Politica. Quirinale e governo

21 Febbraio 2012

riproposto il 26 Febbraio 2012

Domenico Cambareri

 

Scorcio d’insieme sulle miserie partitocratiche e sull’azione di “salvezza nazionale” della squadra Monti

Esigenze nazionali, programma politico ed equità dispersa

Perché “Quirinale a parte” – 1952, classe di renitenti e le mani nelle tasche degli altri – Perché Monti non inaugura un filo diretto d’informazione quotidiana con i cittadini, senza paura di scavalcare il parlamento e i media e senza tema di essere accusato di volere instaurare una democrazia diretta? – Tenere in vita solo le strutture regionali della Corte dei Conti, abolire subito tutto il resto – Quando il governo bloccherà definitivamente l’attuazione del dispendioso e sciagurato federalismo e promuoverà un decreto legge ad hoc, il primo unico e vero decreto salva Italia?

 

 

 

 

Nel corso di tutte queste settimane, è stata frequente la richiesta da parte di amici del perché mai si evitasse così insistentemente di attaccare il Quirinale per le scelte del governo, in particolare per l’increscioso quanto incredibile modus operandi del duo Monti – Fornero, e di quello che sembra – con tutto il rispetto possibile, ma in politica bisogna essere a volte estremamente franchi, anche nei concetti che si vogliono esprimere -, nient’altro che lo zerbino del predetto duo Monti – Fornero e di Brunetta e del suo disastroso lascito (nonostante le larghe aspettative suscitata e l’iniziale ampio credito da noi offerto).
Visto che di carne sul fuoco ce n’è molta, veniamo subito al dunque. A nostro parere, il Quirinale ha dirette responsabilità per quanto attiene ai suoi poteri di firma, e non già perché consideriamo questo governo – per quanto fortemente voluto e supportato e garantito e fatto nascere dal Capo dello Stato non meno che da Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani. Questo governo, pur in presenza di tutti i distinguo possibili e di tutte le eccezioni di storia costituzionale e parlamentare eccepibili, non è altro che un regolare governo in carica, un governo politico formato da una squadra di “tecnici” in parte essi stessi da ricondurre al solco della politica, che fruisce, come orami sentiamo dire tutti i giorni dal Casincasotto in testa, di una specifica maggioranza parlamentare. Governo che risponde formalmente al parlamento e non al capo dello Stato. Nella realtà nuda e cruda delle cose, tuttavia, questo governo conserva una caratura di eccezionalità notevole, perché è venuto in soccorso e surroga dell’impotenza generale espressa dal parlamento e da ogni possibile esercizio di governo nato da un voto parlamentare inteso in senso di coalizione partitica ma secondo le vigenti prassi della partitocrazia italiana. Il governo Monti è, insomma, qualcosa in meno di quello che proponevamo e di quello che ci aspettavamo, qualcosa in più di quello che non ci sarebbe potuto essere. Qualcosa che proponevamo in assoluto tra i primi in Italia.
Il capo dello Stato avrebbe potuto e dovuto, a nostro parere, non apporre la firma al primo decreto, il fantapolitico e famigerato “salvaItalia”, visto che in passaggi cruciali esso veniva a ledere in maniera vistosa e radicale la certezza delle leggi e del godimento dei diritti di parte di ben definite platee di lavoratori , i quali così venivano colpiti in maniera assolutamente differenziata, sproporzionale, irrazionale e arbitraria dal governo. Per intenderci, ci riferiamo in primis a quelli indicati in sintesi come classe 1952 e assimilabili. Per di più, alla certezza del diritto il governo sostituiva la certezza della penalità ingiusta. Ingiustizia su ingiustizia, inaccettabili anche in uno Stato non fondato sul diritto.
Perché abbiamo ritenuto doveroso non attaccare il Quirinale e dire subito la nostra nel merito? Perché abbiamo ritenuto necessario, e ancora oggi riteniamo utile, che lo spazio d’azione del Quirinale venga tenuto il più possibile sgombro, libero affinché il presidente della Repubblica, in una fase indubbiamente particolarmente critica nella vita della Nazione, possa esplicare nel breve termine e nelle migliori condizioni possibili e opportune un’appropriata azione di “moral and political suasion”, di convincimento pacato su una materia così delicata resa esplosiva dall’accecata, imprevidente e repentina determinazione assunta dal governo con assoluta miopia.
