Spread, spremiture e soliti marchingegni. Monti gioca sulla pelle dei soliti

10 Gennaio 2012

Enea Franza

 

Nessuna concreta nuova, soliti stereotipi, troppo poco e troppo tardi

 Nessuno scarto tra Bot e Bund ci farà fallire: vi è solo la grassa speculazione del “mercato” che spreme

A questo punto sia chiaro che non ha certamente senso chiedersi se convenga comprare un titolo tedesco, in quanto più sicuro. – E se l’Italia non fallisse? Bene, tutti coloro che hanno acquistato BTP avranno fatto un ottimo affare. Da notare che – gioco strano quello dell’economia – il business lo ha fatto con i sacrifici degli italiani colpiti dalla manovra: pensionati e lavoratori statali. – E’ certo che il sistema attuale è squilibrato a favore dei renitier e, che la protezione di una larga fetta della popolazione italiana passa attraverso il loro stesso esclusivo sacrificio. Per quanto tempo ancora si potrà andare avanti ?

 

E’ il 10 gennaio 2012, e ad oltre 100 giorni dall’insediamento del nuovo Governo Monti, lo spread – vocabolo entrato da un po’ di tempo nel linguaggio comune in sostituzione degli italianissimi termini scarto o margine – dei buoni poliennali del Tesoro a 10 anni rispetto al bond decennale tedesco è intorno ai 527 punti. Un livello non di molto inferiore a quello toccato nel recente passato con il governo Berlusconi.
Prima di addentrarci in più temerarie interpretazioni del significato di tale misura, vediamo meglio il senso che ha tale grandezza, ed in primo luogo cerchiamo di comprendere cosa esso esprima. Cominciamo con un esempio: se un BTP con una certa scadenza ha un rendimento del 7% ed il corrispettivo Bund Tedesco con la stessa scadenza ha un rendimento del 3%, allora lo spread sarà di 7 – 3 = 4 punti percentuali, ovvero, di 400 punti base.
Si è detto, dunque, che lo spread mette a confronto due rendimenti. Ma cosa è, e soprattutto come si calcolano le grandezze messe a confronto? Vediamo di comprendere come fare. Infatti, uno degli aspetti spesso non del tutto immediati in ambito obbligazionario è come determinare il rendimento di un titolo. Finché si sottoscrive o si acquista un titolo “alla pari”, cioè pagandolo esattamente il suo valore nominale, non sorgono problemi.
Ad esempio, acquistando un titolo che paga un interesse annuo del 5% e pagandolo 100 euro per ogni 100 di valore nominale, il rendimento sarà pari al 5%. Se però acquistiamo il titolo pagandolo 102, allora il calcolo è diverso ed un po’ più complicato. Il tasso di rendimento, infatti, si determina attualizzando i flussi di cassa pagati dall’obbligazione, compreso il rimborso del capitale e confrontando i flussi attualizzati con il prezzo di sottoscrizione. Il tasso di attualizzazione che eguaglia la somma dei flussi di cassa con il prezzo di sottoscrizione è il tasso di rendimento che cerchiamo. Facciamo un esempio: un titolo ha scadenza tra tre anni, quando ci verrà rimborsato al valore nominale per 100 euro. In più, ogni anno, paga un interesse del 5%, cioè di 5 euro. Il prezzo di sottoscrizione è di 102 euro. Ora, iniziamo con l’attualizzare i flussi di cassa. L’interesse del primo anno si attualizza con questa formula: 5/(1+r), dove r è il tasso di rendimento che ora non conosciamo. L’interesse del secondo anno si attualizza in questo modo: 5/(1+r)^2, dove r è sempre il tasso di attualizzazione e ^ è il simbolo di elevamento a potenza. L’interesse del terzo anno si attualizza in questo modo: 5/(1+r)^3. Se la durata fosse superiore, si procede sempre in questo modo: l’interesse del quarto anno richiede di elevare il denominatore alla quarta, quello del quinto anno alla quinta, ecc. Ora, dobbiamo attualizzare il capitale. La formula è: 100/(1+r)^3. Il denominatore viene elevato alla terza perché la durata ipotizzata è di tre anni. Se fosse stata, ad esempio, di 5 anni, bisognava elevare il denominatore alla quinta. A questo punto, attraverso una serie di tentativi o attraverso un applicativo ad hoc che faccia i calcoli per noi, possiamo individuare il valore di r che è 4,28%.
Tutto ciò premesso, penso sia ora chiaro che, allorquando si parla di spread, ci si riferisce nella sostanza ad un ricarico che colpisce gli interessi, che nel caso del nostro esempio sono pagati sui BTP rispetto ad un investimento di pari importo e stessa scadenza fatto in Bund. Ma cosa esprime tale ricarico, che l’emittente (nel nostro esempio lo Stato Italiano) paga al sottoscrittore del prestito, generalmente una Banca ?
Il presupposto da cui si parte è che il rendimento di un titolo di stato rappresenta anche il suo livello di rischio: più è alto il rendimento, maggiore sarà il rischio che l’emittente non paghi le cedole e non rimborsi il capitale alla scadenza. A parti invertite, minore è il rendimento e minore sarà il rischio dell’obbligazione. In quest’ottica, se lo spread tra Btp e Bund aumenta, significa che il rendimento del nostro Btp sta aumentando nei confronti del rendimento offerto da un’obbligazione ritenuta sicura come il Bund. Se il rendimento del Btp aumenta, significa che il mercato percepisce il nostro titolo di stato come meno sicuro rispetto all’equivalente tedesco. Se lo spread aumenta, significa che il mercato giudica in aumento il rischio default per l’Italia, ossia giudica l’Italia sempre meno affidabile. In pratica quando lo spread tra Btp e Bund aumenta significa che i nostri titoli di stato perdono prezzo e quindi rendono di più poiché sono percepiti come sempre più rischiosi. Il governo nazionale, quindi, per fare acquistare i titoli di stato, dovrà offrire cedole più elevate agli acquirenti, facendo così accrescere il deficit statale.
Ciò premesso rispondiamo ad una semplice serie di questioni. Penso che a questo punto sia chiaro che non ha certamente senso chiedersi se convenga comprare un titolo tedesco, in quanto più sicuro. Lo spread assicura, infatti, proprio del default dello Stato italiano. Posto uno spread a 500 punti, ad esempio, ciò vuol dire che il mercato livella BTP e bund tedesco scontando il default dell’Italia.
E se l’Italia non fallisse? Bene, tutti coloro che hanno acquistato BTP avranno fatto un ottimo affare. Da notare che – gioco strano quello dell’economia – il business lo ha fatto con i sacrifici degli italiani colpiti dalla manovra: Pensionati e lavoratori statali. Essi, infatti, si sono sobbarcati il costo di garantire che i nostri BTP arrivino a scadenza superando il fatidico quinto anno. Se, infatti, la manovra non avesse avuto luogo, le pressioni sul debito italiano e soprattutto il mancato rinnovo delle tranche in scadenza avrebbero provocato il default, cioè l’impossibilità di far fronte al pagamento dei debiti in scadenza. Probabilmente a questo non si sarebbe arrivato – come poi effettivamente è stato – ma è certo che il sistema attuale è squilibrato a favore dei renitier e che la protezione di una larga fetta della popolazione italiana passa attraverso il loro stesso esclusivo sacrificio. Per quanto tempo ancora si potrà andare avanti ?