Debiti sovrani e prevedibilità odierna del futuro prossimo

09 Settembre 2011

Enea Franza

 

La fiducia ed il debito

 

Quella che passerà alla storia come la crisi dell’estate del 2011 è, in realtà, una crisi dei debiti sovrani. In primo luogo, i Paesi dell’eurozona e, questa volta, anche gli USA vedono aprirsi davanti a loro lo spettro di non riuscire più a finanziare i loro enormi debiti pubblici con l’emissione di titoli di debito.
Come gli economisti sanno molto bene, la questione è ancora più ingarbugliata, atteso che l’enorme disponibilità in valuta di Paesi come la Cina ed il Giappone rende difficile anche l’utilizzo della c.d. leva monetaria per svalutare la valuta di emissione del debito e, cosi ridurne l’importo reale.
In definitiva, cosa sta succedendo? E’ certamente una crisi di fiducia nella capacità dei maggiori Paesi debitori del Mediterraneo di ripagare i propri debiti o, invece, c’è dell’altro? Qual’è il motivo per cui, in maniera apparentemente così repentina, gli appetitosi bond emessi dai Paesi dell’Area Euro non riscuotono più la fiducia dei risparmiatori? Per capirci qualche cosa, verifichiamo come, in un ipotizzato libero mercato finanziario, si creino dei movimenti di fiducia nello sviluppo e nella crescita di un Paese e come d’improvviso tale aspettativa si dissolva fino a degenerare in una vera e propria crisi. In tal modo, passeremo a individuare le caratteristiche che fanno dell’acquisto di un titolo di stato un buon investimento.
Partha Dasgupta, docente di Economia all’Università di Cambridge e Fellow del St John’s College, membro di prestigiose accademie e comitati scientifici, nonché uno dei maggiori economisti mondiali (tra i suoi libri pubblicati in italiano ricordiamo: “Benessere umano e ambiente naturale (Vita e Pensiero 2004) e Povertà, ambiente e società”; “Il ruolo del capitale naturale e del capitale sociale nello sviluppo economico” (Il Mulino 2007), ha passato la vita ad occuparsi delle relazioni tra ambiente, sviluppo economico e capitale sociale dimostrando come sia in realtà tutta la struttura sociale a reggersi sul meccanismo della fiducia. L’opera e l’attività del grande economista non sono affatto isolate. Il tema della fiducia quale base dell’economia era ben nota agli economisti classici e già presente nel messaggio cristiano ed è il classico ritorno di fiamma che ha visto nei primi anni del nuovo secolo un fiorire di studi in materia. L’Enciclica “Caritas in veritate” ne ribadisce più volte la fondamentale importanza. Cosi si può leggere nel messaggio papale: « … Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare.>>. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, si sostiene dunque nella Enciclica, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Prosegue il documento papale: <<… oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave >> (n. 35). Ed ancora « Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali» (n. 5).
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia e professore alla Columbia Univerisity, attualmente considerato un mostro sacro dell’economia, ritiene che la fiducia sia la base del sistema, ma che essa debba essere basata su fondamenti solidi. Le azioni che caratterizzano lo “scambio economico” sono normalmente azioni non sincronizzate. Ad esempio, quando andiamo al supermercato e acquistiamo, in realtà facciamo uno scambio: prendiamo un prodotto di cui abbiamo bisogno e diamo in pagamento del denaro. A monte dello scambio c’è proprio la “fiducia”, da intendere come un sentimento di sicurezza, o meglio di affidamento, verso qualcuno dal quale ci si aspetta un comportamento da cui si può trarre beneficio. Chi acquista il prodotto confezionato, infatti, parte dal presupposto che nella confezione ci sia esattamente ciò che si aspetto ed è a fronte di questa aspettativa che dà il suo denaro. Così come chi riceve il pagamento parte dal presupposto che il denaro consegnatogli sia buono. Perché lo scambio sia continuo, è necessario che ci sia fiducia nella risposta alle personali aspettative. E questo può essere assicurato solo dalla lealtà dei contraenti e/o dalla capacità del sistema di assicurante il rispetto delle leggi.
