Pubblichiamo l’articolo di Giannini in cui l’autore traccia velocemente alcuni punti. Desideriamo puntualizzare, dal nostro punto di vista, alcune cose. Il prurito coloniale di fine ‘800 inizio ‘900 fu presso che generale tanto che un poeta anarchico ebbe a scrivere “la grande proletaria” si è mossa. Mazziniani più accesi e socialisti estremisti si trovarono isolati. Queste operazioni coloniali – compresa l’ultima, quella della presa d’Etiopia negli anni ’30, durante il regime fascista – testimoniano una continuità ininterrotta di vedute e di azioni nella nostra politica estera. Gli antifascisti d’accatto e i tanti fascisti del 25 luglio diventati antifascisti e la reboante e ancora imperante bestialità della cultura pseudo-storica di questo inesistente resistenzialismo antifascista hanno da sempre inzuppato la più vieta e falsa demagogia aggredendo e distruggendo la storia della nostra politica estera, economica e coloniale. Sin dall’inizio, per quanto i primi circoli nazionalistici, di industriali non solo della metallurgia e degli apparati di corte ben spronassero verso le avventure coloniali per una “grande Italia”, il contesto geopolitico ci portava e ci obbligava ad attuare simili scelte, continuate con estremo realismo – in un quadro ancora più caratterizzato da aperte minacce commerciali e militari – da Mussolini. Se così non avessimo fatto, saremmo rimasti soltanto un emporio dei prodotti inglesi, francesi e tedeschi. E’ bene ricordare che agli albori della nostra unità rifiutammo la profferta inglese di partecipare al controllo dell’Egitto, cosa che ci ha preservato sino ad oggi un ruolo assolutamente esclusivo nel rapporto di affetto e di amicizia di questo grande popolo, che non abbiamo saputo sfruttare a dovere in questi ultimi decenni. A chi fra i lettori dovesse chiedere perché mai l’Egitto no e la Libia e l’Africa orientale si, non possiamo rispondere che qui non ci possiamo mettere a fare lezioni di storia. Diciamo soltanto che la Libia è un immenso territorio quasi spopolato, l’Egitto è un Paese densamente popolato lungo il corso del Nilo e da sempre dotato di una forte identità storica e civile. E che ancora in pieno ‘900 il regno etiope praticava ampiamente la schiavitù e la castrazione. Se a ciò aggiungiamo le considerazioni, sicuramente prioritarie, di ordine geopolitico, la risposta è data. L’accesso agli oceani e ai mari aperti era finalmente raggiunto. Ma gli antifascisti d’accatto che hanno divorato per decenni la nuova Italia repubblicana continuano a seppellire la storia. Peggio ancora per chi scimmiotta la superiorità del modello del liberalismo inglese e di quello “democratico” francese. I modelli politici quali reggimenti istituzionali interni per le classi dominanti di queste due Nazioni valevano solo per i loro popoli o, al massimo, entro un contesto strettamente striminzito di popoli euro-occindetali. Ma esso non valeva affatto nell’ambito degli interessi economici e delle egemonie di mercato. L’imperialismo da un lato il colonialismo dall’altro nulla avevano a che vedere con la politica della homeland.
Non condividiamo affatto le opinioni espresse dall’autore circa gli attuali avvenimenti relativi alla Libia, men che mai come li inquadra, entro un’ottica esclusivamente neocolonialista messa in atto dal Regno Unito (che aveva avuto contratti esclusivi del tutto sbalorditivi da Gheddafi per bucherellare il Mediterraneo libico con una quantità enorme di piatteforme petrolifere …), dalla Francia e dagli USA. Il quadro è molto più complesso e le colpe italiane sono tante. Colpe di Berlusconi? Di Prodi? Certamente. Ma essi in fin dei conti non sono in tutto e per tutto diretti corresponsabili in quanto sono i figli e l’espressione più estrema dell’Italia delle grandi colpe, dell’Italia partitocratica antifascista completamente bacata, corrotta e divoratrice di ricchezze vissuta all’ombra di “grandi” ideali partitici utilizzati solo come escamotage, bluff e instrumentum regni di classi politiche becere. E’ l’Italia del 25 luglio, dell’otto settembre, del 25 aprile. L’Italia del marchio e dell’infamia che ha inserito nel dna degli italiani queste terribili caratteristiche. E di tutto questo gli antifascisti seri ne hanno sofferto non meno di chi – fascista a-fascista antifascista – andò a combattere a Salò comprendendo quale ignominia il re aveva commesso. Ignominia che aveva un solo nome ed ancora lo ha in tutto il mondo anche per chi ci accolse – da sconfitti con resa senza condizioni – : tradimento. Cosa ci possiamo aspettare di più dai nostri governanti, anche dai migliori, se essi non hanno avuto e non avranno il coraggio di farci riscattare da questo terribile marchio? Di far si che venga recuperata integralmente la storia nazionale, che venga recuperata integralmente la storia del ventennio