14 Agosto 2011
Comunicato eulà
Italiani, buon ferragosto?
ECONOMIA DI GUERRA E DISFATTA DELLA DEMOCRAZIA
Diciamo subito che non ci annoveriamo tra i disfattisti di ieri e di oggi, da quelli dei tempi della seconda guerra mondiale a quelli del post ’45. Diciamo subito che non ci annoveriamo tra le prefiche e i profeti di sventura. Diciamo subito che non ci annoveriamo tra i demagoghi che alzano il tono della loro voce in funzione dei tornaconti che vogliono conseguire, anche se, eccezionalmente, di solo successo emotivo tra le folle che calcavano una volta le piazze per ascoltare comizi e che oggi frequentano gli schermi televisivi e di internet. E neppure tra i becchini del nostro Paese e tra chi ne recita il de profundis. Da un anno e più, abbiamo lasciato, quasi in prima pagina, diversi nostri editoriali, a partire da << BERLUSCONI, CI STIAMO FACENDO GIA’ MALE. QUESTO UN BREVE PROMEMORIA >>, del 02 luglio 2010, per dare contezza dei ragionamenti, delle motivazioni e di memoria, per quanto su di un segmento molto breve, di quanto abbiamo scritto e di ciò che ci accingiamo più in avanti a delineare.
Il fatto è che bisogna innanzitutto e necessariamente, per onestà politica intellettuale e storica, richiamare fatti essenziali che non possono essere tralasciati. Pena l’incomprensione di quanto sta avvenendo in Italia in giorni così critici e il muoversi in maniera umorale e inconcludente su di un piano unto e inclinato. Innazitutto, il ricordare che il nostro è un Paese in cui il tasso di delinquenzialità, di corruzione e di collusione è aumentato in maniera inarrestabile con il passare degli anni. Il nostro è un popolo in cui la percentuale delle persone disposte a delinquere o che hanno più volte violato la legge nell’ambito di ciò che siamo soliti definire la sfera della “cosa pubblica” è incredibilmente elevato. Qui l’indicatore più preciso non è costituito tanto dai dati Istat, dell’interno e di grazia e giustizia, quanto dal polso che ciascuno, nell’empiria del dato concreto, in maniera affatto innegabile e credibilissima al tempo stesso avverte, al di fuori dall’estrazione politica di appartenenza – dato concreto che corrobora la mole di dati raccolti ed elaborati dai centri statistici. Un Paese intriso di delinquenzialità pubblica oltre ogni prevedibilità di realistiche diagnosi e prognosi. E non vi è dubbio che in grande misura, su scala temporale e genetica, gran parte di questa corruzione è stata ed è incessantemente generata dal regime partitocratico, ossia di partenogenesi del sistema che, se inteso come democrazia reale, ha sempre avuto poco e nulla di essa, fatto salvo – e non sempre – il dato formale.
I prossimi venti anni della discesa in campo di Silvio Berlusconi dimostrano che quasi nulla è stato fatto dai partiti e dalle coalizioni che si sono succeduti al governo. Dopo l’inizio degli anni ’90 e la ventata di richiesta di riforme giunte da ogni dove, si era dato l’avvio alla contrazione della macchina pubblica che viveva di partitocrazia e di falsa politica. Tuttavia, purtroppo, due fatti esiziali, la crescita elettorale della demagogica e spendacciona Lega e la riforma del titolo V della Costituzione operata dal governo D’Alema con Bassanini, che allargava a spese illimitate il costo della politica di un corrivo sistema partitocratico che di una sana democrazia costituiva e costituisce la contraffazione al 100%, determinarono e ancora determinano l’implosione senza fine di una pesudo-democrazia che ha imposto e che impone gravami sempre più ampi e ingiusti per il costo di una macchina corrotta e corruttrice di ciò che è oramai possibile definire come una vera e propria dittatura partitocratica.
Non ci siamo spesi nello scrivere una sola parola sulla manovra dello scorso mese di Tremonti, sicuri come eravamo che non ne valeva la pena, visto che essa non avrebbe potuto non avere il completamento in una nuova e non meno urgente manovra. Non ci sbagliavamo.
Il riconoscimento manifestato a malincuore dal premier del fatto che questa manovra bis contenga misure gravose per il mondo della politica ci allontana dal giudizio o dall’opinione di Berlusconi di molto e segna un altro spartiacque tra L’Europa della Libertà e il ruolo di un leader da noi e per noi inteso mai come carismatico ma come figura con cui bisognava necessariamente fare i conti, senza mai abbassare la guardia a difesa delle nostre analisi e dei nostri giudizi, in difesa degli interessi e dei diritti degli italiani più tartassati. L’annuncio – e ancora il semplice annuncio – che saranno tagliati 50.000 poltroncine di rendita politica segna comunque una svolta e ci riporta quanto non è stato fatto dall’inizio degli anni ’90. Questo è l’unico punto della manovra che “innova” su quanto non è stato mai fatto e che rappresentava invece una scelta obbligata e inevadibile già venti anni addietro. Su ciò, la manovra tocca in maniera ancora minima le rendite politiche e le inefficienze imposte e garantite a detrimento di un’amministrazione pubblica efficiente e virtuosa e di una democrazia reale e non millantata. Andebbero soppressi, salvo documentate eccezioni, i comuni al di sotto dei 5000 abitanti; la riforma del Titolo V della Costituzione – lesiva della difesa degli interessi nazionali a 360° – che per noi è nello “spirito” assolutamente anticostituzionale, andrebbe fatta decadere. Le regioni dovrebbe annunciare, ad iniziare dalla regione Sicilia, la volontaria revisione dei loro statuti e l’immediato taglio della retribuzione, non inferiore al 40% dei loro consiglieri regionali e delle cariche dei governi regionali e dell’ “alta” burocrazia” e l’abolizione o l’accorpamento di tanti consigli di amministrazione. Misure non meno rilevanti dovrebbero finalmente essere applicate alla magistratura – che con partecipato interesse ricorda Falcone e Borsellino e gli altri magistrati ammazzati ma mai ricorda che quanto percepivano allora i magistrati e quanto oggi essi guadagnano in dobloni d’argento e d’oro costituisce un insulto ai magistrati di allora e a tutti i cittadini italiani di oggi -, e all’altro feudo di regime, l’intoccabile Rai. Non desideriamo continuare perché gli esempi si sprecherebbero nella ripetizione che di essi facciamo da tempo.