Aiutiamoci con un esempio fatto da altri due grandi economisti, Akerlof e Shiller in “Animal Spirits:How Human Psychology Drives the Economy”, and in “Why It Matters for Global Capitalism”. George A. Akerlof and Robert J. Shiller, 2009, nel loro ultimo “Spiriti animali. Come la natura umana può salvare l’economia”, per capire di cosa effettivamente parliamo. argomentano: “nessuno costruirebbe una casa a New Orleans dopo il passaggio dell’uragano Katrina per la paura di essere l’unico a esporsi in un’area disastrata; ma se qualcuno cominciasse perché fiducioso nel ritorno di una sufficiente popolazione, allora ne arriverebbero altri e l’intera città risorgerebbe”. Esistono perciò due equilibri. Uno “negativo”, in cui New Orleans resta una palude, ed uno “positivo” (quello della fiducia, appunto) dove New Orleans risorge. In definitiva, sembra che proprio in base alla presenza dell’elemento della fiducia (che altri verranno a ricostruire la propria abitazione), che si sposta l’ago della bilancia a favore di una delle possibili alternative; In altre parole, aiutare la fiducia nella ricostruzione avvia il processo di ricostruzione stessa. Il meccanismo del ciclo economico starebbe negli stessi binari: se nessuno investe o spende, si formano aspettative buie e si tenderà a “chiudersi”? Se si vedranno segnali di dinamismo, ci si lancerà invece ad investire o spendere e questo riattiverà il circuito economico risolvendo la crisi.
Ne deriva che: “nei periodi positivi, la gente si fida: prende decisioni in modo spontaneo, sa istintivamente che avrà successo, è meno sospettosa […] quando la fiducia svanisce, la marea cala, rivelando la nudità delle loro decisioni”. Come si vede, il ragionamento seguito fino ad ora lascia non pochi dubbi e si focalizza essenzialmente nella natura “fideistica” della fiducia: se io credo, essenzialmente in modo istintivo, animale, che le cose andranno in un certo modo agirò di conseguenza; e non posso che comportarmi così, istintivamente, perché non sono un soggetto razionale che ha tutte le informazioni che mi servono. Nella sostanza, agisco così come mi viene, come “credo”, inclino a vedere ciò che va fatto (entro una cornice di “credito” e sicurezza derivati da consuetudine). La spiegazione fornita non è certamente luce perché ad un certo punto è soggetta al cambiamento imprevedibile di direzione del vento e non dà contezza neppure come l’iniziale assenso, convincimento e, perfino, euforia si siano formati.
Più dettagli capaci di spiegare razionalmente il preteso comportamento animale ce li fornisce Kahneman, economista israeliano, professore all’Università di Princeton ed uno dei fondatori della c.d. finanza comportamentale. L’economista spiegherebbe i comportamenti economici imputandoli ai neuroni-specchio, cioè neuroni che ci fanno imitare i comportamenti più adottati dai nostri simili. Essi portano ad imitare i comportamenti dei nostri simili che non necessariamente si comprendono ma che sembrano sulla base dell’esperienza sortire effetti per noi positivi. Si tratta cioè di una generalizzazione del “comportamento del gregge” (herd behaviour), per cui una massa di soggetti consapevoli della limitatezza delle loro informazioni o degli strumenti di analisi tendono a seguire coloro che prendono una certa strada, confidando che se questi hanno intrapreso un percorso ciò sia dovuto in forza di più precise informazioni e capacità di analisi. Quindi, vedendo qualcuno costruire una casa in una disastrata New Orleans, è lecito pensare che questo abbia una qualche informazione a supporto che noi non abbiamo, e questo spinge qualcuno ad imitarlo (in un certo senso, l’esempio ci dà coraggio); man mano che si aggiungono persone la forza di “attrazione” di questo comportamento imitativo incrementa, trascinando infine una massa tale da ricostruire la città.