fascista, storia italiana in tutto e per tutto e storia con la s maiuscola nonostante ombre e colpe? Aspettiamo tempi migliori, visto che i traditori del 25 luglio arrivano sino ai Finpinocchio Finfiniti di oggi. Accontentiamoci dunque di quello che riescono a fare, dimostrando, grazie all’apporto dei nostri migliori diplomatici ed esponenti degli Stati Maggiori, una nuova continuità nella politica estera. Continuità che, oltre ai pilastri dell’Unione Europea e della Nato e dei canali privilegiati con gli USA, ha avviato e realizzato delicatissimi e importantissimi rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, con il Brasile e con la Turchia – nostro partner commerciale fondamentale con cui speriamo che si possa arrivare ad un partenariato strategico. E, non di meno, con l’Egitto, l’India, il Giappone e l’Argentina in un futuro quanto mai prossimo. E con la Russia, con cui sono in atto forti intensificazioni di alleanze commerciali che forse preoccupano più del dovuto Parigi, Londra e Washington. E, ultima ma prima, con la Germania. Senza mai smettere di guardare all’Iran, Paese che ci è stato di prezioso aiuto e di sicura amicizia per tanti lunghi anni. Sulla Libia, ci sarà da ricostruire con fatica, ma ci vorranno coraggio determinazione e capacità di saper fare valere un alto là agli altri ai tavoli internazionali. Ma come fare, se l’Italia di Silvio è contenta di non “bombardare” i siti radar e della contraerea e i mezzi terrestri all’attacco dei rivoltosi? Se, addirittura, si illude ancora di poter fare da paciere tra le parti e ricicciare così familiari famigli e tribù gheddafiane che sino ad oggi hanno spolpato il popolo libico delle sue ricchezze e delle sue volontà di innovazione segregandolo esclusivamente nell’esercizio di impieghi pubblici obbligatori per “star bene” con un o stipendio senza far niente? Domenico Cambareri
CAPRA… CAPRISSIMA… SGARBI… SGARBISSIMO
La Libia tra la storia e la fine di Gheddafi
Alcuni giorni fa Vittorio Sgarbi in una delle infinite trasmissioni televisive (e noi paghiamo), in merito alla crisi libica, affermò che quanto stava accadendo in Libia era dovuto all’occupazione fascista della nostra ex colonia. Ė superfluo ricordare come andò a finire quel programma: con la solita isterica esternazione di Vittorio Sgarbi. Questi passa per essere uno dei più accreditati intellettuali contemporanei. Qualche lettore esclamerà: <Immagino gli altri>.
Gli appetiti coloniali dei Governi pre-fascisti si verificarono molto prima dell’avvento del male asoluto; ma iniziamo con l’estensione del protettorato sulla costa dei Somali. 1890, i possedimenti italiani sulla costa africana del mar Rosso vengono raggruppati in un’unica colonia che prende il nome di Eritrea. 1895, guerra all’Etiopia. 1896. Il Governo Crispi fu il responsabi¬le, per beghe di partito fra liberali e l’opposizione socialista, del mancato invio dei rinforzi alla spedizione italiana comandata dal generale Baratieri che, proprio per le inadeguate forze a sua di¬sposizione, subì una disastrosa sconfitta ad opera del Negus Me¬nelik ad Adua. Erano eventi che avevano marcato in profondità la coscienza di almeno un paio di generazioni di italiani. L’umilia¬zione di quella sconfitta era sentita, come sostengono alcuni com¬mentatori: <<al di là di quanto imposto dalla sua entità sia sul pia¬no militare che politico>>. Gli appetiti coloniali dei Governi pre-fascisti si svilupparono anche verso il Nord Africa. Fu infatti il Governo Giolitti a volere l’impresa di Libia che persino Bene¬detto Croce, nella sua Storia d’Italia, scritta polemicamente du¬rante il fascismo, la esaltò come iniziativa di sensibilità politica. E ancora: 1908, tutti i possedimenti italiani sull’Oceano Indiano vennero conglomerati sotto l’unico nome di Colonia della Somalia Italiana. 1911, ultimatum alla Turchia e inizio della guerra italo-turca. Occupazione di Tripoli. La guerra venne estesa dalla flotta, oltre che in Tripolitania, anche nel Mar Egeo e nel Mar Rosso. Occupazione delle isole di Stampalia, di Rodi e di tutto il Dodecaneso. 1912, la Camera approvò con 431 voti su 470 e il Senato all’unanimità la sovranità italiana sulla Libia. Pace di Losanna tra Italia e Turchia. Istituzione del Ministero delle Colonie. Né va dimenticato che la riappacificazione della Libia, avvenuta nel primo dopoguerra, fu condotta, con mano di ferro, dal liberal-democratico Giovanni Amendola, allora Ministro delle Colonie. Il ribellismo libico fu uno dei problemi che i governi pre-fascisti lasciarono al Governo Mussolini. Nessuno può negare che, oltre che con l’azione politica di Giovanni Amendola, per pacificare la Libia fu usata la mano di ferro a cui concorsero in non pochi: essa fu utilizzata direttamente sul campo da – o per ordine di – Pietro Badoglio, Governatore della Libia.
