Minoli e Cervi, prima disintossicate l’anima dalla faziosità ideologica e poi cercate di scrivere di storia

13 Aprile 2011

Fiiippo Giannini

 

 

                                                                                                           

 

Ricordiamoci con l’antiufascista Leo Valiani che gli 80.000 partigiasni servirono solo a rendere più cruenta e odiosa la guerra civile

I maestri delle imboscate e degli assassinii mirati

Giorgio Bocca: <<Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. Ė una pedagogia impietosa, una lezione feroce>> –  Re Umberto II: <<Voi della Repubblica Sociale Italiana siete stati dalla parte giusta. La ragione e la Storia sono state e saranno sempre con voi … Se non fossi stato il figlio di Sua Maestà il Re d’Italia, io pure avrei scelto la via del Nord>>.

In questo articolo molto probabilmente, sarò costretto ad immettere concetti già espressi in altri precedenti e per questo mi scuso in anticipo. La Storia è un argomento serio, facile da stravolgere; essa però Storia, diventa scienza esatta quando, fissati i quattro cardini di base: fatti e date da una parte e cause ed effetti dall’altra, oltre questi limiti non ci sarà che la fantasia.
Un amico lettore, il dottor Di Bernardo, mi invia spesso delle lettere concernenti Mario Cervi e la sua La Stanza e non nascondo che ogni lettera che riguarda questo personaggio incide sulla salute del mio fegato.
Anche senza troppa facilità Mario Cervi (come più avanti illustrerò) trasforma delle verità acclarate in falsità e questo avviene ogni volta che l’uomo da colpire si chiama, superfluo dirlo, Benito Mussolini. L’altro personaggio, che ha le stesse caratteristiche del primo è Gianni Minoli, che dispone di un canale televisivo e tratta (per la precisione: dovrebbe trattare) di storia. Ebbene Minoli soffre delle stesse patologie di Cervi: la fascistofobia, cioè quella malattia “indotta”. Ė una miseria dell’anima, un malanno senza il quale non si fa carriera in questa terra dai connotati non ben delineati e nella quale, almeno io, non mi riconosco. Quali sono i sintomi?
Prendiamo ad esempio la trasmissione di sabato 2 aprile 2011 imperniata sulle nefandezze compiute dai militi della Repubblica Sociale Italiana (pardon: la Repubblica di Salò: anche se non è mai esistita una simile repubblica, dato che è stata inventata dai cosiddetti padri della patria, o, meglio, dai loro più poveri epigoni, quindi la dobbiamo citare così com’è).
Per inciso, ho un vizietto, quando tratto di Storia, prima di ogni cosa mi documento; poi, scrivo, esattamente il contrario di come trattano la povera storia tanti eminenti storici. Ciò premesso, cerchiamo, ora, di parlare con una la massima serietà. <nelle mie ricerche anche presso i reduci della Rsi, è risultato che non uno di essi si arruolò per combattere contro altri italiani, ma aderirono alla Rsi solo con l’intento di essere inviati al fronte e contrastare l’invasione degli alleati. Anche in questo la differenza, con i così detti partigiani, è evidente.
I partigiani tanto osannati e considerati eroi, chi erano? E, soprattutto: il partigiano era un legittimo combattente? Il termine legittimi combattenti si riferisce alle persone fisiche che possono esercitare la violenza bellica senza compiere, per questo solo fatto, alcun illecito di diritto internazionale o interno (Diritto Internazionale, pag. 583). Sinteticamente, le Convenzioni Internazionali di Guerra dell’Aja del 1889 e di Ginevra del 1907, ratificate a Ginevra nel 1927, stabilivano che il legittimo combattente, per essere considerato tale doveva: 1) portare apertamente le armi, 2) indossare una divisa riconosciuta dal nemico; 3) dipendere da ufficiali responsabili; 4) attenersi alle convenzioni di guerra. Il combattente della Rsi rispettava tutte e quattro le condizioni, quindi era un legittimo combattente; il partigiano, al contrario, non rispondeva a nessuna delle quattro condizioni; di conseguenza era un illegittimo combattente. Ma le Convenzioni di guerra sancivano un altro diritto, la cui conoscenza è necessaria per meglio comprendere le finalità della lotta partigiana; il ricorso all’atroce Diritto di rappresaglia, con queste parole: <<(…). La rappresaglia, condotta obiettivamente illecita, diventa, per le particolari circostanze in cui viene attuata, condotta lecita (…). Una reazione all’atto illecito e non mero atto lecito (…). La scelta delle misure da infliggere spetta allo Stato offeso>>. In altre parole, se un legittimo combattente, di un qualsiasi Stato, subiva un danno da parte di un illegittimo combattente, lo Stato offeso aveva il diritto di avvalersi del diritto di rappresaglia. Le Convenzioni stabilivano (Par. 4): <<Gli illegittimi combattenti vengono dovunque perseguiti con pene severissime e sono generalmente sottoposti alla pena capitale>>.
