Non vi è nulla che sia più fastidioso e repellente di una bagascia che, dopo annosi trascorsi nella deboscia, rifattasi l’imene, rompa i santissimi altrui con le prediche morali nell’attesa della prima favorevole occasione per rivendersi a caro prezzo la riconquistata verginità.
Tali le sinistre. La sconfitta elettorale è, per loro, il bagno lustrale che purifica e ridona loro la verginità dopo anni passati a prostituirsi nei bassifondi della speculazione edilizia più rapace. Ci riferiamo ai commenti sulla revisione del piano-casa del Lazio che la giunta Polverini ha approvato il primo giorno di ottobre.
Piano-casa, assalto all’Agro romano titola La Repubblica del 25 settembre mentre Peduzzi e Nobile, la coppia comica della Federazione della Sinistra, battezza l’assessore all’urbanistica Ciocchetti l’Antisismico. L’ex assessore Di Carlo spara a zero: Così si distrugge l’urbanistica della città e aggiunge è come se ci fossero le impronte digitali del partito del cemento che ha scritto gli articoli.
Ecco il lamento delle vergini rifatte. Dimentiche dello scempio urbanistico ed edilizio che ha sfigurato l’ambiente urbano e rurale nei tanti anni della loro gestione della regione Lazio e del comune di Roma in particolare; dimentiche della disubbidienza civile rappresentata dall’abusivismo che ha generato informi agglomerati urbani in reazione ad una visione urbanistica astratta dalla realtà da loro propugnata; costoro vanno accusando gli avversari di peccati che hanno connotato le loro amministrazioni per decenni. Dal 9 agosto 1976 per 32 anni, con l’unica parentesi di quattro anni (1985-1989) di governo DC, hanno gestito la crescita di Roma che dagli iniziali 1.845.300 abitanti passò, in nove anni, a 2.806.466 anime.
C’è qualcuno tanto ingenuo da pensare che ospitare 961.166 abitanti in più non abbia portato ad un enorme incremento edilizio? Secondo gli standard ministeriali dare un’abitazione ad un simile numero di abitanti comporta l’edificazione di 76.893.280 metri cubi di edilizia. L’ingenuo di cui sopra pensa che, disponendo del potere di determinare dove si sarebbero potuti costruire e dove no tanti metri cubi, la “casta” al potere e la tecnoburocrazia – adusa a redigere abusivamente i progetti ed ad approvarli – abbiano lasciato scorrere l’enorme flusso di denaro creato da ex pecorai transumanti ed ex capimastri pizzolani ( provincia dell’Aquila) e del nord-est laziale – i costruttori della Roma 1976-1985 – senza attingere a quelle chiare fresche e dolci acque benfattrici?
Ma va !
Lasciamo alla fantasia del lettore immaginare cosa accadde, dopo una tale spinta iniziale, nei ventitré anni successivi al boom.
Nel Lazio, dove governò per 25anni dal 1975 al 2000, con l’unica parentesi di due anni democristiani, la sinistra aveva addirittura fissato, su tutto il territorio laziale, un “pizzo” su ogni metro quadro di terreno reso edificabile dai piani regolatori. Va da sé che la redazione degli stessi piani era generalmente affidata a professionisti di fiducia dell’assessore regionale di turno.
Son cose note nell’ambiente, ma non si dicono.
Ma ora, dopo anni passati a “battere” il territorio per governarlo, queste vergini farlocche attaccano le modifiche al piano-casa che loro stesse avevano elaborato perché, a loro dire, distrugge l’urbanistica della città. Se quella della riscossione dei balzelli sui metri cubi e i metri quadri è urbanistica, allora merita di essere distrutta. In realtà il lamento delle vergini farlocche ha altre motivazioni. Provate a ricercarle con questa chiave di lettura: il piano-casa della giunta trans gender fu elaborato, neanche tanto male, seguendo quello governativo. Era pieno di ombre, come Il Borghese aveva rilevato nel novembre 2009, e tali da renderlo pressocchè inapplicabile. La revisione dello stesso da parte della giunta Polverini mira a sbloccarlo senza mutarne la struttura e perseguendo gli stessi obiettivi: i famosi quattro punti formulati, vedi caso, da Di Carlo.