Credo che nessuno Sgarbi può contestare quanto sin qui scritto.
Ed ora vediamo i danni provocati dal Male assoluto su quella scatola di sabbia, così chiamata prima dell’intervento del mai sufficientemente deprecabile Ventennio. Voglio anticipare, ma solo di sfuggita, che chi scrive queste note ha svolto anche in Libia la propria attività professionale. Ebbene, posso affermare che almeno sino ai primi anni ’60 Tripoli (e certamente anche le altre città libiche) poterono godere di uno sviluppo sino ad allora impensabile. E che Sgarbi mi smentisca.
Nel marzo 1937, Mussolini sbarcò in Libia ed inaugurò la Via Balbia, la nuova, maestosa opera stradale che partiva dal confine tunisino per giungere a quello egiziano. Un’opera di circa 1850 chilometri. Durante la sua permanenza nella colonia italiana egli riaffermò la sua politica filomusulmana. Al culmine delle manifestazioni gli sceicchi libici consegnarono al Duce la Spada dell’Islam, una spada d’oro massiccio, con l’elsa tempestata di pietre preziose, un gesto di grande valore in quanto simbolo della tradizione islamica. Quindi il Duce sguaina la spada, appena ricevuta e la punta verso il sole, e con voce roboante declama: <<L’Italia fascista intende assicurare alle popolazioni musulmane la pace, la giustizia, il benessere, il rispetto delle leggi del Profeta, vuole dimostrare al mondo la sua simpatia per l’Islam e per i musulmani>>. Quindi sale sul suo cavallo e seguito da duemilaseicento cavalieri arabi si lancia al galoppo nel deserto. Tutto ciò a significare il fattore della collaborazione amichevole tra l’idea imperiale romana-italiana e l’Islam.
Negli anni 1938-1939, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20 mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e traspor¬tati nei nuovi villaggi, dove sino ad allora esisteva solo sabbia del deserto. Ad essi vennero assegnate case coloniche con appezzamento di terreno; ogni casa era fornita di poz¬zi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua pota¬bile. Ogni giorno, automezzi dell’Ente Nazionale della Libia rifor¬nivano le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrez¬zi e sementi per rendere quelle terre verdi di piante. La stessa assistenza venne fornita anche ai libici, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni ita¬liani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo.
A Tripoli e a Bengasi vi erano due ospedali civili (cosa mai vista sino ad allora), di moderna concezione, dove potevano accedere (al contrario di quanto acca¬deva al di fuori delle nostre colonie) anche i cittadini autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da mi¬litari indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Ita¬liani della Quarta Sponda. I rapporti dei coloni con le popolazioni indigene erano correttissimi e la criminalità inesistente.
Nel 1938, i 20 mila nostri agricoltori sbarcati in Libia dunque trova¬rono pronti 26 villaggi agricoli: Olivetti, Bianchi, Giordani, Micca, Tazzoli, Breviglieri, Marconi, Garabulli, Crispi, Corradini, Garibaldi, Littoriano, Castel Benito, Filzi, Baracca, Maddalena, Aro, Oberdan, D’Annunzio, Razza, Mameli, Battisti, Berta, Luigi di Savoia, Gioda.
Altri dieci villaggi libici erano quelli nei quali berberi e indigeni impara¬vano dai nostri agricoltori a far fruttare la terra: El Fager (Alba), Nahina (Deliziosa), Azizia (Profumata), Nahiba (Risorta), Mansura (Vittoriosa), Chadra (Verde), Zahara (Fiorita), Gedina (Nuova), Mamhura (Fiorente), El Beida (la Bianca) già Beda Littoria. Tutti questi villaggi avevano la loro moschea, la scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) ed un piccolo ospedale, rappresentando, ripeto, una novità assoluta per il mondo arabo del Nord Africa.
Riprendiamo e ripropongo uno stralcio del nostro precedente articolo: un’altra iniziativa del male assoluto, accuratamente taciuta dai vermetti-furbetti, iniziativa unica del genere per i Paesi colonizzatori, fu il provvedimento con il quale grazie al R.D. Legge 3 dicembre 1934 XIII, N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, dove nell’articolo 4 è riconosciuta <<una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia>>. Per essere più chiari, l’infame Regime riconosceva i cittadini libici come cittadini italiani; chiamati, allora, italiani della quarta sponda. Questa legge fu il motivo per il quale Muammar Gheddafi, essendo nato nel 1942, nacque come cittadino italiano della Quarta sponda.