Noi riteniamo non chiuso perché non è possibile affatto chiuderlo, questo capitolo. Esso è dolorosamente aperto e aspetta un rimedio appropriato e una soluzione definitiva dal governo con un suo esplicito retromarcia e, finalmente, tanto di scuse ufficiali ai cittadini così selvaggiamente e pazzescamente colpiti. Bene quindi che il governo non abbia inserito una ”sanatoria” della sua esaltazione e ubriacatura della prim’ora nel decreto mille proroghe. Esso dovrà appositamente e specificamente preparare un decreto in cui a tutto tondo dichiari il ripristino della legalità in merito alle ultime finestre d’uscita, il rispetto del diritto in godimento così maldestramente – in un contesto diverso diremmo, senza abusare, delinquenziale – scippato a chi ne godeva il diritto e aspettava la pubblicazione delle circolari per presentare la regolare domanda di quiescenza.
Bene sanno Monti e Fornero e Patroni Griffi e … Brunetta e Tremonti e … Bassanini che l’Italia non si salva neppure dell’un per mille vulnerando in maniera cotanto plateale le norme giuridiche e i diritti di una ristretta platea di cittadini, sui quali la manovra viene a cadere in maniera ingiustificatamente punitiva, con insensata e aberrante caparbietà, cittadini che vengono trattati ancora peggio di persone che scontano delle pene, soggette alla salvaguardia di precise garanzie. Di fronte a tutto ciò non vi è giustificazione alcuna che tenga, anche la più surrettizia, astuta, scenografica e bizzarramente falsa. E noi oggi non abbiamo bisogno di un ulteriore governo taroccato, un governo da tacciare perché protagonista di ulteriori infamie che allontanano e rendono nemici della cosa pubblica e, giustamente, della “parvenza dell’equità” delle leggi i cittadini così danneggiati e feriti.
Durante il suo tour di lavoro tra Bruxelles e Berlino delle scorse settimane, Monti ha ricevuto tante gratificazioni per aver proclamato il passaggio alla nuova fase dell’azione governativa dichiarando   lotta senza tregua a chi mette le mani nelle tasche degli altri. Per non parlare della marmellata con cui è stato imbottito oltre Atlantico. Anche in questi casi, abbiamo preferito il silenzio e aspettare.
Cosa c’era e cosa c’è da dire di fronte a questa interessata e insussistente esaltazione mediatica, di cui lo stesso Monti indubbiamente si sarà reso conto per primo? Che il premier è da correggere, e da bacchettare. Infatti, a voler considerare il suo proclama salva Italia con tutta la migliore disponibilità d’animo, non possiamo non rilevare e cestinare la sua assurda contraddizione di avere sbandierato a dicembre un decreto definito appunto salva Italia, quando con esso veniva a colpire in maniera indiscriminata e cinicamente difforme i cittadini, laddove allora avrebbe dovuto innanzitutto inserire le misure che lui stesso ha indicato per la fase due. Infatti, come il mondo intero sa, il primo grande problema delle casse pubbliche italiane è costituito dall’esportazione di capitali all’estero e dalla connessa grande evasione fiscale, cioè da chi mette le mani nelle tasche degli altri alla grande; e non già l’assumere detestabilissime misure nel settore previdenziale con la meschina scusa di … dire che lo si faceva per le giovani generazioni. Assurdità che lascia di stucco anche il meno informato e il meno previdente osservatore, giacché e semmai perché essa è venuta simultaneamente a chiudere i pur piccoli spazi di assunzioni di giovani nel pubblico e nel privato!
A tutto ciò, ripetiamo, il governo dovrà porre non una pezza ma rimedio e alla luce del sole riconoscendo l’iniquità della sua azione miope e intempestiva e il suo marchiano errore, emendando il testo. Su questo, confidiamo nella funzione e nel ruolo, ovattati, che spettano al capo dello Stato, a Giorgio Napolitano. Una ritrovata coerenza di Monti e della sua ministra non potrebbero che portare maggiore attenzione e credito nell’opinione pubblica e risanare il vulnus arrecato, riavvicinando i lavoratori ingiustamente defraudati e la cosa pubblica.
