Problemi aperti: corporativismo, socializzazione, religione e analisi storica

23 Maggo 2011

Filippo Giannini

Domenico Cambareri

 

ANCORA, ANCORA, E ANCORA GRIDERO’: LAVORATORE, SEI STATO FREGATO!

I principi della Socializzazione salvaguardano la proprietà privata come frutto del Lavoro e del risparmio, nel quadro della concezione sociale moderna

 

Desidero iniziare questo articolo con il ricordare mio padre. Qualche lettore osserverà: <Che c’entra suo padre?>. Invito a pazientare per pochi attimi e dimostrerò il perchè mio padre c’entra.
Dunque, mio padre Virgilio, che era un ragioniere: un ragioniere di allora. Egli non aveva bisogno di alcuna calcolatrice, di fronte ad una colonna di addendi faceva scorrere la matita dal primo numero e, in pochi secondi, voilà la somma era sulla carta. E non c’era alcuna calcolatrice che potesse dimostrare qualche errore. Mio padre era capo-ufficio della più affermata ditta di costruzioni del tempo che andò in rovina a causa dei danni subiti dagli eventi bellici. Mio padre mai fu fascista, mai iscritto al P.N.F. e mai ebbe fastidi. Mio padre era un a-fascista, pensava solo al lavoro e alla famiglia. Aveva un difetto. Era di una onestà assoluta e questo difetto lo caratterizzò sino alla fine. Ebbene – ed ora entriamo nel merito – mio padre ci lasciò nel 1966, quando il funzionamento dello Stato era ancora accettabile, in quanto fino ad allora si risentiva dell’impronta data dal Fascismo alla burocrazia e alle cose dello Stato. Ma questo a mio padre non era sufficiente, ricordava come le cose funzionassero nel tempo del regime farsescamente indicato dai soliti taluni come truce tirannia. Ripeto, mio padre ci lasciò nel 1966, e morì fascista, perché riconobbe, quale uomo super retto, l’enorme differenza che sussisteva fra i due regimi. E, cari amici, vi chiedo: dal 1966, quante cosette sono cambiate? In meglio o in peggio?. A voi la risposta!
Il fascismo ancora terrorizza i vari Berlusconi, i Fini, i Bersani e tutta la brutta compagnia che ci opprime, li terrorizza perché le idee lasciate da quel grande uomo impiccato a testa in giù a Piazzale Loreto sono ancora attuabili e, se fossero riproposte, quanti omuncoli dovrebbero fare le valige e cercare un altro lavoro al di fuori dal palazzo delle rendite politiche?
Il mio punto di vista per uscire dal merdaio in cui siamo stati gettati da quel 25 aprile 1945 è che dovremmo ripartire (attenzione! Non ho scritto ritornare!) da quella data, cioè quando, nonostante le difficoltà del tempo (guerra, bombardamenti, partigiani), il governo di Mussolini stava orientando l’Italia della RSI verso la SOCIALIZZAZIONE DELLO STATO. Quella Socializzazione, quello Stato Corporativo che era già stata una delle più importanti cause per cui i Paesi plutocratici ci spinsero alla guerra, essendo quella forma di Stato – i cui concetti si stavano espandendo in tutto il mondo – un grave pericolo per le lobby capitaliste e per la grande finanza.
Chi scrive queste note è un corporativista convinto il quale nei suoi scritti predilige citare fonti non sospette, cioè fonti non fasciste. Ecco, ad esempio, come è giudicato lo Stato corporativo da Zeev Sternhell, ebreo, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La terza via fascista” (“Mulino” 1990), nel quale, tra le molte altre considerazioni, possiamo leggere: <Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo>. L’autore continua a spiegare: <Le ragioni dell’attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini della cultura europea [e aggiungerei: non solo europea], molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei problemi relativi al destino della civiltà occidentale>. Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore Zeev Sternhell: <Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione>. In queste ultime osservazioni possiamo intravedere le cause che portarono, da lì a pochi anni, alla “svolta” drammatica.