Al cattivo esempio dato da Silvio Berlusconi non possiamo non associare tutti gli altri rappresentanti della classe politica italiana, in primis i due presidenti delle due camere e il leader del maggiore partito dell’opposizione che, nei fatti, sono sempre coriacemente solidali nella difesa degli interessi della classe che impoverisce il Paese, la classe politica, la quale pesca e prolifica in acque stagnanti e spesso assolda, a livello locale, individui torbidi, discussi, sicuramente disistimati nei loto ambienti di lavoro (se ce l’hanno) e di vita.
Le rappresentanze politiche, ad ogni livello, dovrebbero applicare la crescita delle loro spese entro parametri inferiori tra la forbice costituita dai rilevamenti dell’inflazione reale e la media degli aumenti stipendiali reali attributi agli impiegati pubblici. Non crediamo, a differenza di Silvio (che nella sua incontenibile e generalizzante demagogia non si perita di offendere i suoi migliori parlamentari), che tutti i parlamentari non facciano nulla – populismo greve e sprezzante gettato al vento a vanvera -, e non vogliamo la riduzione del numero dei parlamentari, come affermano Berlusconi, Bersani e tutti gli altri esponenti di questa classe politica. Il loro numero non andrebbe affatto diminuito. Essi gettano polvere negli occhi, ad iniziare dall’esercito dei bossoli fusi in salsa verde, per confondere e nascondere i problemi reali. Non vogliamo un aumento delle condizioni di oligarchia politica entro ci si sorregge l’odierna partitocrazia, ma una selezione accurata dei candidati da proporre agli elettori e una legge elettorale a collegio unico al senato e con ripristino delle circoscrizioni e delle preferenze alla camera.
Su Tremonti, cosa dire? Si è rivelato il sempliciotto difensore di pingui interessi precostituiti di pochi italiani sulla stragrande maggioranza, ha continuato a perpetrare sciocchezze dannose e inaudite nel sopprimere ciò che andava salvaguardato, ha applicato le regole della geometria elementare con il gioco dei rinnovati tagli lineari e con la spremitura delle liquidazioni dei pensionandi pubblici. Ha ancora una volta dimostrato che non rientra nel suo panorama intellettuale e politico il concetto di proporzionalità.Ulteriore conferma che la classe politica da decenni ha attinto ai prof. universitari più cinici e spregiudicati e, sia detto per inciso, ai veri assassini delle scuole secondarie italiane, nella più totale complicità con la Cisl e la Cgil.
Le tempeste finanziarie che colpiscono l’Occidente hanno cause in gran parte endogene, in particolare negli Stati Uniti, e di esse i governanti occidentali ne sono ampiamente responsabili per avere tenuto al di fuori del controllo pubblico ciò che oggi, in età informatica, è impossibile continuare a lasciar fare al di fuori di ferrei controlli, cioè il mondo degli investimenti e degli arricchimenti e impoverimenti virtuali. Esso porta in sé vantaggi enormi difficilmente colmabili, grazie alla natura stessa della finanza cibernetica. Per gli Stati e per le organizzazioni internazionali, dunque, ciò costituisce un dato di primaria e insostituibile difesa. Il particolare dato dell’Italia con il suo elevatissimo debito pubblico – debito interamente partitocratico – indica che i nostri governanti dovrebbero avere maggiori prontezze reattive all’interno della UE e degli organismi internazionali per non lasciarsi sopraffare dalle linee guida della speculazione e della BCE. Ma essi hanno dimostrato di non esserne all’altezza. E a poco giova discettare su elementi a buon pro dell’Italia, quali la solidità del sistema bancario nazionale e la credibilità dei pagherò rilasciati dal tesoro. Si sa che i fluttuanti indici che favoriscono i buoni pluriennali tedeschi su quelli italiani sono mossi per una serie di altri fini, ma che essi hanno buon gioco soprattutto per la scarsa credibilità del sistema politico italiano, costosissimo, assolutamente non credibile inefficiente, colluso,corrotto concusso. Alla faccia di Schifani e di Fini, che affermano che il costo della politica non va toccato. Un minestrone che i partiti ci vorrebbero continuare a far pagare, e che la finanza pubblica davvero ci fa pagare, con lacrime e sangue sempre per gli stessi. Vero, Silvio?
POLITICA. BERLUSCONI, CI STIAMO FACENDO GIA’ MALE. QUESTO UN BREVE PROMEMORIA
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