Perché i principî della nostra Carta vanno cambiati
Che la Costituzione italiana abbia una netta ispirazione ‘cattocomunista’ non è né un insulto (come usa dire oggi), né un complimento (come usava dire ieri, seppur con altre parole): è una constatazione. Il 2 giugno 1946 gli italiani elessero l’Assemblea costituente: la Dc ebbe il 35,2%, comunisti e socialisti (che si presentavano separati, ma si muovevano uniti) il 39,7%. I liberali dell’Unione democratica ottennero il 6,8%, il Pri il 4,4%, il Partito d’Azione l’1,5%. Il resto, circa l’8%, andò all’Uomo qualunque e ai monarchici. Tralasciando qualunquisti e monarchici, che non ebbero alcun ruolo nella stesura della Carta, la disparità delle forze politico-culturali in campo appare schiacciante: 75% di ‘cattocomunisti’, 12,7% di liberali. Il testo approvato il 22 dicembre 1947 risente profondamente, né potrebbe essere altrimenti, di questo rapporto di forze.
A meno di non credere che i principî siano eterni – ma in tal caso bisognerebbe restaurare l’assolutismo – dobbiamo dunque ammettere che l’ispirazione culturale della nostra Costituzione, prima ancora che i meccanismi istitituzionali che definisce, è oggi abbondantemente superata. Il Paese è cambiato profondamente, al punto che c’è chi lo considera irriconoscibile, e la cultura politica ‘cattocomunista’, oggi prevalentemente incarnata dal Pd (che pura non rinuncia a dirsi anche liberale) e dall’Udc, non supera nei consensi un terzo dell’elettorato. Se non è del tutto chiaro quale sia oggi la consistenza dell’area liberale, è certo che l’area ‘cattocomunista’, ipermaggioritaria sessant’anni fa, rappresenta oggi una netta minoranza.
Dopo decenni trascorsi inutilmente a discutere questa o quella modifica alla seconda parte della Costituzione, e mentre si apre un dibattito, di grande interesse ma per forza di cose limitato, sugli artt. 41 e 118 (il tema è la libertà d’impresa), sarebbe ora di mettere mano con serietà e rigore alla riforma dei principi fondamentali della Costituzione, raccolti nei primi dodici articoli.
La loro struttura e articolazione denuncia un impianto di pensiero assai poco liberale (se non nell’art. 2, che si limita a riconoscere, senza specificarli, i “diritti inviolabili dell’uomo”, ma subito li subordina ai “doveri inderogabili di solidarietà”), e debitore, invece, tanto della cultura marxista quanto di quella cattolica sociale. L’uomo della nostra Costituzione non è mai un cittadino o un individuo, come ci hanno insegnato i classici del pensiero liberale, ma è alternativamente, e spesso simultaneamente, un “lavoratore” e una “persona”. Sono, come sappiamo, le due parole-chiave del pensiero marxista e di quello cattolico.
I partiti all’Assemblea costituente (1946)
Quanto la mescolanza di queste due visioni del mondo – unite forse soltanto da un profondo fastidio per la libertà dei liberali – sia effettivamente riuscita, lo si può giudicare leggendo per esempio il secondo comma dell’art. 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Basterebbe questo comma (i corsivi sono nostri) a consegnare la nostra Costituzione al ripostiglio della storia.
La rimozione degli ostacoli “di ordine economico e sociale”, se presa alla lettera, significa l’edificazione – secondo i termini dell’epoca – di una società socialista, in cui lo Stato provvede, non importa se con una massiccia leva fiscale o con il gulag, a togliere ai ricchi per dare ai poveri, fino a che tutti avranno lo stesso reddito. L’“eguaglianza” dell’art. 3 è infatti un’eguaglianza esclusivamente “di ordine economico e sociale”, e dunque prevede e anzi impone un intervento diretto e massiccio dello Stato; non solo: è clamorosamente associata alla “libertà”, e resa da essa inseparabile, proprio come sostiene il dogma marxista: la libertà dei liberali sarebbe soltanto “formale”, mentre la vera libertà, la libertà “sostanziale”, si darebbe soltanto in una società di eguali (cioè di persone che hanno lo stesso reddito).