Spaziando ancora con qualche esempio, possiamo ricordare quanto scrisse il capo senussita Mohammed Redà: <<Questo governo (italiano, ndr) è stato mandato da Dio altissimo per la rinascita di questo paese, per la sua felicità e per la felicità dei suoi figli>>.
E ancora. Un autorevole insegnante libico, il prof. Mohammed ben Messuad Fusceka, in un suo libro, con il titolo La storia della Libia, edito nel 1956, fra l’altro ha scritto: <<Il governo fascista, presieduto dal suo Capo Benito Mussolini, aveva intanto preso i poteri. I suoi uomini provvidero a far prosperare la Libia. Onde mettere in esecuzione le direttive del governo, gli italiani nominarono nel 1934 il Maresciallo Italo Balbo Governatore generale della Libia. In tale periodo la Libia raggiunse il più alto tenore di vita della sua storia>>.
Tutto questo, è ovvio, è una politica che Londra non gradiva e fu una delle cause per le quali i Paesi plutocratici ci spinsero alla guerra. I colonizzati dai francesi e dagli inglesi cominciavano a guardare con troppo interesse a quanto il Governo italiano stava facendo nelle coloni a loro vicine.
Il 17 marzo il Duce a Tripoli fece un discorso misuratissimo ed è ricordato da Paul Gentizon (In difesa dell’Italia, pag.70): <<In realtà il discorso di Tripoli è una nuova manifestazione della volontà di pace dell’Italia: Il viaggio in Libia>> dichiara Mussolini <non ha scopi segreti né intenzioni aggressive contro chicchessia; nel Mediterraneo e al di fuori di tale mare noi desideriamo vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a tutti coloro che manifestano uguale volontà>>.
Per concludere, tornando dall’ambito storico direttamente al contesto dell’attualità politica internazionale, ritengo che, data la paraculatina di Sarkozy e compari, Berlusconi non poteva sottrarsi all’intervento anche se, almeno sino ad ora, simbolico. Ora se fosse un buon politico potrebbe avvalersi della sua amicizia (chiamiamola così) sia con Gheddafi e con Putin, e giocare un ruolo molto importante, cioè ergersi a paladino della pace e riparare, almeno parzialmente ai danni causati dalla Nato.
Certo, Berlusconi non è un Benito Mussolini, ma perlomeno può provare a riportare la pace in un territorio che a noi è stato storicamente tanto caro. Per lui sarebbe un grande successo politico.
Vorrei, però, prima di chiudere, osservare che di guerra contro la Libia si doveva parlare quando ne avevamo tutte le ragioni, cioè negli anni Settanta quando il peggior beduino (visto che per tanti beduini della Libia italiana vi era stato solo amore per l’Italia) cacciò da criminale quale era i coloni italiani dalla Libia, requisendo loro tutti i beni italiani e distruggendo i cimiteri. Allora la guerra sarebbe stata sacrosanta. Se è vero che dopo la cacciata degli italiani le terre coltivate sono state invase di nuovo dalle sabbie del deserto e le officine chiuse per incapacità di gestire quei beni, ciò è una magra consolazione.
A causa della furbatina anglo-franco-americana Berlusconi non poteva non allinearsi alla decisione dei gangsters-furbetti. Il gioco di questi è piuttosto palese (altro che intervenire a difesa dei poveri civili!), la Libia è ricca di petrolio e aveva dei rapporti commerciali molto stretti con l’Italia. Semplice: i gangsters-furbetti, con la scusa di salvaguardare i poveri civili sono intervenuti per abbattere il peggior beduino, così da rivedere tutti i contratti in essere ed esercitare ilbeni della Libia. Se Berlusconi non fosse intervenuto e Gheddafi fosse stato cacciato, come era nelle previsioni data la differenza di potenzialità della coalizione, i gangsters-furbetti avrebbero pappato tutto quello che c’era da rubare. Berlusconi intervenendo ha posto perlomeno un’ipoteca di discussione al futuro tavolo della pace (chiamiamolo così
Chiudo con un’esclamazione di Benito Mussolini : <<Vedo il mondo come realmente esso è, cioè un mondo di scatenati egoismi (…). Se tutta la politica estera fosse portata su un terreno di squisito e puro idealismo, non sarebbe certamente l’Italia che si rifiuterebbe di entrare su questo terreno (…)>>.
Povero Mussolini, povero idealista! Il mondo, purtroppo è così: non sei riuscito a cambiarlo tu, chi mai potrebbe più cambiarlo?