Ora vediamo come i partigiani (specialmente quelli comunisti) hanno saputo approfittare di questo ignobile diritto. Il democristiano Zaccagnini lasciò scritto: <<La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista (…)>>. Ancora più specificatamente l’ex fascistissimo, poi super antifascista e capo partigiano Giorgio Bocca ci spiega il perché degli attentati: <<Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. Ė una pedagogia impietosa, una lezione feroce>>. Ecco il motivo per cui mai, e sottolineo mai nessuno degli autori di attentati si presentò per salvare dei poveri ostaggi che stavano per essere uccisi. Alt! Un momento, uno si presentò, solo che non aveva commesso alcun attentato, signori Minoli e Cervi, volete il nome? Salvo D’Acquisto. Ma qualcuno potrà sollevare il dubbio che lo fece per danneggiare la causa partigiana; d’altra parte, pare che Salvo D’Acquisto fosse di sentimenti fascisti. In altre parole, il partigiano compiva un attentato per ottenere indietro una rappresaglia con la quale giocarci in futuro. Le cerimonie. con relative lacrimucce, alle quali ogni 24 marzo dobbiamo assistere, dal mio punto di vista, offendono i martiri innocenti, che caddero per colpe non davvero loro. E se potessero parlare?
Ed ora vediamo quanti erano i combattenti della Rsi. Le forze in armi erano stimate in 800 mila. Grandissimo fu l’afflusso di volontari. E i partigiani quanti erano? De Felice afferma che all’inizio erano qualche decina di migliaia e, ma solo alla fine (è logico, no?) non superavano le 200 mila unità. Quindi, altro che lotta di popolo!
Quale era la tecnica di lotta (chiamiamola così) dei partigiani? Ce la indica il partigiano Beppe Fenoglio ne Il partigiano Johnny: <<Alle spalle, beninteso, perché non si deve affrontare il fascista a viso aperto: egli non lo merita, egli deve essere attaccato con le medesime precauzioni con le quali un uomo (?) deve procedere con un animale>>. Eroico, vero? C’è un’altra testimonianza interessante, in un libro scritto da Mario De Micheli, dal titolo 7° Gap, nel quale possiamo, fra l’altro leggere: <<Sin dall’ottobre 1943, il Partito Comunista aveva preso l’iniziativa di costituire le “Brigate d’Assalto Garibaldi” e i “Gruppi d’Azione Patriottici” (…). I GAP dovevano essere gli arditi della guerra di liberazione, i soldati senza divisa (…). Essi dovevano combattere in mezzo all’avversario, mescolarsi ad esso, conoscerne le abitudini e colpirlo quando meno se lo aspettava (…). I complici del fascismo e del tedesco non avrebbero più dovuto trascorrere i loro giorni indisturbati, in quiete e tranquillità: avrebbero, invece, dovuto vivere d’ansia, guardandosi continuamente attorno, trasalendo se qualcuno camminava alle loro spalle. Portare la morte a casa del nemico era insomma la direttiva con cui sorgevano i GAP>>. E voi che leggete, da simili eroi vi sareste aspettati un’Italia migliore da quella nella quale viviamo?
Per dimostrare quanto fossero cattivi i fascisti e brava gente i partigiani, vediamo come e quando ebbe inizio la lotta contro la tirannia. Seguendo gli ordini dei commissari politici, giusto l’esempio vigente in Unione Sovietica, gli attentati e le imboscate ebbero inizio immediatamente: il 29 settembre 1943 fu ucciso Salvatore Morelli, studente diciottenne e Allievo Ufficiale della Legione “M”; a Torino il 24 ottobre fu ucciso il Seniore della Milizia Domenico Giardina, mentre a piedi si recava dalla casa in ufficio; il 31 a Brescia un ordigno esplose contro una caserma, facendo due vittime; il 5 novembre a Imola fu ucciso il Seniore della Milizia Fernando Baroni; il giorno 6 nei pressi di Bologna furono trucidati due fascisti e due carabinieri; il 7 novembre a San Gaudenzio (Firenze) furono freddati altri quattro fascisti, eliminati con il solito metodo dell’agguato; altri ancora a Como, a Follonica, a Verona, a Desio, a Vercelli, a Sarzana, a Venezia e così di seguito. A tali uccisioni, per espresso ordine di Mussolini (il male assoluto), non seguì alcuna rappresaglia.
Questo fino a quando … un passo indietro.