Non possiamo condensare e ridurre l’azione del governo a questo pateracchio in cui ancora si tiene ingolfato. Riconosciamo che sta pure agendo, con misure in via d’adozione o già adottate, in maniera positiva o anche egregia. Questo è il caso della revisione, attraverso una unificazione a livello nazionale, dei criteri di valutazione dei titoli di studio, in specie delle vere lauree, quelle “magistrali” o ad esse parificabili con il ciclo tre più due e di quanto devono valere nei punteggi rispetto agli anni di lavoro. L’Italia di D’Alema, Prodi e Berlusconi era stata resa più che un colabrodo: un incredibile bordello di arbitrii e di malaffare senza fine, in cui se ne sono viste e se ne vedono in maniera assolutamente incredibile, con enti e organismi di ogni tipo che sul piano morale, come suole dirsi, a livello davvero camorristico, mafioso – quando manca il senso dello Stato … vero Silvio delle mie libertà? – ognuno (non dei cittadini onesti o degli amministratori onesti) fa i “cazzi suoi” e parifica nei modi più grotteschi e inimmaginabili “lauree triennali” a lauree magistrali, due anni di lavoro di un non laureato alla laurea e consente al beneficiario della prima disonesta alterazione di essere ammesso in sanatoria a concorsi pubblici per funzionari … mettendo in opera all’interno della macchina pubblica azioni innominabili.
Abbiamo bisogno di un’azione di governo particolarmente avveduta in tutti i campi. Per fare questo, riteniamo molto utile che Monti instauri una specie di diario e rapporto pubblico con cui, rivolgendosi alla popolazione, in pochi battute, venga a far conoscere di volta in volta una novità o più novità dell’azione del suo esecutivo, senza ricorrere ad astruse formule e a linguaggi tecnici infarciti di lingua straniera. Ciò lo riteniamo utile al fine di dare il giusto credito al governo e di tenera sempre aperta una porta di diretto “accesso” in un momento di generale compromissione e crisi delle istituzioni rappresentative della democrazia repubblicana sul piano formale e di quella partitocratica sul quello sostanziale. Tra le novità del suo esecutivo, ci aspettiamo che venga diffusa quella che in maniera esplicita afferma l’abolizione del cumulo degli stipendi per i consiglieri di Stato utilizzati in altri incarichi e le cariche e commende vitalizie per gli ex presidenti (lì escono tutti da presidenti emeriti!) della Corte Costituzionale e presso istituzioni culturali e quant’altro. Inoltre, ci aspettiamo che i presidenti delle due camere del Palamento arrivino a rendere noto che prebende e diritti esclusivi riservati agli ex presidenti non durino a vita ma per cinque anni.
L’unico quadro da non scalfire e da rafforzare è quello del capo dello Stato, in uno con i poteri di veto e di rimozione da parte del premier di singoli componenti del governo.
Ritorniamo al quadro di quanto fa e non fa il governo. A circa tre mesi dal varo del governo politico-tecnico, siamo ancora in attesa della chiusura dell’accordo con la Svizzera, accordo cruciale per la lotta all’esportazione illegali di capitali, in uno con l’evasione fiscale. Dopo i ritardo accumulati dal precedente esecutivo, non si può più tergiversare: più il governo svizzero fa opposizione e ostruzionismo, più bisogna alzare la posta del prezzo economico da imporre con l’assunzione di immediate misure di ritorsione. In materia economica e finanziaria, inoltre, siamo in attesa di come il governo vuole procedere con l’ABI al fine fare rimuovere tutte le difficoltà poste in essere pur di non finanziare le medie e piccole imprese con capitali ricevuti dalla BCE anche per tale impiego e per fare ridurre, quindi, la speculazione finanziaria messa in atto – pure se su gradini più bassi – da sistema bancario nazionale o il mero e semplice incameramento di queste risorse monetarie.
Desideriamo conoscere quali sono le volontà del governo per bloccare o ridurre drasticamente la delocalizzazione delle attività produttive oltre frontiera e al contempo quali sono le disponibilità dei sindacati per giungere a un raffreddamento dei costi della manodopera onde consentire l’allargamento della platea dei lavoratori, giovani e meno giovani, nell’industria e nel terziario, da assumere con contratto a tempo indeterminato. L’articolo 18 sta scatenando una guerra dopo i disastri economici e sociali che il sindacato dei “diritti” ha disseminato in quarant’anni di abusi della democrazia sindacale e dei suoi sfrenati garantismi. Oggi, in mesi così difficili, è sicuramente da cercare con il lanternino la presenza di operai disfattisti e improduttivi nelle aziende. Il problema di merito e di diritto va posto ed ha ragione il governo, ma non di meno sull’art. 18 bisogna procedere proprio per questo con i piedi di piombo. Bisogna riformarlo ma con cautela assoluta. Molti esempi di questi ultimi quindici anni ci illuminano su come in Italia si sia passati e si passi da un eccesso all’eccesso opposto nei modi più disinvolti e irrazionali. Di questo i parlamenti e i governi italiani si sono dimostrati a livello mondiale insuperati campioni, sulla pelle della gente.