Ricapitoliamo: secondo l’art. 3, esistono “ostacoli di ordine economico e sociale”, cioè differenze di reddito e di classe, che “limitano di fatto” la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, perché non si è liberi se non si è davvero uguali, e non si è davvero uguali se non si rimuovono le differenze di classe e di reddito. Queste differenze infatti, conclude l’art. 3, “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori…”, ed è per questo che vanno eliminate con un intervento diretto dello Stato. Quest’ultima frase è davvero un capolavoro linguistico (e dunque culturale e politico): lo “sviluppo della persona umana” – al singolare – è precisamente la funzione che i cattolici attribuiscono allo Stato; la “partecipazione di tutti i lavoratori” – al plurale – è la formula canonica impiegata dai partiti del movimento operaio.
Di liberale, in quest’articolo, non c’è proprio nulla. Anzi: si disegna uno Stato che viola sistematicamente le libertà liberali dell’individuo, per esempio mettendogli le mani nel portafogli per redistribuire a proprio capriccio la ricchezza faticosamente guadagnata; imponendo un’idea di libertà indistinta da quella di eguaglianza, e un’idea di eguaglianza francescana o marxista, ma non certo liberale, cioè fondata sullo Stato di diritto; suggerendo che sia compito dello Stato promuovere lo “sviluppo della persona umana”, che invece nel pensiero liberale è scelta soltanto individuale; insinuando che soltanto i “lavoratori” – gli unici citati – abbiano il diritto di partecipare alla cosa pubblica. Insomma, un vero reperto ‘cattocomunista’. Che aspettiamo a cambiarlo?
(1 – continua)
23 commenti a “Perché i principî della nostra Carta vanno cambiati”
Guido Amadini scrive:
17 giugno 2010 alle 12:31
Caro Fabrizio, premetto che leggo sempre ciò che scrivi e che sono un affezionato di Frontpage da quando tu e Claudio Velardi vi siete lanciati in questa avventura. Devo però dire che faccio quasi fatica a credere ai miei occhi, quando leggo i tuoi interventi degli ultimi mesi (e gli ultimissimi in particolare), non perchè non li condivida, ma anzi perchè troppo coincidenti con i miei pensieri e le mie convinzioni. Che tu sia stato, anche in passato, un pensatore originale ed una mente libera, l’avevo scoperto fin dal mio primo contatto con te, quando ho fatto una piccola ricerca in rete per cercare di capire chi eri ed avevo avuto modo di apprezzare diversi tuoi articoli. So però che sei anche una intelligenza scaltra e disincantata, per cui leggendo i tuoi ultimi interventi su Frontpage, mi è persino venuto il dubbio di non cogliere un’ ironia nascosta che contraddicesse in qualche modo le tue parole coraggiose ed i tuoi argomenti assolutamente da me condivisibili. Non riuscendo a trovarne traccia, penso che tu dica sul serio e mi entusiasmo. Mi rimane una solo dubbio, che getta un’ombra sul tuo attuale liberalismo e su certe posizioni che stai prendendo. Ricordo infatti quando, un anno fa, hai fatto tua la campagna di diffamazione contro il presidente del consiglio, sostenendo la giustezza del tentativo di batterlo con lo scandalo privato, dato che non ci si riusciva a batterlo politicamente. In pratica contraddicevi molto di ciò che hai scritto in questi giorni su privacy, intercettazioni e così via. Volevo scriverti privatamente al riguardo, ma penso che sia più corretto farlo da queste pagine e vorrei chiederti: oggi, su quell’ argomento la pensi diversamente? sei critico su quel tipo di lotta e quel tipo di argomentazioni?
Non ti sto chiedendo, sia chiaro, la tua opinione o il tuo giudizio politico ed umano sul leader del PDL, ma solo su un certo modo di fare la lotta politica (le famose dieci domande, per esempio) che allora ti ha visto quasi in prima linea e sul quale dissentivo e dissento dal profondo del cuore. Mi scuso per non essere esattamente in tema con l’articolo di oggi.
Un esule scrive:
17 giugno 2010 alle 13:18
Sottoscrivo. E visti i tuoi precedenti di gioventu’ mi preoccupo. Chi e’ che sta derivando?