Perché, allora, il lamento verginale?
Perché l’enorme numero di metri cubi potenziali realizzabili in barba alla inapplicabilità – voluta o meno – del piano Marrazzo senza nuovi terreni da rendere edificabili, riduce fortemente per la “casta” le occasioni di imporre balzelli. Si riduce altresì il taglieggiamento tecnoburocratico per effetto dello snellimento delle procedure.
A pensar male si fa peccato … con quel che segue.
Viva il piano-casa Polverini, allora? ‘Mbeh non proprio, ma andiamo con ordine riprendendo quanto Il Borghese ebbe a rilevare prima nel piano governativo e in seguito nella L.R. n.21/2009 del Lazio. Questa prevedeva :
1) Incremento della volumetria fino al 20% con un tetto massimo di 200 metri cubi; di fatto ristretta ad edifici isolati al disotto di 1000 mc;
2) Sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione con possibilità di incrementare del 35% la volumetria esistente, elevabile al 40% in caso di procedura concorsuale assistita dagli ordini … come freno al consumo del territorio ed alla continua estensione della città e recupero delle aree dismesse e degli edifici come strumento per il risanamento di zone pregiate.
Il Borghese rilevò l’incongruenza di consentire l’incremento della volumetria di cui al punto 1), soltanto a delle generiche case isolate. Ciò in contrasto con il principio di applicazione dell’incremento all’unità immobiliare che il piano governativo aveva formulato in maniera – a dire il vero – poco chiara. Secondo logica e secondo giustizia il principio dell’ampliamento del 20%, sostenne Il Borghese, avrebbe dovuto essere esteso alla unità immobiliare e quindi anche agli edifici in linea, a schiera ed alle palazzine che costituiscono la maggior parte dell’insediamento urbano. Ebbene il nuovo piano-casa all’art. 3 comma 1 lettera c) dispone: Per gli edifici costituiti da più unità immobiliari la percentuale di ampliamento, di cui al presente comma 1, è proporzionalmente applicabile alle singole unità immobiliari e dovrà essere effettuato sulla base di un progetto unitario riguardante l’intero edificio.
Che significa? Che un condominio composto, ad esempio, di 40 appartamenti (unità immobiliari) da mq 103 lordi, può ampliarsi fino a 824 mq; ovvero ogni appartamento potrebbe – se ci fossero le condizioni – ampliarsi di 20,6 metri quadri. Come già affermammo nel maggio 2009 “ … se c’è una possibilità di ottenere una riqualificazione dell’edificato ridisegnando tante turpi architetture, la stessa risiede proprio … nel parametro dell’unità immobiliare…”.
L’altro punto su cui Il Borghese aveva mosso critica di inapplicabilità del piano, era sul divieto di sopraelevazione in caso di ampliamento del 20%. Anche questo ostacolo viene, oggi, superato nella nuova formulazione del piano.
