo sull’ “Uscire dal deserto”, ci porta a trattare di una delle scienze tecniche nate dall’avvento del razionalismo analitico di cui abbiamo scritto nel precedente articolo sul momento della logica.. Scienza e prassi di mezzi che dovrebbe connettere gli elementi del sapere elaborati dalla logica, ovvero dalla conoscenza, a formare strutture costitutive del mondo, ma che nei suoi effetti si è rivelata sintomo della crisi attuale della civiltà. Sintomo ed anche causa perché, tra le scienze settoriali derivate dall’illuminismo, è l’economia che ha impersonato il rapporto tra la limitata coscienza della cultura ufficiale e la società inceppando gravemente il processo civile.
Chi ci ha seguito sin qui [sia reso omaggio alla sua tenacia] ricorderà la metafora della vite dalla geometria particolare lungo la spira della quale si sviluppa il percorso della civiltà. Per rimanere nella metafora, diremo che le scienze settoriali, ciascuna protesa al proprio fine a scapito dell’unità della conoscenza, hanno messo in atto propri processi logico-operativi di tipo lineare ( matematici ) che, per essere tali hanno abbandonato, uscendo per la tangente, il processo ciclico provocando la “spanatura” del passo della vite. Il processo civile, incappando nella spanatura, non è più riuscito ad avanzare, ma girando inutilmente in tondo ha dissipato la sua energia propulsiva nelle fughe tangenziali che ciascuna scienza si è trovata a dover seguire.
Il nostro obiettivo, come si ricorderà, è di oltrepassare la crisi delle scienze e della ragione filosofica. Per farlo occorre superare la spanatura e “reimmettere in orbita” il processo civile che per sua natura non può essere settoriale ma organico. Nell’organicità il momento dell’economia e della tecnica rappresenta, come abbiamo detto, la struttura costitutiva del mondo e, in quanto tale, è parte dell’organismo civile e ad esso connessa in moltissimi modi tutti, però, organicamente riportabili ai capisaldi dei suoi quattro fattori costitutivi: l’imprenditore, il capitale, il lavoro ed il consumo. Pur essendo struttura, però, esso è un cosmo organico con propri gradi di complessità o di interrelazione dell’operatività economica. Tali gradi sono: ideazione, tecnica, lavoro, mercato.
Nell’individuazione di questi fattori e nella concezione del diverso ruolo che gli stessi debbono avere nell’ambito dell’economia sta tutta la storia dei successi e dei fallimenti che hanno portato all’odierna crisi civile. Vediamo dunque questi fattori costitutivi incominciando dall’ imprenditore. “…Rappresenta l’attore dell’operazione economica, colui che la concepisce e la gestisce e ne rimane insieme l’ideatore e costitutore, l’operatore, il responsabile e l’insopprimibile legittimo rappresentante “[ S. Muratori. Civiltà e territorio 1967]
La figura dell’imprenditore rappresenta, nel quadro economico, il momento logico. E’ colui che intuisce un interesse economico – ad esempio le possibilità applicative della produzione scientifica – e ne costituisce i termini per conseguirlo. Si presenta in diverse forme e categorie. Nella sua personificazione più evoluta avendo come logica operativa la “massimizzazione del profitto” e con approccio dinamico, direbbe Schumpeter, mette in atto innovazioni tecniche, realizza nuovi prodotti, apre nuovi mercati, cambia o inventa le modalità organizzative della produzione riducendo al minimo i costi e utilizzando nel modo più efficiente possibile, le risorse produttive a propria disposizione. Quale che sia l’estensione del suo settore operativo, sia alla piccola scala che a quella più ampia come lo Stato o l’umanità intera, dovrà sempre – se non vorrà fallire – tenere ben ferma la distinzione dell’utile economico dagli altri aspetti o momenti.
