25 Luglio 2011
Fonte: Archeogate on line
Marco Rolandi (*)
Medicina nella Roma antica
Arcagato: carnifex o vittima?
(*)Si ringrazia il prof. Piero Bonadeo per i preziosi suggerimenti.
Le controverse vicende e le alterne fortune di Arcagato, primo medico di Roma antica, dimostrano molto bene come, al sorgere di ogni nuova scienza, sia molto difficile per i suoi pionieri venire accettati dalla società a loro coeva. La figura ancor oggi misconosciuta del peloponnesiaco Arcagato, figlio di Lisania, merita però un corretto approfondimento con il quale ci si prefigge l’obiettivo di sfatare alcuni luoghi comuni e ridare così dignità professionale all’individuo dopo oltre duemila anni di pregiudizi.
L’immagine negativa che dall’antichità ci è giunta di Arcagato è in gran parte da riferirsi al passo contenuto in Nat. Hist. XXIX, 12-13, nel quale lo stesso Plinio il Vecchio richiama la figura del medico già a lui contemporanea, a sua volta derivata da un protostorico latino, Cassio Emina, di sentimenti marcatamente xenofobi. Rivedendo brevemente questa testimonianza si può notare come la notizia sia delle più precise: l’arrivo a Roma nel 219 a.C. con datazione all’eponimato consolare [1], la concessione del diritto di cittadinanza [2] e l’ottenimento da parte di Arcagato di un ambulatorio acquistato con denaro pubblico [3]; in seguito però i metodi usati avrebbero fatto guadagnare al nostro medico l’appellativo di carnifex, e a questo punto Plinio si associa allo sciovinismo catoniano nel giudicare con avversione questi medici di origine greca che a partire dalla seconda metà del III sec. a.C. cominciavano ad affluire nell’Urbe [4]. Evidentemente Arcagato introdusse a Roma tecniche operatorie sofisticate e del tutto sconosciute per i Romani di allora [5], di qui il timore e la repulsione che riuscì a suscitare verso la sua arte: vediamo dunque di cogliere qualche riflesso nella società in cui viveva.
Il nostro non fu solo il primo medico professionista della storia di Roma, ma secondo alcuni [6] sarebbe anche da identificare in uno dei protagonisti dei Menaechmi di Plauto, il primo medicus che compare nella letteratura latina. Il personaggio rappresentato nella commedia è infatti il prototipo del medico greco [7], sempre oggetto di ironiche battute da parte degli altri protagonisti [8]. La cosa che più qui interessa è far notare come la medicina greca ed i suoi metodi, di cui Arcagato era stato l’importatore, potessero essere compresi e rielaborati sotto oggetto di interpretazioni che suscitassero ilarità nel pubblico molto variegato che si recava nei teatri romani alla fine del III – inizio II secolo a.C.: questo vuol dire che la gente sapeva bene cosa facessero questi medici greci da poco arrivati e si interrogasse sui loro metodi. Il riflesso in un’opera teatrale rende molto bene, come avviene anche oggi, l’attualità che era presente sulle scene.
Oltretutto l’ipotesi che l’aneddoto pliniano avrebbe un carattere più comico-satirico (da commedia appunto) che storico viene supportata da studiosi moderni [9] con tesi più che convincenti: nella letteratura greca, sia nella commedia di mezzo che nella commedia nuova, alla quale si rifà anche Plauto, gli iatroi demosieuontes delle città greche hanno caratteristiche molto simili a quelle di Arcagato. Così la taberna che il Senato gli concede assomiglia allo iatreion [10] dove si svolgono gli innumerevoli episodi buffi che gli autori greci hanno lì ambientato e dove si compie la transizione da vulnerarius a carnifex secondo schemi ben noti cari ai commediografi antichi [11].
La valutazione fortemente negativa di Plinio sull’operato di Arcagato appare infine smentita, oltre che da alcune fonti letterarie ad opera di autorevoli autori in campo medico quali Celso [12] e Celio Aureliano [13], anche da un papiro greco restituitoci dalle sabbie d’Egitto, il quale dimostra inequivocabilmente che dopo oltre duecentocinquant’anni dalla venuta di Arcagato a Roma, i suoi rimedi erano ancora prescritti dai medici del periodo imperiale. Il documento in questione, P. Merton I, 12 (cfr. Fig. 3), proveniente dal Medio Egitto e datato al 26 aprile 59 d.C., è una lettera pervenutaci completa indirizzata ad un medico di nome Dionysios per un consulto in materia di formule per pomate e unguenti cicatrizzanti [14]. Si veda qui di seguito la traduzione completa:
“Chairas saluta moltissimo il suo carissimo Dionysios e gli augura salute per sempre. Quando ho ricevuto la tua lettera fui così straordinariamente felice, come se io fossi stato realmente con te, infatti eccetto questa (lettera) non c’è nient’altro. Tralascio di scriverti grandi ringraziamenti: infatti è necessario ringraziare con le parole quelli che non sono amici. Sono persuaso di farmi forza con una certa tranquillità, e se non l’equivalente, ti darò almeno una piccola parte dell’affetto che tu provi per me. Mi hai mandato due versioni di ricette, una della pomata di Arcagato, l’altra di quella cicatrizzante. Quella di Arcagato è composta correttamente, mentre a quella del cicatrizzante manca il dosaggio della resina. Ti prego di farmi sapere di un cicatrizzante energico che sia in grado di sanare senza rischio le piante dei piedi, giacché ne ho urgenza. Per quanto riguarda quello duro, mi hai scritto che ne esistono di due tipi; mandami la ricetta scritta di quello disperdente; infatti anche il tetrafarmaco è del tipo duro. Questa lettera è con sigillo. Ti saluto e ricorda quello che ho detto. (Anno) 5° di Nerone il Signore, (giorno) 1° (del mese di) Germanico.