Ti vedi fare queste osservazioni 40 anni fa? Non e’ che quelli che erano come te abbiano contrubiuto a farci sedimentare in questa melma ideologica?
Lo chiedo solo cosi’, tanto per provocare…
emilia scrive:
17 giugno 2010 alle 14:38
condivido e sottoscrivo.
e (piacevolmente) stupisco anch’io…
FR scrive:
17 giugno 2010 alle 15:33
caro Guido, rispondendo a te provo a rispondere anche agli altri nostri interlocutori. Tralascio una riflessione più generale sulla ‘maturazione’ (o involuzione, a seconda dei punti di vista) intervenuta in questi anni, diciamo dal fallimento dei governi D’Alema in poi, che diventerebbe troppo lunga e teorica.
Parliamo invece della campagna di sputtanamento di B., cui nel mio piccolo ho attivamente partecipato, della privacy e delle forme della lotta politica. Tecnicamente, la storia delle escort non è soltanto una storia di intercettazioni: ma naturalmente, Guido, non mi sfugge il punto che sollevi. La mia riflessione dopo Noemi era stata questa: B. ha costruito il suo consenso in larga misura sull’immagine; distruggendo la sua immagine, il suo consenso calerà. La privacy, in questo caso, è un elemento presente ma secondario: così come B. può utilizzare Signorini per violare la privacy della propria famiglia a fini (auto)propagandistici, allo stesso modo l’opposizione può violarla per ottenere un risultato opposto.
Questo, in breve, il mio ragionamento. D’altro canto, in America, che è pur sempre lo stato più libero del mondo, non si esita a fare così. Preciso che il giustizialismo, in questa vicenda, non c’entra nulla: anzi, proprio perché non c’erano e non ci sono rilievi penali, ci si poteva per una volta liberare dalla cappa della magistratura.
Il fatto è che questa linea si è mostrata clamorosamente sbagliata. Berlusconi ha aumentato i consensi, e l’opposizione si è persa un’altra volta. Dal punto di vista pratico, che in politica è dirimente, si tratta dunque di una linea sbagliata: non esito ad ammetterlo.
E dal punto di vista morale? Con il senno di poi, e sebbene la parola ‘morale’ sia a dir poco ambigua, direi che quella campagna fu sbagliata anche moralmente. Sebbene anche i liberali non disdegnino la character assasination, si tratta a ben vedere di una pratica totalitaria – anche in senso letterale, perché pretende di considerare l’uomo politico non in quanto professionista (che svolge più o meno bene un lavoro, e su questo va giudicato), ma in quanto ‘persona’ tutta intera, senza distinzioni fra pubblico, privato e tutto ciò che sta in mezzo. Il risultato è che la politica si fa morale – e questo è decisamente immorale (oltreché illiberale).
Giovanni Franco scrive:
17 giugno 2010 alle 16:03
un articolo che sa di insulto non solo ai nostri padri, ma anche all’intelligenza delle persone.
FR scrive:
17 giugno 2010 alle 16:11
Giovanni, puoi spiegare perché?
Tweets that mention Perché i principî della nostra Carta vanno cambiati | The Frontpage — Topsy.com scrive:
17 giugno 2010 alle 16:43
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Giovanni Franco scrive:
17 giugno 2010 alle 19:14
Definire la nostra Costituzione una sorta di parto catto-comunista, credo sia errato; certo, come ogni cosa, anch’essa è figlia del suo tempo. I principi fondamentali sono ancora attualissimi, altre norme possono sentire di una diversa interpreetazione rispetto al passato, cosa che si verifica per tante altre norme. Ancora nel corso degli anni si è fatto più volte ricorso alle leggei costituzionali.
Buttarla a mare credo sia come dire di buttare a mare gli uomini oltre i 60, considerandoli fuori dal tempo.
