17 Novembre 2010
Fonte: The Front Page
Portoreale
L’innovazione nell’economia globale
Gli Stati Uniti hanno il 6% della popolazione mondiale, ma producono il 20% dei dottorati in scienza e tecnologia. Fra le 50 prime università del mondo in R&D, 38 sono americane, secondo uno studio della Shanghai’s Jiao Tong University Institute of Higher Education (2004). Nel 2001, un terzo di tutti gli articoli scientifici pubblicati nel mondo erano americani (NSB, 2004). Inoltre, secondo il World Competitiveness Yearbook del 2005, gli USA sono al primo posto, seguiti da Hong Kong e Singapore, in uno studio che mette a confronto i sistemi economici, l’efficienza governativa, quella del business e le infrastrutture. Il Giappone, in questo studio, viene al 20mo posto. UK e Germania pari merito, al 23mo. Uno studio OCSE afferma che, a partire dalla seconda guerra mondiale, gli USA hanno incontestabilmente avuto la leadership in “science and engineering (that) has driven its dominant strategic position, economic advantages and quality of life”. Sembrava, nel 2005, una posizione inespugnabile, di leadership incontrastata e incontrastabile nella innovazione.
Eppure, le cose stavano cambiando, e The Gathering Storm faceva previsioni fosche sul futuro degli Stati Uniti, a meno di mutare, decisamente, la rotta. Perché? Prima di tentare di rispondere a questa domanda, proviamo a vedere che cosa significa, in questo contesto, la parola “innovazione”.
L’innovazione è globale: oggi proviene da tutti i centri di eccellenza distribuiti sul pianeta. E’ creativa, perchè richiede “nuove idee, tecnologie e contenuti”. E’ collaborativa, direi interattiva, perché, a differenza del passato, nasce dall’incontro fra le necessità espresse degli utilizzatori e le capacità dei “creativi”. E’ multidisciplinare, e tecnologicamente complessa; e multidisciplinarità e complessità sono crescenti. Infine, ed è la caratteristica principale, la velocità della sua diffusione aumenta costantemente. Per convincersene, battano alcuni numeri. Ci sono voluti 55 anni affinche l’automobile fosse posseduta dal 25% delle famiglie americane. Trentacinque sono stati necessari per il telefono. Ventidue per la radio. Tredici per il cellulare. E solo 7 per internet.
Che significa? Che un vantaggio scientifico / tecnologico dura sempre meno nel tempo. Significa anche che lo Human Capital è diventato l’elemento fondamentale della triade menzionata nell’articolo precedente.
Key factor dell’innovazione, negli USA, sono sempre stati i fondi pubblici dedicati alla ricerca nelle scienze e nelle tecnologie. Nel 2000, in termini di percentuale rispetto al PIL, gli USA investivano il 2,72%, contro il 2,98 del Giappone, il 2,49 della Germania e l’1,85% dell’UK. I paesi del terzo mondo, comunque, non stavano a guardare: e quello che preoccupa è la velocità con cui aumentano le risorse dedicate alla ricerca e allo sviluppo. La Cina ha aumentato il budget del 500% in poco più di dieci anni, e continua ad aumentarlo. Nello stesso periodo, l’aumento americano è stato solo del 140%. Allo stesso modo, le pubblicazioni scientifiche, nel periodo 1988-2001, sono aumentate del 40%. Gli USA sono ancora leaders, ma la maggior parte dell’aumento viene da Corea del Sud, Cina, Singapore e Taiwan.
Dunque, quello che preoccupava (e preoccupa ancora) gli americani è il differenziale di velocità. Che si manifesta, anche più evidentemente, in altri campi. Fino al 1985, la Cina praticamente non produceva dottorati in R&D. Nel 2000 furono 7.304. Gli USA avevano il 59% dei dottorati a livello mondiale nel 1975, nel 2001 erano scesi al 41%. La Cina, nel frattempo, era arrivata al 12%. La Cina ha aperto le frontiere per quegli studenti che vogliono andare all’estero a studiare. Lo stesso ha fatto l’India, che, nel 2005, ha messo a disposizione 5 miliardi di dollari in “soft loans”, cioè in prestiti senza garanzia reale, per i suoi studenti.
Ritorniamo alla domanda: perché gli USA erano, e sono, preoccupati di non poter conservare la tradizionale leadership nell’innovazione? Ecco alcuni fatti. Due terzi degli ingegneri che coseguono una PhD (cioè l’equivalente del Dottorato) in una università americana…non sono cittadini americani. In pratica, gli USA addestrano la concorrenza. Nel 2009, il 51% dei brevetti concessi dal US Patent Office sono stati concessi ad aziende non americane. Il World Economic Forum piazza gli Stati Uniti al 48mo posto per la qualità dell’insegnamento nella matematica e nelle scienze. La Cina ha sostituito l’America al primo posto degli esportatori di high tech.
Un’analisi più approfondita ha mostrato le crepe nel sistema di insegnamento della matematica e delle scienze nel K-12, cioè nel ciclo elementari-medie-scuola secondaria. Per esempio, il PISA 2003 ha mostrato che gli USA venivano al 28mo posto fra 39 nazioni per le conoscenze matematiche dei suoi quindicenni. Al 18mo in lettura, e al 22mo in scienze. L’Italia era al 31mo, 29mo e 27mo posto, rispettivamente. Un risultato che definire sconfortante è eufemistico, e che ha, giustamente, allarmato politici e società tutta. Andando più a fondo nell’indagine, si scopre che il 93% degli studenti nelle medie ricevevano insegnamenti nelle scienze da professori che non avevano titolo, cioè conoscenze adeguate, per farlo. La percentuale per la matematica era del 69%.
Dunque i timori non erano un inutile allarmismo, ma cagionati dai seguenti fatti. Primo: lo scadimento ed l’indebolimento nell’insegnamento scientifico, a tutti i livelli. Le classifiche del PISA sono lì a dimostrarlo, per il ciclo primario. Per il secondario, il rarefarsi delle lauree scientifiche. Secondo: i fondi dedicati alla ricerca di base diminuivano, o comunque non tenevano il passo, rispetto alla concorrenza. E, terzo, i concorrenti mondiali nel campo dell’innovazione divenivano ogni giorno più agguerriti, e capaci.
A questo punto, The Gathering Storm propone le soluzioni in risposta alla richiesta del Congresso Americano. Quattro sono le aree dove è urgente ed indifferibile intervenire, e due, guarda caso, sono nel sistema educativo: Educazione primaria ed Educazione Universitaria. Gli altri due, ovviamente, sono la Ricerca di Base e l’Innovazione. Sono suggerite in totale 20 azioni, che trovo interessanti e concrete anche per la realtà italiana dell’inizio XXI secolo.
(5 – continua)