Vediamo ora il capitale. E’ il mezzo per attuare l’interesse economico individuato dall’imprenditore. Naturalmente esistono diverse forme e categorie di capitale. Capitale è la terra così come le materie prime e le sue fonti e mezzi di rifornimento; capitale sono la strumentazione tecnica, le scorte di materiali necessari, il credito e il circolante; ancora capitale è la disponibilità di mano d’opera addestrata, salariata e tecnica – la cosiddetta forza lavoro – ed altrettanto lo è la disponibilità delle basi di mercato, pubblicità, attrezzatura commerciale e trasporto. Senza capitale nessuna possibilità operativa, ma il capitale – è bene ribadirlo – è solo uno strumento. Fondamentale nella fase operativa, non è fondamentale invece in quella costitutiva che le è antecedente. Ai fini della validità dell’intervento risulta condizionante e pregiudiziale così come sarà condizionante per le operazioni seguenti dello sviluppo economico.
Veniamo al lavoro. Va subito sgombrato l’equivoco generato da considerazioni di ordine sociale, politico o umanitario che portano ad identificare il lavoro con la forza lavoro ovvero con la mano d’opera. Come abbiamo visto la sua disponibilità, il suo reperimento, attrezzatura e pagamento fanno parte del capitale, ma la mano d’opera non rappresenta ancora il momento strumentale e come tale decisionale. Ne è la prova la migrazione dei capitali finanziari nelle regioni del mondo alla ricerca di forza lavoro a basso costo quando la stessa non sia più convenientemente sostituibile con macchinari. Il lavoro, invece, è un’altra categoria e rappresenta il momento di convergenza di diverse e complementari operazioni decisionali a più livelli ( ricerca ed elaborazione, organizzazione, direzione e controllo del lavoro, pianificazione e gestione delle risorse materiali e finanziarie etc. ) a costituire un organismo produttivo caratterizzato, operativamente, dalla partecipazione al rischio nell’impresa e compensata con partecipazione all’utile. Il famoso plus valore di marxiana formulazione che non compete affatto alla mano d’opera puramente strumentale come affermava Marx.
Infine il consumo. Esso rappresenta l’ambiente di assorbimento del prodotto dell’attività economica. E’ il fattore che determina il successo economico.
Per capirci: ricordando che senza imprenditore, ovvero senza intuizione di interesse economico, non ha senso parlare di capitale e senza imprenditore e capitale non ha senso parlare di lavoro, ne consegue che senza imprenditore, capitale e lavoro non ha senso parlare di consumo, ovvero di merce e di mercato.
Come si noterà, finora non si è fatto cenno di fenomeni come capitalismo, comunismo, mercatismo e simili “ismi” che denunciano invariabilmente una deviazione ideologica del termine che fa da radice (capitale, comune, mercato etc). Non è un caso che il termine ideologia nasca alla fine del Settecento, in pieno secolo dei lumi, e venga poi usato in senso dispregiativo da Marx ed Engels per indicare ogni costruzione intellettuale che rappresenti la realtà vera dei fatti e delle cose con immagini e giustificazioni illusorie.
Ebbene, per comprendere la crisi civile che stiamo attraversando occorre partire proprio dalla alterazione del significato di economia. Non risaliremo, questa volta, alla Grecia anche se il termine deriva proprio dal greco oikos “dimora” e nomìa regolamentazione, come dire “governo della casa” e più estensivamente “governo del territorio” nei suoi gradi intermedi. Risaliremo al periodo pre-capitalistico quando l’economia era intesa come il modo per produrre le risorse da impiegare “nella costruzione del mondo”, come dice H. Arendt: consolidare il potere o conseguire maggiore influenza politica, praticare il mecenatismo per favorire la creazione della bellezza commettendo edifici, opere d’arte e letteratura, ostentare il decorum del proprio status sociale anche tramite il lusso oltre, naturalmente, soddisfare le proprie esigenze (oggi si direbbe: consumare). Tutto il profitto veniva trasformato in opere per il mondo ovvero in vita per il mondo, in produzione di cose o eventi che prima non c’erano. Questa dura, feroce e splendida età dell’oro esaltante la individualità dell’uomo, durò fino al consolidarsi della Riforma alcuni decenni dopo lo scisma provocato da Lutero nel 1517. All’inizio del Seicento, nella repubblica dei Paesi Bassi, nacque il capitalismo moderno con la colonialista Compagnia delle Indie Orientali (1602) e si consolidò lo spirito capitalistico che dette inizio ad una nuova età. Più dura ed ancora più feroce della precedente, ma senza alcuno splendore, Infatti tutto ciò che caratterizzava la costruzione del mondo venne considerato secondario e trascurabile: ciò che acquisì importanza fu l’accrescimento continuo del profitto mediante il reinvestimento dei frutti del capitale. Ancora oggi il vero capitalista, impersonato dal finanziere (singolo o in corporations) è quello che ottiene la massima soddisfazione dal conseguimento del profitto in sé e non dai piaceri che il guadagno può procurare. Ne fa fede la definizione che viene data della finanza : “ è quella scienza che studia le modalità di allocazione del denaro tra usi alternativi, al fine di massimizzare la propria soddisfazione”.