Nel momento in cui la Costituzione venne scritta ed approvata, ci fu un grande senso di responsabilità da parte di tutti i partiti politici, essa è il frutto del sangue versato per la libertà, di quei comunisti, oggi non ne esistono, e forse dovrei aggiungere “purtroppo”, ma non perchè erano nel giusto, solo perchè credevano in ciò che facevano mentre oggi la politica è diventata solo opportunismo allo stato puro. Per quanto riguarda il termine “catto” evidentemente esso si rifeerisce alla morte apparente della DC, evidente che la stessa vive sotto altre forme, un po’ come i socialisti. Certto mi piacerebbe sapere dove si collocano i “berlusconiani” rispetto alle formazioni passate di DC e PSI.
Ma venendo nel merito degli articoli ed in aprticolare dei principi fondamentali della Carta Costituzionale, che si ritengono “catto-comunisti”, affermare che il lavoro è il fondamento del,la Repubblica, nonn credo sia qualcosa di antiquato, certo oggi di fatto la nosstra Repubblica, rappresenta una Stato biscazziere,che dif atto ha mutato le fondamenta basandosi su vincite al lotto, al superenalotto e su programmi telefvisivi che distribuiscono soldi a piene mani. Di fatto potremo dire, vista la carenza di lavoro, che la Repubblica italiana di fatto è fondata sul gioco. Credo comunque che il principio sia sacro e dinviolabile in quanto ritengo che il lavoro sia l’unica giustificazione della ricchezza.
L’articolo 2 è di un’attualità straordianria, come negare che vi siano ostacoli di ordine economico e socaile che impedisocno l’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica del Paese?
Sono d’accordo nel cambiare, se si vuole, il termine “lavoratore”! con quello di “cittadino”, ma il cooncetto non può cambiare, ed oggi, basta ricordare la legge elettorale, esistono ostacoli che la Repubblica Italiana, attraverso gli orgnaismi di Governo ha creato e non eliminato.
Noi siamo un Paese in cui i figli dei giudici fanno i giudici, i figli dei medici fanno i medici, ed oggi i figli dei politici fanno i politici, riducento il concetto della politica ad una mera ricerca del proprio interesse economico.
E’ evidente che l’artciolo non affida alla repubblica una sorta di ivnestiturtra alla Robin Hood, ma una funzione che e quella di intervenire, nel pricnipio anche di una solidarietà (che non una bestemmia), a consentirte alle persone capaci e meritevoli di potere dare il loro contributo allo sviluppo della Nazione. Si parla tanto di federalismo, ma la Carta Costituzionale, considerata vecchia, all’art.5 riconosce le autonomie locali, il decnetramento e l’impegno ad adeguare i principi a tali esigenze: nel 1948, oggi viene un Bossi qualsiasi a sparare cazzate che solo interessi egoistici di gente cieca che crede che il federalismo e la restrizione in spazi più ristretti, possa costituire una loro dimensione più benestante rispettoa gli altri. Illusioni in un mondo in cui l’econnomia globale avanza inesorabilmente, in un mondo in cui i confini più che terrritoriali diventano di altro genere, in un mondo in cui mase enormi di popolzioni affamate bussano al ricco occidente. Chi li fermerà? L’esercito Padano. Non facciamo ridere i polli.
Oggi si reputa la Costituzione vecchia perchè qualche signorotto, la sente come una gabbia alla sua voglia dittatoriale. La costituzione ha consentito a tutti i Governi di Governare e di portare l’Italia sfasciata del dopoguerra ad essere la quinta nazione più industrailizzata, oggi non va più bene, perchè?
ovvio che queste parole sonno scvritte di impulso, la discussionne merita ben altri approfondimenti, ma con la mente libera da richiamo partitico. La Costituzione Italiana è stata un gradne momento di unione di forze contrapposte, oggi indegnamente le forze politiche si dilaniano di fronte a pseudo-problemi.
madcap scrive:
17 giugno 2010 alle 19:30
Parto subito col mettere le mani avanti. Non sono uno strenuo difensore della Costituzione. O meglio, in linea generale mi considero favorevole ad una certa modifica di alcuni punti – anche non secondari – del suo testo. Tuttavia, nel tuo intervento non hai parlato di una modifica delle istituzioni o dello loro funzioni, ma hai tirato in ballo – forse con un po’ troppa verve polemica – i principi fondamentali della Costituzione.