La cosa può apparire ancora più chiara leggendo un’altra considerazione di Sternhell: <Il potere dello Stato incide sulla mobilitazione dell’economia nazionale, sulle possibilità di programmazione economica su larga scala e favorisce l’unità morale e l’unanimità spirituale delle masse>. In altre parole da Roma partiva, una volta ancora, la proposta di un nuovo Rinascimento, il Rinascimento del Lavoro. Questa proposta è ancora valida anche perché, ultima ma non ultima cosa, perchè sussistono ancora e, ancora più potenti, le stesse lobby che vollero la morte della pianta che aveva generato la Democrazia del Lavoro. Ma se la pianta è stata uccisa, non è detto che le radici non siano ancora vitali. Questo è tanto vero che ho appena ricevuta una mail inviata da Angelo Faccia, ex combattente della Repubblica Sociale Italiana ed oggi segretario della C.U.L.T.A (Confederazione Unica del Lavoro della Tecnica e delle Arti), confederazione sindacale concepita nella Rsi, con il compito di curare gli interessi dei lavoratori nell’attuazione della socializzazione delle Aziende, secondo il piano politico-sociale concepito da Mussolini e, molto probabilmente, su suggerimento di Nicola Bombacci. E Angelo Faccia ha il merito di aver fatto rinascere la C.U.L.T.A..
Tutti dovrebbero essere a conoscenza che a causa della crisi economica del 2001 l’economia argentina era in ginocchio, ma non tutti sono a conoscenza che grazie all’attuazione di principi che si ispirano alla socializzazione, l’Argentina sta uscendo dalla crisi (Il Venezuel, tra luci e ombre, ha iniziato a socializzare l’impresa del legno, come primo passo verso la Socializzazione dello Stato).
Ha scritto Angelo Faccia: <Si avvera la profezia del prof. Manlio Sargenti che scrisse: “gli italiani riceveranno la socializzazione di ritorno dall’estero”. Siamo su questa strada: la socializzazione sta nascendo in Argentina e la casualità vuole anche che il Generale Peron (nato in Sardegna, ma emigrato fanciullo in Argentina) – tre anni trascorsi come militare in Italia durante il Ventennio fascista – con Evita Peron, la pasionaria de los descamisados, con nelle vene il DNA della giustizia sociale, hanno iniettato nel sangue degli argentini i principi sociali assorbiti in Italia nel periodo mussoliniano>. Angelo Faccia mi ha spedito alcuni documenti che confermano come l’Argentina stia uscendo dalla crisi economica grazie alla Socializzazione delle Imprese, così come furono concepite e solo parzialmente applicate in Italia nel 1944/1945, parzialmente applicate a causa delle disastrose condizioni in cui si trovava il Paese in quei frangenti. Angelo Faccia ha scritto che la C.U.L.T.A. <sta collaborando attivamente con le forze sindacali argentine – e di altri Paesi – al fine di sviluppare sempre più il pensiero sociale mussoliniano nel mondo>.
In Argentina, centinaia di imprese sono state recuperate e gestite dagli stessi lavoratori e lavoratrici. <È una risposta spontanea alla disoccupazione e alla precarietà del lavoro e della vita messa in campo da uomini e donne che hanno deciso di unirsi e organizzarsi>.
I lavoratori italiani sapranno dare la stessa risposta ai ricatti messi in atto dai vari Marchionne? Non credo proprio, almeno sino a quando i lavoratori italiani si rivolgeranno alle attuali organizzazioni sindacali esistenti, troppo legate al potere politico e questo dipendente e soggiogato al potere finanziario e capitalistico mondiale.
Sto seguendo con grande interesse l’iniziativa di Roberto Bevilacqua www.robertobevilacqua.it il quale, fra l’altro ha scritto: <L’Italia è tuttora soggetta al Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, unilateralmente quindi con le caratteristiche più di “Diktat” che di “Trattato” vero e proprio, con tutte le sue deleterie conseguenze (vedi XII disposizione transitoria della Costituzione Repubblica Italiana). Si ritengono, pertanto, ormai maturati i tempi per la rescissione unilaterale di tale “Trattato” e per dare corso a un nuovo ruolo internazionale dell’Italia: fuori della Nato, per un’Europa Nazione, dal Portogallo alla Russia, con esclusione dei paesi extra-europei; rivendicazione delle radici romano-cristiane dell’Europa; sostegno alle popolazioni dell’est-europeo e dei paesi extra-comunitari con interventi sul loro territorio. Ma è anche necessaria l’espulsione immediata dei cittadini non italiani sprovvisti di permesso di soggiorno o che non abbiano stabile e civile residenza nel nostro paese e che conducono una vita da irregolari.