Per cui, se accettiamo una tale spiegazione, che attinge ad ambiti primariamente non economici ma biologici ed etologici, psicologici, sociologici, filosofici, è possibile addirittura spiegare il moto di “fiducia” sottostante ad un boom economico (ma pure una bolla qualsiasi, o una qualsiasi tendenza dell’attività umana) come un semplice comportamento imitativo razionale, senza rivolgersi ad entità fumose come gli “spiriti animali” della cultura secentesca. Tuttavia, anche tale interpretazione lascia inspiegato chi sia e cosa muove il pioniere ad intraprendere, ovvero, ad aprire la strada e perché proprio il comportamento del pioniere , e non di altri, che verrà seguito. Sulle motivazioni del c.d. pioniere potremmo ritenere che, nel caso della ricostruzione della casa distrutta, ci sia qualcuno con un legame affettivo particolarmente forte con il luogo (ad esempio, è proprietario del terreno e cerca di recuperarne un po’ di valore), o qualcuno che sconti adeguatamente il fatto che lo Stato non lascerà quel disastro, ma fornirà mezzi e denaro per ricostruire la città, quindi tanto vale cominciare subito avvantaggiandosi delle agevolazioni esistenti in quanto appunto “primo a muoversi”. Se i pionieri si moltiplicheranno, in quanto sono in diversi ad avere la stessa visione, il gregge seguirà; viceversa, i nostri pionieri rimarranno da soli, pagando l’eventuale scotto, che può consistere anche nel fallimento dell’impresa avviata.
Veniamo nuovamente al punto: cosa crea il meccanismo della fiducia? Non si ha fiducia così…., a prescindere, la si ha perché si seguono gli esempi di chi si ritiene più competente e/o più intraprendente e, perché, facendo riferimento alla nostra esperienza e cultura, si matura la convinzione che quella via è stata finora premiante e che coloro che hanno deciso per tale scelta sono stati ricompensati. Così, al contrario, la fiducia svanisce quando le condizioni non sono più le stesse, gli eccessi si dimostrano insostenibili, e si creano razionali meccanismi di fuga da ciò che si è rivelato una trappola. E quando non sai cosa fare, ma gli altri fuggono, cominci intanto a correre …
Bene, accettata l’idea che alla base del rapporto economico ci sia un atto di fiducia, e lasciate da parte altre possibili citazioni in merito tratte dagli economisti classici, vediamo di comprendere come tale rapporto si instaura nelle ipotesi di un debito sovrano, ovvero emesso da uno Stato.
Lo Stato non fallisce mai! Tutti sanno che si tratta di un luogo comune. Basta infatti aprire un buon libro di storia economica per constatare come, al di là di quello che comunemente si crede, i debiti sovrani non pagati non sono una rarità.
Ma allora, su cosa si basa la fiducia del mutuatario, ovvero, di coloro che prestano denaro agli Stati? Si può ritenere che il mutuatario esprime i propri giudizi incentrandoli oltre che sul rendimento (che riceve dal prestito) anche sulla recuperabilità del capitale investito; ovvero, in altri termini, il giudizio espresso dal possibile investitore è relativo alla complessiva sostenibilità del debitore. Pensiamoci un poco. E’ a tutti noto come, una volta ricevuto il prestito, gli Stati sovrani non siano nei fatti obbligati a ripagarlo. In assenza di un organismo che possa obbligare uno Stato sovrano al pagamento del debito, su cosa si basa la convinzione che il debito sarà ripagato? Lasciando da parte le soluzioni radicali adottate durante il periodo del gold standard che hanno visto azioni tra le azioni di rappresaglia intraprese dal creditore anche il bombardamento dei porti del debitore Ad esempio, nel 1902, a seguito della rivoluzione iniziata nel 1898, il governo venezuelano si rifiutò di ripagare il debito sovrano. Italia, Inghilterra e Germania effettuarono un blocco navale ai porti venezuelani e la Germania bombardò il porto di San Carlos. Altri casi noti sono quelli dell’Egitto nel 1882, della Grecia nel 1898 e della Turchia nel 1881, che, a seguito di episodi di default, sono stati costretti (con la forza) a cedere il controllo della propria amministrazione alle potenze europee.
