Archi, cerchi e semicerchi: le galassie possono apparire in molti modi diversi. Gli astronomi sono abituati a questo incredibile caleidoscopio cosmico e sanno che è provocato dalla gravità. Infatti, come Einstein intuì circa un secolo fa, questa forza può deflettere il cammino della luce, generando lenti gravitazionali, attraverso le quali l’immagine delle galassie più lontane viene deformata. Ora c’è chi ha sfruttato questo fenomeno per guardare anche la radiazione cosmica di fondo (o CMB dall’acronimo inglese Cosmic Microwave Background): deboli microonde chiamate anche l’“eco del Big Bang”, che rappresentano una fotografia di come appariva l’universo quando aveva circa 380.000 anni. E’ un gruppo internazionale di astronomi guidato da Sudeep Das dell’Università della California di Berkeley. Il loro studio, pubblicato prima su ArXiv e ora su Physical Review Letters, oltre a confermare un nuovo modo per sfruttare le lenti gravitazionali, aiuterà a capire come si distribuisce la materia nello spazio.
Le lenti gravitazionali sono ben note agli astronomi, che le utilizzano dalla fine degli anni Settanta per gli scopi più disparati, dallo studio della materia oscura alla ricerca di nuovi pianeti extrasolari. Basta infatti la presenza di una grande quantità di materia, per esempio un ammasso di galassie, per creare una lente gravitazionale attraverso cui guardare. Ma finora questo effetto era stato osservato solo per lo spettro visibile, mai (almeno direttamente) per le microonde.
Ad applicarlo a questa radiazione ci hanno pensato Das e colleghi osservando alcune regioni del cielo con l’Acatama Cosmology Telescope (ACT, capace di indagare il CMB con una risoluzione spaziale migliore di quella ottenuta finora da satelliti spaziali come COBE o WMAP) e poi confrontando i risultati con una simulazione di come dovrebbe apparire il CMB sotto l’effetto di lenti gravitazionali. Ebbene, simulazione e osservazioni sono in ottimo accordo.
Gli autori della ricerca sono entusiasti, perché le lenti gravitazionali applicate alla radiazione cosmica di fondo consentiranno di spingere il nostro sguardo ancora più lontano. Studiando infatti la distribuzione delle lenti gravitazionali è possibile risalire alla distribuzione di materia che le ha generate, e determinare così la “dislocazione” delle prime strutture nel cosmo. Grazie a questo metodo inoltre, sarà possibile indagare un orizzonte ben più lontano di quello raggiungibile dai telescopi odierni, investigando le prime oscure fasi di evoluzione del nostro universo: “Siamo davvero felici del nuovo risultato, e pensiamo che sia il preludio a una nuova ricca vena in cosmologia”, ha commentato Lyman Page della John Hopkins University di Baltimora, tra gli autori dello studio.