Lavoro: benessere personale e benessere organizzativo
Da: Benessere Personale e Benessere Organizzativo: Un Binomio Possibile? di Maria Grazia De Angelis, Franco Angeli Editore:
Impresa
I ndubbiamente l’attività lavorativa e il ruolo occupato nel lavoro svolgono una funzione di rilievo sull’equilibrio generale di una persona. Ciò spiega perché una difficoltà che riguarda il campo lavorativo acquisti una valenza tale da influire sulla realtà individuale anche dal punto di vista psicologico e psicosomatico. Purtroppo sono molti i lavoratori che, a prescindere dal ruolo ricoperto, non amano il contesto organizzativo e gestionale a cui sono costretti ad uniformarsi in quanto sentono che non favorisce il proprio benessere, le proprie aspirazioni, né la loro creatività. Avvertono, pertanto, l’esigenza di modelli diversi da quelli a cui sono costretti ad omologarsi, modelli che siano basati su un concetto nuovo di lavoro che tenga conto o almeno conosca le esigenze delle persone, sforzandosi di integrare realizzazione personale e successo economico e al tempo stesso di rispettare le regole che sovraintendono il buon funzionamento del sistema “impresa”. Varie esperienze e ricerche confermano che, sebbene sia vero che molti lavori non sono amabili, le principali cause di disagio lavorativo e stress derivano soprattutto da specifiche condizioni dell’organizzazione del lavoro: • l’ignorare la valenza delle condizioni lavorative (disorganizzazione, scarsa chiarezza nella definizione di ruoli e responsabilità, tipologia dell’incarico non corrispondente alla qualifica, inadeguatezza o mancanza di strumenti di lavoro) • l’adottare modalità di relazioni e sistemi di gestione non adeguati (ignorare la presenza del lavoratore, ostacolarne la vita sociale, adottare atteggiamenti tesi all’umiliazione del lavoratore, svalutare il lavoro svolto, adottare sistemi retributivi e criteri di avanzamento di carriera non equi) • il sottovalutare l’importanza di “lavorare sull’organizzazione aziendale” per farne un contesto capace di liberare le intelligenze delle persone • l’avallare comportamenti non etici o comunque non allineati con i valori proclamati. Anche numerose sentenze dimostrano che il disagio lavorativo (così come il mobbing) è essenzialmente un problema di cattiva organizzazione e/o comunicazione, di inadeguata definizione di ruoli e responsabilità, di inefficaci criteri di gestione delle risorse umane, di obsoleti strumenti di lavoro, di competenze non valorizzate, di mancanza di concertazione/ conoscenza/condivisione delle strategie aziendali, in quanto trattasi di aspetti della vita lavorativa che possono creare le condizioni favorevoli perché la perversità umana si manifesti, le fonti di stress aumentino, il clima organizzativo diventi più instabile.
In realtà vivere bene o vivere male, vivere in armonia o vivere in perenne discordia con se stessi e con gli altri non rappresenta solo un dilemma individuale, relegato alla sensibilità o all’iniziativa dei singoli manager; ma può dipendere anche da una precisa scelta culturale e * esperta organizzazione aziendale, presidente AISL_O
M.G. De Angelis*
Il benessere dei lavoratori e delle imprese può convivere all’interno dello stesso contesto? La riaffermazione degli obiettivi delle imprese si discosta davvero così tanto dall’area della tutela dei diritti di chi vi lavora? In un nuovo suo libro Maria Grazia De Angelis, da sempre autrice apprezzata del nostro magazine intende rispondere a questa domanda mettendone sul tavolo le domande e proponendo soluzioni, in primis quella di una “nuova impresa caratterizzata da un’identità di sintesi fra gli obiettivi aziendali e la tutela della dignità dei lavoratori.
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organizzativa dei vertici aziendali. In particolare, dall’attenzione posta alla distribuzione di poteri, responsabilità e carichi di lavoro e da come si intende investire in iniziative finalizzate a migliorare la qualità della vita dei dipendenti, le competenze gestionali della classe manageriale, i sistemi di prevenzione e sicurezza. Sebbene la nostra Costituzioneda tempo abbia sottolineato alcuni principi a tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori (per esempio l’art. 32 , comma 1, prescrive “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e l’art. 41 premette che “l’iniziativa economica privata é libera” e dispone che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”) è importante sottolineare che solo in questo ultimo ventennio il rispetto di tali principi viene percepito come un vero e proprio must per ilsuccesso d’impresa. È innegabile che per troppo tempo l’atteggiamento dalla classe imprenditoriale negli anni ha condizionato significativamente (spesso anche per mancanza di managerialità) quelle scelte strategiche aziendali che, ponendo la persona al centro del processo lavorativo, puntano ad una crescita della produttività e della qualità del prodotto/servizio agendo anche sulle modalità organizzative, sulle condizioni di lavoro e pertanto sulla tensione verso il raggiungimento di uno stato diffuso di benessere psicofisico del dipendente.
In pratica, nonostante da anni si parli dicoinvolgimento del personale a tutti i livelli della gerarchia, le aziende tendono ancora a conservare un’impostazione del lavoro fortemente gerarchica, che scinde i pensatori che pianificano, organizzano, decidono, dagli esecutori che si limitano ad obbedire, ma sono poco stimolati al senso d’iniziativa. Questa tradizionale struttura, di stile verticista, è una delle cause più comuni di improduttività aziendale perché: • limita l’utilizzo del potenziale umano a disposizione, • impedisce all’azienda di affrontare dinamicamente il cambiamento, in quanto solo i pensatori sono responsabili di promuoverlo, mentre gli esecutori, non avendo un ruolo attivo lo vivranno più come una minaccia alla propria sicurezza che come un’opportunità di miglioramento aziendale e di crescita personale,• è spesso causa di frustrazione nel dipendente che vorrebbe essere un attore della vita aziendale ma viene declassato a comparsa.rsa. In queste condizioni l’azienda, cosiddetta verticistica, genera al suointerno insoddisfazione e staticità poiché impedisce sia la necessaria capacità di adattamento alle mutevoli situazioni di mercato sia la valorizzazione di tutto il capitale umano che in essa opera. L’attenzione al problema in Italia è stata per anni molto scarsa, anche da parte delle organizzazioni sindacali, solo in data 9 giugno 2008 è stato siglato l’accordo interconfederale per il recepimento dell’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato che era stato concluso fin dal 8 ottobre 2004 ed è stato identificato lo stress da lavoro, a livello europeo, nazionale ed internazionale, come elemento di preoccupazione sia per gli imprenditori che per i lavoratori, avendo individuato la necessità di una specifica azione congiunta su questo tema. Nell’accordo si sancisce il principio che «il compito di stabilire le misure spetta al datore di lavoro, ma la loro adozione deve vedere la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/odei loro rappresentanti». È importante questo segnale che ridà vigore e significato alla contrattazione collettiva europea e, a livello nazionale, allostesso strumento dell’Accordo interconfederale,sempre più raro nel panorama recente delle relazioni sindacali.