Ecco il punto.
In una economia organica, come era quella pre-capitalista e come quella più evoluta che dobbiamo reimmettere in orbita, le diverse forme di capitale furono strumento di attuazione dell’interesse economico individuato dall’imprenditore il quale remunerava tale capitale mediante pagamento degli interessi, pagamento della mano d’opera e delle scorte etc.
Nella situazione attuale, invece, il capitale finanziario, nella logica della massimizzazione del profitto finanziario, ha assunto una preponderanza determinante fino ad asservire le altre forme di capitale, prima fra tutte la forza lavoro e poi gli altri fattori costitutivi dell’economia. Ma non si è fermato a questo. Non accettando di limitarsi al ruolo di struttura del processo civile, cioè della realtà, si è sostituito ideologicamente ad essa impersonando anche il ruolo politico. Nei fatti il capitalismo finanziario si è sostituito surrettiziamente allo Stato mentre, nel caso della forza lavoro il capitale si è fatto palesemente esso stesso Stato. Mediante la tecnica ha permeato la vita dell’uomo fino a capovolgere i termini del rapporto che aveva con lui. Non più la tecnica al servizio dell’uomo,ma l’uomo al servizio della tecnica fino a raggiungere quella perfezione prefigurata da Friedrich Georg Junger il fratello di Ernst. Da strumento la tecnica si trasforma in processo ordinatore impositivo (mobilitazione totale) che trova il suo compimento nella riduzione del mondo a macchina.
Ma vediamo di allargare l’angolo della nostra visuale prospettica sul fenomeno della deviazione dell’economia dal processo civile e poniamoci il quesito: – Cosa è accaduto?
Quello che era nelle premesse della modernità che, si ricorderà, pretendeva di comprendere il tutto a partire dalle proprietà delle sue parti. Ideologicamente l’economia fu pensata in termini cartesiani e fu ritenuto reale ciò che fu pensato in astratto perché matematizzabile, cioè riducibile a forme e regole matematiche.
Occorre porre bene in mente questo fenomeno di devianza dal reale che riassumiamo: la parte –nel caso in questione l’economia- pensa se stessa come il tutto, ma senza acquisire le proprietà dell’organismo totale perché la parte non le possiede. Costruisce un mondo virtuale a misura delle limitate proprietà della struttura –l’economia- e costringe l’uomo, per sua natura organico, ad adeguarsi alla ridotta dimensione economica. E’ così che è stato modellato il marcusiano uomo ad una dimensione e nello stesso modo l’uomo a taglia unica di Tremonti.
E’ così che nacque il totalitarismo, la malattia più disastrosa della modernità.
Ad esserne affetto fu il capitalismo nelle due forme parziali: dapprima il capitalismo finanziario, di poi ed in reazione ideologica allo steso, il comunismo espressione della forza lavoro, anch’esso capitale, destinato secondo il materialismo storico, ad instaurare la dittatura del proletariato per liberare l’umanità dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Per eterogenesi dei fini, fu proprio il comunismo che trasferendo sul piano politico –quindi ad una scala superiore- un conflitto che era interno al capitale, ricadde nell’errore ideologico che imputava agli altri nel momento che volle anch’esso sentirsi totalità del processo civile piuttosto che un aspetto parziale dell’economia.