Igino Ghisellini, Federale di Ferrara fu ucciso il 14 novembre, sempre del 1943, perché per la politica partigiana costituiva un pericolo, date le sue doti di moderazione e di equilibrio. Egli cercava di evitare che Ferrara e la provincia conoscessero il sangue che già bagnava tante città del Centro Nord d’Italia. Con questo intento Ghisellini sollecitò un incontro con i componenti del C.L.N. della sua città: incontro che ebbe luogo il 30 ottobre 1943 nello studio dell’Avv. Mario Zanatta, delegato del Partito d’Azione. Il rappresentante del Partito Comunista rifiutò il colloquio. Giorgio Pisanò ha scritto: <<Si trattò di un incontro tra gentiluomini, tra gente responsabile, ancora capace di anteporre all’odio di parte il desiderio di non spargere sangue tra fratelli (…). Così si giunse ad un accordo: i partecipanti si impegnarono a non attaccare con le armi i fascisti, dimostrando, al pari di questi ultimi, di non volere la guerra civile>>.
Ma questo non rientrava nei piani dei comunisti. Intanto nella sala di Castelvecchio a Verona si stava svolgendo il Congresso del Partito Fascista Repubblicano, quando si apprese dell’uccisione di Ghisellini. Da una gran parte dei congressisti si levò la voce: <<A Ferrara, a Ferrara>>, così caddero alcuni galantuomini che con la morte del Federale non avevano alcuna responsabilità. Quando Mussolini, il giorno seguente apprese la notizia, si infuriò contro Pavolini, ma questi gli presentò un foglio nel quale erano elencati i nomi dei fascisti assassinati in poco più di un mese. Il Duce si calmò, ma congedando il Segretario del partito, gli disse che i fascisti erano caduti nella trappola tesa dai comunisti. Niente di più vero: i comunisti in quel momento stavano brindando all’eroica azione della soppressione del pericolo Ghisellini.
Ė molto poca nota una sventura accorsa al Bignami, quel libricino che tutti noi studenti abbiamo usato nel periodo scolastico. Nell’edizione del 1991, a pag. 119, si legge: <<A più di quarant’anni di distanza, la resistenza e la lotta partigiana contro il fascismo stanno mostrando il loro vero volto. La storia denuncia proprio in questi ultimi mesi i numerosi misfatti e le molte nefandezze commesse dalle squadriglie antinaziste, capaci di crimini che per molti decenni sono rimasti nascosti nell’ombra e che ora stanno riemergendo a testimonianza di quanto accadde (…). La storia di una Resistenza tramandata da padre a figlio come l’elemento a cui va attribuita la liberazione dell’Italia dalle violenze della dittatura, sta vacillando sempre più. Probabilmente con il trascorrere degli anni emergeranno altri retroscena su una stagione storica che non ha conosciuto né vinti né vincitori, ma soltanto una popolazione di sconfitti: coloro che della guerra hanno fatto le spese e coloro che dalla Resistenza e dai partigiani hanno avuto soltanto un elenco di lutti e dolori>>. Non posso qui elencare gli stinnicchi che hanno espresso i vari Minoli e Cervi tutti legati al politicamente corretto. Ė superfluo aggiungere (ma solo per onorare la libertà ritrovata) che tutte le copie del Bignami furono immediatamente requisite e fatte sparire?
Minoli in una delle più recenti trasmissioni televisive tentò di far passare i poverini di Casa Savoia come vittime e sottomesse al Tiranno. Allora, per la gioia del valente giornalista Rai una testimonianza di un altro giornalista, Loris Lolli. Questi, il 3 aprile 1956, accompagnato dal collega de Il Messaggero di Roma Filippo d’Errico, chiese ed ottenne un’intervista all’ex Re Umberto II in esilio a Cascais. Ad un certo momento dell’incontro, Umberto II chiese a Lolli: <<A proposito, il 9 settembre 1943 dove era?>> Loris Lolli: <Ero Allievo Ufficiale al 6° Battaglione d’Istruzione del 36° Reggimento di fanteria motorizzata Divisione Pistoia>>. Umberto II: <<E, se non sono indiscreto, dopo quale strada ha scelto? Il Nord o il Sud?>>. Senza alcuna esitazione Lolli rispose: <La Repubblica Sociale Italiana>. Umberto II tese la mano a Lolli e disse: <<Voi della Repubblica Sociale Italiana siete stati dalla parte giusta. La ragione e la Storia sono state e saranno sempre con voi>>. E con grande stupore di Lolli, concluse:< <Se non fossi stato il figlio di Sua Maestà il Re d’Italia, io pure avrei scelto la via del Nord>>.
Tornerò sull’argomento, in quanto sono interessato a citare le rappresaglie condotte dai partigiani contro bambini colpevoli di avere i padri arruolati nelle forze della Rsi, nonché le rappresaglie condotte dai liberatori in tutti i continenti. Ma sono interessato, soprattutto, a denunciare le cause della guerra, anzi, mi correggo: delle guerre.