(Verso) A Dionysios, medico”.
Da questo papiro si evince come uno scrivente di nome Chairas (un medico?) si rivolga a Dionysios, per un consulto professionale. Dal tono confidenziale e dalla conoscenza della materia, sembra che Chairas possa essere identificato ragionevolmente in un collega. La terminologia tecnica con cui si esprime lo scrivente infatti, è sicuramente quella propria di persona competente, soprattutto per le osservazioni riguardo qualità e composizione dei preparati. La lettera riproduce dunque, attraverso una testimonianza diretta, la prassi della formulazione, prescrizione ed esecuzione delle ricette terapeutiche, così com’erano a disposizione dei medici nella chora egiziana del I secolo d.C.
La menzione della medicina legata al nome di Arcagato, in materia fra l’altro di cicatrizzanti, getta secondo lo scrivente una luce diversa su questo medico bistrattato dalla tradizione, quella di un professionista coscienzioso interessato evidentemente anche ai decorsi postoperatori.
Ed ora alcune considerazioni di carattere generale. Il III secolo a.C. è caratterizzato da due importanti eventi nella storia della medicina italica: nel 293 da Epidauro viene introdotto il culto del dio della medicina, Asclepio, attraverso l’erezione di un tempio-santuario sull’Isola Tiberina (cfr. Fig. 5), e nel 219 il primo medico greco si stabilisce in Italia. L’introduzione dell’inedito culto di Asclepio-Esculapio fu dovuto ad un’esigenza della Roma repubblicana di affidarsi ad una divinità greca (il culto delle divinità salutari risaliva all’età preromana) di fronte ad una terribile pestilenza. D’altra parte le reazioni all’operato di Arcagato testimoniano delle resistenze che l’arte medica greca dovette superare e fu solo alla fine del II secolo a.C. che un altro medico greco, Asclepiade di Bitinia, fu accettato a Roma.
In realtà gli antichi non condannavano la medicina in sé, ma come mestiere; soprattutto non accettavano l’idea di un utile ricavato sulla vita umana. Possiamo immaginare dunque quale fosse l’atteggiamento verso un medico greco a cui era stata conferita la cittadinanza e a cui era stato permesso di lavorare in una taberna acquistata con denaro pubblico (raro se non unico esempio all’epoca), probabilmente pagato dallo Stato e in piena autonomia. Possiamo rivivere con quanta spocchiosa compiacenza si apprese del suo disinvolto uso del bisturi e del cauterio oltre che di inevitabili ma, agli occhi di molti, deprecandi insuccessi come giustificazione della sua cacciata da Roma [15].
Come già accennato l’opinione di C. Celso è opposta. Egli loda Arcagato nel suo libro De Medicina sostenendo che, ancora al suo tempo (e il papiro preso in esame sopra lo conferma puntualmente), si continuava a prescrivere per la cura delle ferite il “cerotto di Arcagato”, composto di minio, rame bruciato, cerussa, trementina e letargirio il che farebbe supporre un certa conoscenza dei farmaci (cfr. supra n. 12).
Risulta allora poco comprensibile la brusca caduta della stella di Arcagato, che pure doveva avere lavorato a Roma per vari anni, esempio di medico mutualista ante litteram. Gli insuccessi o i metodi cruenti? Non dimentichiamo che, allora come oggi, la più temibile complicanza di una ferita è l’infezione e, in un’antichità priva di antibiotici, essa significava morte certa per cui interventi demolitivi erano frequenti e tesi a salvare vite umane, al giudizio odierno pienamente giustificabili.
Bibliografia
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– L. Baumbach, Quacks then as Now? An Examination of Medical Practice, Theory and Superstition in Plautus’ Menaechmi, AClas XXVI, 1983, pp. 99-104.
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– S. De Carolis (a cura di), Ars Medica. I ferri del mestiere. La domus del Chirurgo di Rimini e la chirurgia nell’antica Roma, Rimini 2009.
– S. De Carolis-V. Pesaresi (a cura di), Medici e pazienti nell’antica Roma: la medicina romana e la domus del chirurgo di Rimini, Atti del convegno internazionale (Rimini 12 giugno 2008), Villa Verucchio 2009.
– L. Gil, Arcágato, Plinio y los médicos, Habis III, 1972, pp. 87-101.