Innanzitutto, affermare che la Costituzione sia stata un compromesso tra le differenti posizioni in gioco all’epoca – quella della DC e quella delle sinistre – è senz’altro vero (vedi l’esempio classico dell’articolo 7). È vero anche che la Costituzione ha risentito molto del periodo in cui è stata scritta e, in particolare, del retaggio positivo e negativo lasciato in eredità dal fascismo (si vedano ad esempio gli ampi poteri affidati allo Stato in molte materie e la centralità che nel nuovo ordinamento ha assunto l’organo parlamentare a scapito dell’esecutivo).
Tuttavia i principi ispiratori dei due articoli che hai citato mi sembrano alquanto inattaccabili.
Partiamo dall’articolo 2, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…”. Come hai giustamente notato le parole in questo genere di testi hanno un’importanza decisiva che deve essere sviscerata. Tuttavia, dalla lettura dell’articolo 2, ci si trova di fronte ad uno dei principi cardine del giusnaturalismo e della cultura liberale: e non mi riferisco tanto alla dizione “diritti inviolabili” quando al verbo “riconosce”, come a dire che quei diritti sono considerati preesistenti allo Stato, alla stregua di diritti naturali. Qualcosa che va parecchio al di là dello statalismo tipico della mentalità comunista. Quanto a quei “doveri inderogabili di solidarietà” sinceramente, la mente non va alla cultura marxista, ma a quella tradizione risorgimentale italiana, a quei Doveri dell’uomo di cui parlava lo stesso Mazzini, considerati essenziali ai fini del conseguimento di un autentico (consentimi la retorica) spirito nazionale.
Ma passiamo all’articolo 3, mi stupisce l’interpretazione abbastanza superficiale che ne è stata data; dato che l’inserimento del principio di uguaglianza all’interno di una Costituzione è stato un passo compiuto ben prima che lo stesso Marx nascesse. Alla sua diffusione nei testi costituzionali in tempi più recenti ha certo dato un contributo determinate l’opera delle sinistre, ma il difficile bilanciamento del principio di eguaglianza con il principio di libertà è in realtà qualcosa che riguarda TUTTE le Costituzioni contemporanee, non solo quella italiana. È stato un portato dell’entrata delle masse all’interno dell’arena politica, masse che, se non sbaglio, non ne sono ancora uscite.
In realtà, quella che l’articolo 3 tutela non è una mera eguaglianza economica, sul modello degli stati comunisti (del tipo “tutti devono avere lo stesso”) ma è quella che di solito viene definita un’eguaglianza di opportunità, un tipo di eguaglianza che di solito si sostanzia nella formula “a eguali talenti devono corrispondere eguali ricompense” e quindi il premio del merito grazie all’eguaglianza di partenza. È chiaro che un’eguaglianza del genere tira in ballo anche un certo grado di azione dello Stato, dato che senza quest’intervento l’eguaglianza di opportunità rimarrebbe lettera morta (una “libertà formale”, se si vuole citare Marx). Ma questa funzione redistributiva mi pare rientri oggi più che mai nei compiti di qualsiasi Stato. Se si eliminasse questo principio come giustificare, tanto per fare un esempio, le borse di studio per gli studenti capaci e meritevoli che non hanno le possibilità economiche per continuare gli studi? Lo stesso John Rawls, uno dei padri del liberalismo contemporaneo, ha sintetizzato queste osservazioni nella sua “Teoria della giustizia”, un testo che davvero poco ha a che vedere col marxismo.
Un esule scrive:
18 giugno 2010 alle 01:13
Mi sembra, ripeto mi sembra, che ad un testo scritto da insigni giuristi e qualche filosofo, si vogliano vedere e trovare delle virtu’ taumaturgiche proprie di un testo sacro.
Vogliamo magari ammettere che troppo spesso si parla di doveri e poco di liberta’? e troppo spesso si limitano le liberta’ con la dicitura salvo che…?
Ma farei mia una affermazione di Franco.
