Nel cuore del Gran Sasso, a 1400 metri sotto la montagna, si cercherà di misurare la massa di un neutrino, creando le condizioni per un rarissimo decadimento della materia che i fisici chiamano “doppio decadimento beta senza emissione di neutrini”. E’ questo l’obiettivo di GERDA (Germanium Detector Array), l’esperimento inaugurato oggi dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), in collaborazione con 14 istituti di ricerca di Italia, Germania, Russia, Svizzera, Polonia e Belgio. Si tratta di osservare un neutrino nel momento in cui coincide con la sua particella di antimateria: un’impresa che, se realizzata, proverebbe alcuni importanti modelli sull’evoluzione del nostro Universo, in particolare sulla formazione degli ammassi di galassie.
Insieme ai fotoni, i neutrini sono le particelle più diffuse dell’Universo. Agli occhi dei fisici, la loro caratteristica principale è quella di essere elusivi, poiché interagiscono in maniera estremamente debole con la materia. Secondo alcuni modelli, i neutrini potrebbero coincidere con la loro particella, come ha sostenuto per primo Ettore Majorana (di qui la denominazione “neutrino di Majorana”). Un modo per dimostrarlo è appunto assistere a un doppio decadimento beta senza emissione di neutrini, un evento che i ricercatori collocano su una scala temporale di 1025 anni e che definiscono più difficile di trovare un ago in un pagliaio. Se dimostrata, tuttavia, questa proprietà porterebbe le nostre conoscenze sulla struttura della materia a un livello impensabile fino a qualche anno fa.
E’ qui che entra in gioco GERDA. L’esperimento, infatti, prova a ricreare un particolare decadimento della materia, in cui due neutroni del nucleo sono convertiti (ossia decadono) in due protoni, due elettroni e due neutrini. I due neutrini emessi, però, si annullano a vicenda e quindi non emergono dal nucleo: per questo si dice “senza emissione di neutrini”. L’osservazione del fenomeno fornirebbe una misura diretta della massa del neutrino elettronico, il cui valore ha un grande impatto sui modelli di evoluzione dell’Universo, soprattutto per quanto riguarda le concentrazioni di galassie.
Inizialmente l’esperimento prevede 8 rivelatori della dimensione di una lattina e del peso di due chilogrammi ciascuno. Solo in un secondo momento ne saranno attivati degli altri. Questi strumenti (al tempo stesso generatori e rivelatori delle particelle emesse nel decadimento doppio beta) sono fatti di monocristalli di germanio iperpuro, un semiconduttore, arricchito dell’isotopo germanio-76. Quando i nuclei del cristallo decadono, le particelle emesse (elettroni) rilasciano la loro energia sotto forma di “traccia” nel rivelatore.
Per carpire i segreti del decadimento, è necessario un lungo periodo di osservazione attenta e delicata: un po’ come per cogliere una singola nota in una stagione di concerti. Il compito di rendere perfetta l’acustica spetta ai volumi di Argon liquido, acqua e roccia che caratterizzano il laboratorio. I cristalli, infatti, sono sospesi in un serbatoio alto sei metri e largo quattro, contenente appunto Argon liquido. Questo serbatoio, a sua volta, è posto al centro di una cisterna d’acqua di dieci metri di diametro e dieci di altezza, che funge da ulteriore schermo. La roccia del Gran Sasso, infine, completa l’operazione isolante.
“Il doppio decadimento beta senza emissione di neutrini è una piccola rarissima nota proveniente dalla materia”, hanno spiegato i ricercatori dell’INFN presentanto l’esperimento. “Per questo è estremamente importante per la scienza: se osservato, confermerebbe che i neutrini sono così strani da coincidere con la loro particella di antimateria. Si tratterebbe di un’informazione fondamentale per la fisica subnucleare, per l’astrofisica e per la cosmologia”.
Per quanto riguarda i finanziamenti, l’esperimento è costato 14 milioni di euro; di questi, 5 milioni provengono dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Per l’Italia, oltre all’Infn, partecipano l’Università Bicocca di Milano e l’Università di Padova. Durante la conferenza stampa si è affrontata anche la questione della moria di fondi per la ricerca. “Nell’ultimo decennio c’è stata una diminuzione costante degli investimenti reali”, ha detto Lucia Votano, direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. “Il problema è sempre lo stesso: formiamo persone giovani e preparate per poi vederle – giustamente – partire. Il danno, dal punto di vista della ricerca e dell’economia, è enorme: riguarda la più grande comunità scientifica italiana, ma si estende a tutti i campi della ricerca”.