(cosa oggi obbiettivamente non praticabili). L’affidamento del debitore può essere ricondotto ad una serie di considerazioni.
Una prima idea è che un meccanismo di punizione, e quindi l’obbligo implicito alla restituzione, sia costituito dalla perdita di reputazione sui mercati finanziari internazionali. Cioè, in altre parole, i Paesi debitori cercherebbero di onorare i propri impegni temendo che, in caso contrario, verrebbero esclusi dai mercati finanziari. La sanzione sta nell’impossibilità di ottenere in futuro ulteriori prestiti.
Alla incapacità di attingere a nuovi fondi, si accompagnerebbe, peraltro, il timore di compromettere i rapporti di natura politica che legano il Paese agli altri Stati sovrani.
Riflettiamo su tali osservazioni. Questa idea, per quanto di moda, è contraddetta, tuttavia, sia dalla prassi (sono infiniti i casi in cui il default di un Paese non ha chiuso a questo le porte del rifinanziamento, se non per un breve periodo), sia a livello teorico, in quanto è conveniente anche al creditore continuare ad intrattenere rapporti con l’emittente, non fosse altro per poter comunque cercare di ricavare qualche cosa dai titoli in possesso. Neanche ci convince la tesi di coloro che ritengono che il freno alla tentazione di non restituire il prestito possa venire dai creditori che, di fronte al mancato pagamento, potrebbero rivalersi sulle attività detenute all’estero dal paese in default. In tal caso va notato che tali attività sono in genere di scarso ammontare, se raffrontate al valore del debito di uno Stato sovrano (si tratta di ambasciate, sedi consolari ecc).
Molti studi empirici dimostrano che il danno maggiore viene probabilmente dalla minaccia di sanzioni commerciali. In effetti nei casi di default, totale o parziale sul debito, si determina una rilevante contrazione dei flussi di commercio bilaterale, attraverso una riduzione del credito commerciale che in genere subisce un brusco rallentamento a seguito del default di uno Stato sovrano. Un’ulteriore conseguenza temuta dagli Stati sembrerebbe essere il maggior costo dell’indebitamento che normalmente segue il rifinanziamento di un Paese che ha fatto default.
Bene, chiarito il punto, vediamo allora cosa induce un risparmiatore a non rifinanziare un debito sovrano, oppure, ad aderire al prestito finanziando la spesa di un Paese.
Per fare ciò, rispondiamo in primo luogo a questa domanda: quale è il primo livello di verifica circa la sostenibilità del debitore? Le società di rating vantano una ultra decennale esperienza circa la valutazione dei debiti emessi da Stati, sulla cui bontà tuttavia non mi esprimo. E’però molto utile riflettere sulle metodologie usate, in quanto evidenziano gli sforzi fatti fino ad ora per affrontare un tema non facile. Conviene rinviare il punto ad una successiva analisi al fine di non annoiare i lettori più di tanto: penso condividiate che, in larga misura, la solvibilità a lungo termine di uno Stato dipenda dalle sue entrate fiscali future.
Bene, adesso se le cose stanno cosi, occorre osservare che questo richiede che vi sia base fiscale sostenibile, che poggia principalmente su beni e servizi futuri. Questi, a loro volta, dipendono dalla disponibilità di risorse naturali, sociali ed economiche del Paese, e dalla sua efficienza nel convertire tali risorse in beni e servizi disponibili. In altre parole, solo la crescita può garantire il pagamento del debito.
La conclusione è che, come nel caso della crisi del debito dei Paesi dell’Europa meridionale, sono proprio quegli Stati che non solo vivono al di sopra delle loro possibilità finanziarie ma che non investono per lo sviluppo che cadono più facilmente in crisi. Forse, tale intuitiva ragione spiega la caduta della fiducia nei debiti pubblici di molti Paesi dell’Occidente e apre ad una seconda e più importante considerazione che è sotto gli occhi di tutti.
L’Occidente è in declino e con esso il proprio modello culturale. Adesso se ne sono accorti anche i mercati finanziari …

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