Iniziamo con lo scrivere cittadino al posto di lavoratore.
madcap scrive:
18 giugno 2010 alle 02:17
Non è certo un testo sacro, ma è un testo complesso, elaborato dopo settimane di dibattiti in Assemblea Costituente in cui ogni singola parola è stata pesata e bilanciata perchè, in effetti, scrivere “lavoratore” al posto di “cittadino” può avere un valore molto differente. E poi: siete i primi a dire che in Italia si dà troppo peso ai doveri piuttosto che alle libertà, di solito sento dire che in Italia il problema è proprio il contrario…
Mario Giardini scrive:
18 giugno 2010 alle 02:37
Sarebbe molto interessante sentire da tutti una proposta per l’art. 1 della nuova Costituzione. Anzi. Per i primi 5, và.
umberto scrive:
18 giugno 2010 alle 09:29
Bravo Rondolino, era ora che qualcuno a sinistra si rendesse conto che è arrivata l’ora di cambiare. Io personalmente da piccolo ex comunista lo dico da oltre ventanni. Tanto che sono uscito sia dal PCI che dalla CGIL rendendomi conto tardivamente che sono loro che non vogliono il cambiamento per paura di perdere il loro potere. Come tanti anni fa fecero fcallire la Finmare.
Grazie Umberto
andrea lucangeli scrive:
18 giugno 2010 alle 10:16
Caro Rondolino, questo Tuo articolo è musica per le mie orecchie liberali, federaliste e leghiste….
Ma, si sa, nel nostro sgangherato paese ci sono tre cose intoccabili: la mamma, il calcio e la Costituzione….
Non si può parlar male della mamma (anche se magari è una gran mignotta..), non si può dire che il calcio è marcio e non si può dire che la Carta Costituzionale è cattocomunista (più comunista che cattolica…)
Giovanni Franco scrive:
18 giugno 2010 alle 10:27
Come giustamente ha scritto MADCAP, il principio dell’eguaglianza è ben antecedente a qualsiasi richiamo a concetti comunisti.
caino mediatico scrive:
18 giugno 2010 alle 11:39
quoto incondizionatamente Rondolino per la sostanza e per la vis eroico utopistica delel proposta , che tale risulta con tutto il suo realistico buonsenso in una Italia ormai vuota come un incubo
Guido Amadini scrive:
18 giugno 2010 alle 12:15
Grazie della risposta, Fabrizio; l’ho trovato seria e priva di reticenze e di distinguo, insomma decisamente onesta.
DestraLab » Cattocomunista scrive:
18 giugno 2010 alle 12:35
[…] { 18 giugno 2010 } Che la Costituzione italiana abbia una netta ispirazione ‘cattocomunista’ non è né un insulto (come usa dire oggi), né un complimento (come usava dire ieri, seppur con altre parole): è una constatazione. Il 2 giugno 1946 gli italiani elessero l’Assemblea costituente: la Dc ebbe il 35,2%, comunisti e socialisti (che si presentavano separati, ma si muovevano uniti) il 39,7%. I liberali dell’Unione democratica ottennero il 6,8%, il Pri il 4,4%, il Partito d’Azione l’1,5%. Il resto, circa l’8%, andò all’Uomo qualunque e ai monarchici. Tralasciando qualunquisti e monarchici, che non ebbero alcun ruolo nella stesura della Carta, la disparità delle forze politico-culturali in campo appare schiacciante: 75% di ‘cattocomunisti’, 12,7% di liberali. Il testo approvato il 22 dicembre 1947 risente profondamente, né potrebbe essere altrimenti, di questo rapporto di forze. A meno di non credere che i principî siano eterni – ma in tal caso bisognerebbe restaurare l’assolutismo – dobbiamo dunque ammettere che l’ispirazione culturale della nostra Costituzione, prima ancora che i meccanismi istitituzionali che definisce, è oggi abbondantemente superata. continua qui […]
jules scrive:
18 giugno 2010 alle 12:35
Gettare il bimbo con l’acqua sporca? I concetti espressi nella Costituzione e presi qui in considerazione possono essere espressione di specifiche culture, nel caso specifico, ma, come hanno detto altri qui, fanno parte anche della cultura liberale. Es se uno dei cardini del liberalismo è il godimento dei frutti del proprio lavoro, perchè la Repubblica non dovrebbe essere ‘fondata sul lavoro’? di questi temi si è occupato il liberalismo, l’acqua in cui nuotiamo volenti o nolenti, dall’inizio. Certo c’è anche l’anarco capitlismo, o il neo liberismo, ma sembrano delle limitazioni del campo liberale piuttosto che capisaldi paradigmatici. Anche se hanno avuto, e continuano, mi sembra, a godere di una certa diffusione…
Guido Amadini scrive:
18 giugno 2010 alle 14:24
Secondo me le osservazioni fatte in opposizione alle critiche formulate da Fabrizio Rondolino, non colgono nel segno e, anche tralasciando quelle grondanti di retorica pseudo partigiana, cercano solo di giocare con le parole per dimostrare che, in fondo,gli articoli citati dicono anche ciò che vorremmo dicessero. Del resto nessuno potrebbe sostenere che si tratti di enunciazioni illibertarie o marxiste, ma indubbiamente non sono libertarie e liberali, proprio per quella scelta pesata di parole che, come FR ha perfettamente illustrato, tendono a porre dei limiti alla libertà, che nascono proprio dalle visioni cattolica e marxista della società.