Questi motivi e tanti altri, come anche gli esiti delle ultime elezioni amministrative dimostrano, debbono essere di stimolo alla formazione di una Terza Via con apertura a tutte le componenti d’Area Nazional-Popolare, non più vincolata a forze politiche che non condividano o siano in palese contrasto con tale impostazione di massima>. Sta bene, anzi benissimo: rescissione del Trattato di Pace (Diktat) del 1947, fuori dalla NATO, ma anche fuori dall’ONU, almeno sino a quando questo organismo mantiene le stesse preclusioni e gli stessi privilegi riservati a quei Paesi sin troppo noti. Preclusioni e privilegi che hanno condotto, conducono e condurranno il nostro Paese ad essere corresponsabile di rapine e saccheggio di altri, colpevoli di non seguire le disposizioni dei padroni del mondo.
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Domenico Cambareri risponde:
Giannini affronta parecchi e differenti problemi, tutti importanti, che andrebbero visti con maggiore attenzione e autonoma di ambiti. Qui di seguito cerco di dare una sintesi “istantanea” di interrogativi, dubbi, risposte:
1. Continuare anche da destra sul tema antifascismo-fascismo, per quanto lo teniamo sempre presente come “risposta”, è qualcosa che ritengo superato. Gli antifascisti di professione si contano sempre di più perché sono sempre di meno, perché sono una sottorazza di speculatori in completa estinzione. Quanti lo fanno, per mero scimmiottamento come i massificati e gli ignoranti dei centri sociali, ne costituiscono la cartina di tornasole, come non di meno e anche i sopravvissuti, più esperti e spesso camuffati comunisti togliattiani. Tutti costoro ci vivono su per la tangente di un’intoccabile rendita feudale che continuano a pretendere in tutti gli apparati e che perciò  garantisce loro prebende e diritto a monopolizzare la scena “resistenzialista” e a monopolizzare il coagulo antifascista del – per loro, ma manche per me – codazzo spesso passivo degli antifascisti non comunisti, gli “utili idioti” della strategia di asservimento in funzione comunista. E per tenere su l’ipoteca con cui il PCI ha cercato di gestire la storia repubblicana e in essa rendere accettato, scontato, saldo ed egemone il suo ruolo, altrimenti indigesto, in qualità di mero e fanatico satellite sovietico;
2. i temi corporativismo e socializzazione sono centrali nell’ambito della storia delle idee politiche, che, dopo la caduta del regime fascista, sono stati scopiazzati nei modi più diversi: essi sono argomenti che andrebbe affrontati e studiati sempre di più nella loro dimensione di storia delle idee e del regime fascista e di teoria politico-economica da proporre per il futuro. Tuttavia è da precisare che durante il ventennio esso in realtà non fu messo concretamente in pratica (vuoi per il persistente prevalere dei temi incandescenti di politica internazionale, vuoi per l’ibridizzazione iche l movimento poi partito e, quindi, il regime subirono nella realtà delle cose piuttosto velocemente e per il prevalere di una forma istituzionale che svuotava dell’esercizio del potere legislativo la camera dei fasci e delle corporazioni). La Repubblica Sociale costituisce il tentativo di estremo recupero di una battaglia che storicamente lo stesso Mussolini aveva voluto perdere già prima.
3. Corporativismo e socializzazione oggi in Sud America. Sono indicazioni troppo generali: andrebbero circostanziate in tutto. Sia in riferimento all’Argentina sia, e soprattutto, in riferimento a quanto accade in Venezuela. E’ facile entusiasmarsi, ma è necessario soprattutto avere un quadro compiuto e adeguatamente approfondito dell’argomento e del contesto nazionale a cui ci si riferisce;