– E. Loria, Salute e magia attraverso i secoli, Padova 1994.
– I. Mazzini (a cura di), I medici di Roma antica in cattedra. Salute, bellezza, benessere, Forlì 2007.
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– G. Penso, La medicina romana. L’arte di Esculapio nell’antica Roma, Saronno 1985.
– W. Steidle, Zur Komposition von Plautus’ “Menaechmi” , RhM CXIV, 1971, pp. 247-261.
– F. Stok, Follia e malattie mentali nella medicina dell’età romana, ANRW II, 37.3, pp. 2282-2410.
– J.L. White, Light from Ancient Letters, Philadelphia1986.
– A.W. Zargniotti, Medical numismatics, a denarius commemorating Rome’s first doctor, Archagathus (219 BC), Bull.N.Y.Ac.Med. XLVI, 1970, pp. 448-450.
Note
[1] \”Cassius Hemina ex antiquissimis auctor est primum e medicis venisse Romam Peloponneso Archagathum Lysaniae filium L. Aemilio cos. anno urbis DXXXV…\”.
[2] \”…eique ius Quiritium datum…\”; i medici stranieri furono sempre dei privilegiati nell\’ottenimento della cittadinanza romana: oltre trecento anni dopo ad esempio sarà Plinio, il Giovane questa volta, a scrivere all\’imperatore Traiano per richiedere la concessione della cittadinanza al suo medico Arpocrate: cfr. Epist. X, 6 e 7.
[3] \”…tabernam in compito Acilio emptam ob id publice…\”, quest\’incrocio doveva trovarsi nei pressi dell\’Esquilino ed era attraversato dal vicus Cuprius, dove in seguito furono erette la chiese di S. Maria e S. Nicola chiamate \”inter duo\”, perché si trovavano appunto fra questa strada ed il compitum Acilii, cfr. S.B. Platner – T. Ashby, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, London 1929; in più dal nome del luogo in cui sorgeva l\’ambulatorio alcuni studiosi moderni hanno voluto mettere in collegamento il conio di alcuni denari tardorepubblicani di Manio Acilio recanti nel recto e nel verso rispettivamente le dee Salus e Valetudo, la commemorazione della venuta a Roma di Arcagato, legato alla gens Acilia. Cfr. A. Abaecherli Boyce, Salus and Valetudo, Journal of the History of Medicine XIV, 1959, pp. 79-81; A.W. Zargniotti, Medical numismatics, a denarius commemorating Rome\’s first doctor, Archagathus (219 BC), Bull.N.Y.Ac.Med. XLVI, 1970, pp. 448-450 (cfr. Fig. 6-7).
[4] \”Vulnerarium eum fuisse e re dictum, mireque gratum adventum eius initio, mox a saevitia secandi urendique transisse nomen in carnificem et in taedium artem omnesque medicos, quod clarissime intellegi potest ex M. Catone…\”.
[5] Cfr. G. Penso, La medicina romana. L\’arte di Esculapio nell\’antica Roma, Saronno 1985, pp. 82-84.
[6] Cfr. W. Steidle, Zur Komposition von Plautus\’ \”Menaechmi\”, RhM CXIV, 1971, p. 260; F. Stok, Follia e malattie mentali nella medicina dell\’età romana, ANRW II, 37.3, p. 2289 ss.
[7] Per L. Baumbach, Quacks then as Now? An Examination of Medical Practice, Theory and Superstition in Plautus\’ Menaechmi, AClas XXVI, 1983, p. 100, le domande del Medicus in Men., 910-928, rivelerebbero idee correnti della medicina greca.
[8] Cfr. Men. 886-7: \”nunc cogito / utrum me dicam ducere medicum an fabrum\”, a proposito del trattamento delle fratture.
[9] Cfr. ad es. L. Gil, Arcágato, Plinio y los médicos, Habis III, 1972, pp. 87-101; Steidle, Zur Komposition…, cit., pp. 247-261.
[10] Cfr. Fenicide, Fr. 4 Edm. (III, 248), dove il medico viene descritto come un ciarlatano il cui unico effetto è quello di rendere cadaveri i suoi pazienti.
[11] E sono proprio i medici specializzati in chirurgia e traumatologia quelli ad essere maggiormente presi di mira: cfr. Gil, Arcágato, Plinio…, cit., p. 89.
[12] Cfr. Cels., De med. V, 19, 27: \”(compositio…) tertia, quae ad auctorem Archagathum refertur: misy cocti, aeris combusti, singulorum p. IIII; cerussae coctae p. VIII; resinae terebenthinae p. X; spumae argenti p. VI\”.
[13] Cfr. Cael. Aur., Chron. IV, 1, 7: \”…archagation appellatum medicamentum plurimi laudant\”.
[14] Cfr. I. Andorlini Marcone, L\’apporto dei papiri alla conoscenza della scienza medica antica, ANRW II, 37.1, pp. 462-463.
[15] Cfr. A Pazzini, Storia dell\’arte sanitaria dalle origini ad oggi, Torino 1973-74, pp. 228-229.
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