Per me ci si può continuare a convivere benissimo, come con l’inno di Mameli, nonostante la musica mediocre e le parole di una retorica assolutamente datata, purchè le leggi e l’organizzazione statale riflettano invece una visione più liberale e lebertaria della società e dei rapporti tra cittadini e stato. La modifica totale o parziale di alcuni degli enunciati dei principi fonadmentali sarebbe però filosoficamente auspicabile. Per esempio sottoscrivo immediatamente per cittadini al posto di lavoratori o persone. Quanto al famoso art. 1, di cui è nota ai più l’origine molto conflittuale circa il desiderato riferimento alle “repubbliche democratiche di lavoratori”, così, senza rifletterci molto, trovo che già fermarsi a: “L’Italia è una Rebubblica Democratica” sarebbe stato sufficiente, ma se vogliamo proprio specificare su quali valori debba essere basata (magari per chiarire il concetto di democrazia, c’è ampia scelta a partire da Libertà.
madcap scrive:
18 giugno 2010 alle 16:04
In realtà il tema dei doveri risulta quanto mai di moda – forse per la maggior attenzione prestata fino a qualche anno fa al tema dei “diritti” – soprattutto nei testi costituzionali di più recente formazione. Tanto per fare due esempi tra i tanti: si pensi all’importanza esplicitamente riconosciuta ai “doveri” in un testo, per la verità, votato al riconoscimento di diritti, come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Onu (Art 29 – “ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità”). Mentre pochi mesi prima l’Organizzazione degli Stati Americani aveva redatto e firmato a Bogotà la sua Dichiarazione dei diritti e doveri dell’uomo nella quale si può leggere che “Diritti e doveri sono interrelati in ogni attività umana sociale e politica. Mentre i diritti esaltano la libertà individuale, i doveri esprimono la dignità di quella libertà”. Volete davvero credere che pure questi due documenti sono stati ispirati da matrici cattoliche e marxiste?
In realtà checché ne pensiate, l’attenzione al tema dei “doveri” e al suo bilanciamento con quello dei “diritti”, è un tema abbastanza recente, a causa dell’emergere di tematiche nuove come le esigenze di sviluppo sostenibile nei confronti delle future generazioni (pensate alla sequela di doveri nei confronti dei privati cittadini che sono stati introdotti nel 2005 nella Costituzione francese con l’annessione della Carta costituzionale dell’ambiente); o il venire meno dello Stato sociale che ha imposto un rinnovato impulso ai doveri dei singoli e dei gruppi all’interno della comunità: proprio nel momento in cui lo Stato si indebolisce divengono indispensabili – che vi piaccia o no – quei doveri di solidarietà di cui parla la nostra Carta.
maurizio giorgio scrive:
19 giugno 2010 alle 17:47
d’accordo con fr sulla costituzione.