La lotta interna al capitale, come ognun sa, vide la vittoria del capitalismo finanziario per implosione dell’avversario, ma non la fine del totalitarismo il quale, più che una categoria politica negativa, è una deviazione della modernità dal processo della civiltà.
Il totalitarismo, nel nostro caso, si chiama economismo ovvero visione ideologica del mondo “sub specie oeconomiae” generatore di una struttura fittizia con tutte le caratteristiche di una forma cancerosa, metastatica, in conflitto insanabile con la struttura reale del corpo civile di cui ha pervaso profondamente tutti i centri decisionali. Rimane isolata dall’economia reale del corpo civile e pertanto, nell’imporre il proprio meccanicistico funzionamento, si strumentalizza tecnicamente e si burocratizza –talvolta si criminalizza- provocando una conseguente forma di proletariato, cioè un’umanità schiavizzata e sterilizzata nella sua autonomia e nella sua totalità spirituale, governata da una tecnocrazia e controllata da una tecnoburocrazia. Basti pensare a quel che sta avvenendo nell’attuale crisi economica, manifestazione tipica del fallimento della finanza speculativa virtuale. Da parte dei governi viene messo in essere il salvataggio del sistema bancario responsabile della crisi facendo ricorso ai soldi dei contribuenti senza reazione alcuna da parte di questi ultimi. Oppure alle manovre in atto da parte di organismi finanziari americani che si apprestano ad attaccare l’euro allo stesso modo con cui fu attaccata la lira nel 1992. Altro esempio è quello della grande impresa, drogata dal capitale finanziario che può aprire o chiudere i rubinetti che la alimentano sia mediante il credito bancario o azionario che attraverso l’aiuto dello Stato totalmente condizionato dal capitale nelle sue diverse forme. Balza chiaro, crediamo, quanto il totalitarismo senza volto sia vitale oltre che parassitario.
La realtà economica, tuttavia, sopravvive. Quella di certa imprenditoria e del lavoro libero e responsabile. Ma sempre più stentatamente. Ogni tanto una di queste strutture cede sotto l’attacco del capitale, ma senza che si levi alcun grido di allarme. Com’è il caso del lavoro autonomo e della libera professione. Nessuno lamenta la fine del lavoro perché nell’ottica del capitale dominante solo la forza lavoro –l’altra faccia del capitale- è funzionale alla sopravvivenza del sistema economico imperante. Purchè costi poco, ovviamente.
Tuttavia anche la struttura cancerosa che ci pervade ha dei punti deboli ed è su quelli che occorre puntare per reimmettere in orbita l’economia. Uno di questi è la creatività, un ingrediente della produzione che di tutti è il più difficile da analizzare.
La creatività ha due aspetti: quello proteso ad inventare modi innovativi della produzione e l’altro proteso alla ricerca della qualità e della esclusività.
Il primo è quello che caratterizza il ruolo dell’imprenditore, ma come intuì Schumpeter, tale ruolo nella grande impresa verrà sempre più sostituito dalla mentalità burocratica e tendente all’immobilismo dei managers con l’inevitabile declino del sistema.
Il secondo aspetto,invece, è proprio del lavoratore responsabile che vive, appunto, del proprio mestiere o professione. Egli può sottrarsi all’implacabile processo del mercato producendo un prodotto esclusivo che nessun altro sia in grado di riprodurre facilmente. Va da sé che la creatività dovrà essere supportata dalla conoscenza necessaria ad applicare il sapere scientifico alla produzione e distribuzione di merci, ma soprattutto va ridato al lavoro il suo effettivo ruolo caratterizzato, oltre che dalla convergenza di diverse e complementari operazioni decisionali a più livelli, anche dalla partecipazione al rischio dell’impresa ed alla ripartizione dell’utile della stessa.
Ma non basta. Perché se il totalitarismo nasce come deviazione economicistica del processo civile, significa che ha pervaso –come abbiamo visto- anche l’organismo politico e quindi la lotta per l’oltrepassamento dovrà spostarsi su questo terreno in forme nuove e soprattutto più mature.