Tutto bene, almeno per questo punto? Dipende. La formulazione dell’articolo riportata è chiara, ma deve fare i conti con “ l’interpretazione” che la tecno burocrazia ne darà a suo maggior vantaggio. E’ , comunque, un grande passo avanti. Ma c’è un primo neo: l’abrogazione della lettera a) comma 2 nell’art. 2 della L.R. n.21/2009 che escludeva le zone territoriali omogenee A – ovvero i centri storici – dal beneficio dell’ampliamento del 20%. Se un intervento del genere, applicato alla turpe edilizia realizzata nel dopoguerra apre le porte alla possibilità di qualificarla, lo stesso applicato ai centri storici, dato il basso livello di cultura architettonica imperante, di sicuro li condanna allo snaturamento. Un edificio all’interno di un centro storico “ fa sistema “ con gli edifici contermini determinando, insieme ad altri sistemi simili, la formazione di un organismo urbano. Senza la elaborazione di un piano particolareggiato che disponga il modo di inserimento di un nuovo intervento in un organismo preesistente, un improvvido e non pianificato accrescimento romperebbe l’unità del sistema provocando, al tempo stesso, uno squilibrio nell’organismo. E’ vero che fra le zone escluse dall’ampliamento ricadono quelle individuate come insediamenti urbani storici dal piano territoriale paesaggistico regionale ( PTPR ) e quindi – secondo logica – anche le zone A. Tuttavia è meglio specificare la esclusione delle zone territoriali omogenee A di cui al D. M. LL.PP. n.1444/1968.
Per ragioni di semplice natura economica, in una prima versione della nuova stesura del piano era previsto, nel caso di demolizione e ricostruzione di edifici superiori a 1000 mq (3000 mc c.ca) un incremento del 50% della volumetria e della superficie. E’ stato portato all’attuale 60%, nel caso di edifici superiori a 500 metri quadri, in sede di deliberazione della giunta regionale, “ a condizione che venga mantenuto almeno il precedente numero di unità immobiliari in capo ai proprietari”. Tradotto in volgare significa che se devono essere ricostruite in loco le case per i proprietari che avranno subito la demolizione della loro abitazione, con tutti gli oneri che questo comporta, l’incremento del 35% previsto nel piano Marrazzo non si rivelerebbe più economicamente conveniente. Per questo la nuova formulazione della L.R. n. 21/2009 prevede un incremento del 60%. Fin qui tutto bene. Però, se è valido – come è valido – l’incentivo del 5% in più in caso di progettazione mediante concorso assistito dagli ordini professionali, andrebbe applicato, a maggior ragione, nel caso condizionato di demolizione e ricostruzione di edifici plurifamiliari superiori a 500 mq. Ed in questo caso, in particolare, il concorso dovrebbe essere sottoposto almeno al giudizio dei proprietari che rimarrebbero in loco dopo la demolizione della loro casa. Sono loro che dovranno vivere nella nuova sistemazione che, sempre loro, finanziano con il sacrificio della casa da demolire.
C’è ancora un altro neo in questo nuova versione del piano casa: non vi sono disposizioni per l’autocostruzione associata che dovrebbe superare, elevandone gli aspetti positivi, il fenomeno che sta alla base dell’abusivismo di necessità; non vi sono disposizioni per la realizzazione in sicurezza delle case per anziani ed, in generale, per le emergenze abitative.
Lo spazio a disposizione è poco , gli aspetti da esaminare sarebbero molti. Soprattutto quelli relativi alla progettazione delle periferie da riqualificare. La pazienza di chi ci ha letto sin qui, però, è stata, ancora una volta, messa a dura prova e quindi è opportuno chiudere. In chiusura,però, almeno l’urlo delle vergini farlocche che temono lo stupro della “cementificazione” merita una considerazione: quello che la giunta Polverini ha sottoposto alla approvazione del consiglio regionale, non è un altro piano, come si ostinano a dire gli incompetenti che ragionano con la stessa mentalità degli speculatori in termini di metri cubi in più o in meno. E’, in realtà, un adeguamento del piano-casa della precedente giunta Marrazzo che perseguiva l’obiettivo, più sopra ricordato, di porre “… un freno al consumo del territorio e alla continua estensione della città …”. L’adeguamento in aumento delle quote percentuali di incremento nei diversi casi di intervento, va proprio nel senso di porre “ un freno al consumo del territorio…” densificando la città esistente e promuovendone la qualificazione. L’urlo delle vergini, quindi, è fuori luogo. Nessuno stupro. L’imene rifatto non è in pericolo.