(e la difesa che se ne fa oggi, per i modi strumentali e i personaggi ipocriti, contribuisce ancora di piu’ a renderla ammuffita.)
per quanto riguarda la sua resipiscenza su noemi & co e la campagna che non ha funzionato etc etc: tutto ok.
ma lo sa, caro fr, perche’ non ha funzionato?
perche’ la strumentalita’, l’ipocrisia c’hanno la puzza.
e la maggioranza degli italiani ha ancora un decente olfatto.
e purtroppo la sinistra fa campagne strumentali, e quindi puzzolenti: per la costituzione (ma in funzione anti-b), per l’autonomia dei magistrati (ma in funzione anti-b), contro la mafia (ma in funzione anti-b) etc etc.
e’ quella, continua, martellante, funzione anti-b che ne tradisce la finzione, e il cattivo odore.
basta pensare al povero bersani
(che stimavo): da quando, per il ruolo che ricopre (male) e’ in preda alla funzione anti-b appena lo vedo mi tappo il naso.
e non e’ un caso che anche nei sondaggi di repubblica il calo del pd sia una costante: non e’ un caso, e’ la puzza.
Giovanni Franco scrive:
19 giugno 2010 alle 19:11
che strano ..
avevo scritto un commento, lo avevo visto pubblicato,
ora non c’è più.
possibile?
spero di essermi sbagliato, detesto i censori, sottto qualsiasi veste si presentano.
Bulfarini Graziella scrive:
20 giugno 2010 alle 00:37
Potrei forse concordare sul fatto che la nostra Carta Costituzionale avrebbe necessita’ di un “tagliando”, di una revisione per adeguarla ai tempi.
Sono pero’ terrorizzata dal fatto che oggi gli ammodernamenti sarebbero apportati da:
dei parlamentari nominati e non eletti, quindi non rappresentativi diretti del popolo ma da quattro/cinque persone a cui ovviamente DEBBONO riconoscenza e quindi obbedienza. Voterebbero modifiche non perche’ giuste secondo convinzione propria ma perche’ “imposte” dai loro protettori, pena la non ricandidatura.
una parlamento con la piu alta percentuale di inquisiti, di condannati, di persone con passati sporchi, ultimissimo esempio ne e’ il nuovo ministro del federalismo brancher.
un paralamento composto da nominati che hanno votato leggi solo per soddisfare le “necessita’ impellenti” del loro leader e protettore e, secondo il mio parere, con degli evidenti problemi di equilibrio mentale che lo portano comportarsi in modo maniacale, da animale in gabbia ( o da bambino viziato, fate voi).
Per questi motivi e per alcuni altri di minore importanza sostengo che le modifiche Costituzionali andranno fatte ma solo nel momento in cui sara ripristinata una legge elettorale degna di un paese civile e saranno messe in atto dai partiti politiche e autoregolamentazioni con lo scopo di rendere presentabili e rappresentativi i nostri parlamentari.
Bulfarini Graziella
Ludovico Basili scrive:
20 giugno 2010 alle 02:02
Seguo, come posso e appena posso [raramente] quanto viene scritto qui e di Fabrizio Rondolino mi piacciono le analisi anche quando non le condivido perché argomentate. Il punto è la cultura liberale che esige un cambiamento dell’art.3 della Costituzione. Ogni “Carta” è figlia del momento storico, della cultura, dei soggetti protagonisti. Vero. Lavoratore, persona, cittadino, individuo. Se le condizioni materiali non consentono a tutti di poter concorrere, di poter essere [o divenire] cittadini come si può parlare di cultura liberale? Se mancano le condizioni perché ciascuno possa vivere decentemente la propria vita al punto di esercitare i suoi diritti, al punto di poter accedere e divenire cittadino come si può dire: è ora di cambiare? Basta forse cambiare un articolo perché avvenga? Tu stesso dici: la Costituzione è figlia del suo tempo del momento storico in cui fu scritta: secondo te oggi esistono le condizioni storiche, la cultura politica, le personalità perché si possa modificare quell’articolo come espressione dei tempi attuali? Ho visto che rispondi, e apprezzo, mi rispondi per favore. Grazie. Ludovico Basili
Come e perché la nostra Costituzione è poco liberale | The Frontpage scrive:
21 giugno 2010 alle 16:18
[…] farraginosità di leggi e regolamenti allo strapotere di sindacati e corporazioni – nascano dai principi scritti nella nostra Costituzione. Per questo, modificarne l’impianto con robuste iniezioni di pensiero liberale, ammesso che […]