4. Trattato di pace imposto all’Italia. I cinquant’anni sono scaduti, così le clausole del trattato. Dovremmo supporre l’esistenza di clausole segrete aggiuntive rimaste tuttora segrete e coperte? E’ un po’ difficile affermarlo. E’ superfluo accettare dietrologie e battaglie che non hanno più senso già da molti anni quali quella dell’uscita dalla NATO. Non dimentichiamo che in essa l’egemonia – poi mai tanto vincente o imposta per le scelte da seguire già dai tempi della guerra in Vietnam – americana è costata agli stessi USA costi incredibili che essi non possono più accollarsi: il tutto, a sicuro beneficio degli alleati satelliti che ci hanno ben vissuto per non pochi aspetti. Le questioni di natura ideologiche e la possibilità di enucleare punti di forza programmatici per il futuro dovrebbero semmai riguardare la politica del WTO (e del GATT dapprima) e la revisione del trattato europeo fatto in chiave non tanto di scelta irreversibile del libero mercato ma di asserzione univoca ed esaltazione del liberismo più estremo, cosa che comporta il fatto che: a. soggetti concorrenziali che poco rispettano le pochissime “regole” (la Cina soprattutto) sono in grado di arrecare danni enormi e talora irrimediabili all’economia d altri soggetti, cioè di popoli e di Stati; b. il controllo delle attività finanziarie illecite esercitate nel cuore dei sistemi economici occidentale e di ogni altra parte del mondo rimane una pura e amena dichiarazione di intenzioni di fronte a cui le comunità nazionali e internazionali sono in realtà ancora completamente indifese; c. respingere in termini propositivi e articolati sia in ambito di modello legislativo sia di modello socio-economico il dilagare inarrestabile della perniciosa peste del federalismo pseudo efficientista e pseudo virtuoso e della correlativa, sottaciuta esplosione dei parassitismi degli apparati di alta burocrazia che si stanno moltiplicando senza fine: sembra una battaglia definitivamente persa, ma da qui ricomincia la ricostruzione della Nazione e della sua identità storica;
5. Rifiuto dell’effimero slogan, storicamente insussistente, delle radici romano-cristiane. Innanzitutto e soprattutto, lasciamo finalmente stare al di fuori del quadro civile i contesti delle “fedi”, in particolare di in quella che è stata, nella sua nuda e cruda realtà storica al di fuori dal mero quadro devozionale e sentimentale che lega ancora acriticamente tanti italiani, la vera tomba del popolo italiano per circa 1600 anni. La dimensione religiosa va vissuta nella sua propria, genuina specificità e non socialmente culturalmente e politicamente imposta con sempre rinnovati e strumentali escamotage. Inoltre, è bene riappropriarsi dell’esatta natura delle proprie radici che sono essenzialmente italiche (o latine o romane) ed elleniche. Vi sono presenze di altri apporti anche più antichi, quali quelli di origine pelasgica o antico mediterranea e pre-aria. In termini corretti, sul piano della dimensione storica, il cristianesimo costituisce esclusivamente uno spesso strato cultuale, soprattutto fideistico e devozionale ma non etnico-linguistico, pertanto non un sostrato o una radice. Sul piano del cattolicesimo, se dovessimo accettare il significato della dicitura riportata nel Trattato del Laterano, la gerarchia cattolica, con il proclamarsi “religione cattolica”, è (si sarebbe… in termini affabili) perfino messa al di fuori dalla “religione cristiana” strictu sensu, di cui essa sarebbe stata una “confessione”. In effetti, sin dalla sua enucleazione, il cattolicesimo rappresenta la più accentuata e inestricabile forma di eclettismo religioso e filosofico che è potuto sopravvivere con l’organizzazione teologica più spinta incentrata sulla dottrina dei dogmi e della chiesa “sponsa Christi” messa in opera da una teocrazia politica. Tutto ciò, però, torno a dire, non ha a che vedere con i contesti della società e della politica, che nella loro assolutamente autonoma sfera di organizzazione e di decisione, non abbisognano di una presunta ed estranea sfera di superiori e legittimanti valori civili.