Il mercato libero ha reso molte cose più trasparenti ed efficienti, ma anche al suo interno ci sono cose molto poco limpide. Lo sfruttamento del lavoro avvenuto con il prestilavoro ne è un esempio. La legge sulla dirigenza e i suoi adeguamenti, specie su quella scolastica, ancora vigente (uno scandalo grande quanto tutta l’Italia, fatta sotto il naso di tutti, che fa rabbrividire per quanto ci sarebbe invece da ridere), ne è un altro. I marchingegni inseriti nella bolgia dei contratti di comparto e nella compressione dei redditi dei professionisti e dei funzionari pubblici coartati a partire dal ’68 sindacale ne è un altro intricato e perpetuo esempio; nel guardare solo agli ultimi due decenni, basti considerare la proliferazione di aziende e consigli di amministrazione a capitale pubblico o partecipato, funzioni dirigenziali a livello regionale, la nuova pianta dell’amministrazione pubblica ministeriale su base regionalista o “federalista” (la gran cuccagna dei leghisti e dei loro buoi). Una voracità insaziabile, dai costi esorbitanti e in ininterrotta crescita.
Di tutto questo inferno di alta e pseudo-alta burocrazia, l’unica cosa che dovrebbero rimanere in piedi sono le strutture regionali della Corte dei Conti. Il governo non ci ha comunicato se, in questa direzione, sta provvedendo o meno ad azzerare i comandi regionali militari e delle forze di polizia con le stellette.
Non ci ha comunicato se ha raggiunto l’intesa con i presidenti delle due camere per abolire l’insignificante e blasfema liturgia della guardia dei soldati davanti alle camere durante i lavori parlamentari (altro che presa in giro e altro che spese parassitarie), che dura dalla nascita della Repubblica subito sequestrata dalla partitocrazia, né cosa intende fare per ridurre gli “autonomi” impazzimenti delle regioni a statuto speciale e su come possa farlo sin da adesso con strumenti anche eccezionali. Non ci ha comunicato perché non tosa immediatamente emolumenti e calcoli di quiescenza dei parlamentari di tutte le regioni, applicando ad essi la norma che vale per tutti i cittadini italiani relativa alla penalizzazione dei diritti acquisiti. E di tutta la dirigenza delle regioni a statuto speciale, da quella di Bolzano e Trento a quella di Palermo. Anche qui con gli strumenti che gli occorrono all’uopo e perfino ricorrendo al varo in parlamento di nuove norme che impongano la salvaguardia dell’interesse economico nazionale all’interno delle istituzioni rappresentative regionali. Non ci ha detto il governo che, come ha rilavato la Corte dei Conti, alcune sue operazioni sono solo di facciata (relative all’Inpdap e all’Inail, ad altre agenzie pubbliche e in ultimo all’ulteriore smembramento o apparente maquillage e creazione di nuove scatole cinesi relativamente all’Anas).
Il governo Monti, in merito all’equità delle misure in ambito pensionistico, ha continuato a fare lo struzzo non meno dei precedenti governi: le baby pensioni sono rimaste territorio intoccabile, di assoluto privilegio incostituzionale. Eppure, se i diritti acquisiti sono toccati per tanti, lo devono essere a maggior ragione per tutti. Non di meno, i feudi politico-parentali e le retribuzioni di intere fasce di dipendenti “pubblici” della Rai e dei più diversi e piccoli e invisibili centri di gestione del potere, quali sono gli istituti non so … della “cassa mutua” degli attori (o sbaglio?) direttamente collegati agli appannaggi del mondo politico e del suo più diretto contorno. In merito alle prime risorse monetarie liberate per l’avvio delle grandi opere, sono scomparse quelle di una priorità infrastrutturale assoluta, relativa alla costruzione del ponte di Messina. Come mai? Quando il governo stanzierà le prime adeguate somme per l’avvio dei lavori? Quando sarà ripresa la strategia delle autostrade del mare? Quando il governo procederà ad attuare un’informazione pubblica capillare sulla necessità indifferibile di aumentare la diversificazione delle risorse energiche, sia quelle con fonti rinnovabili che non, e quindi recuperare entro l’orizzonte del nostro futuro a medio termine il ritorno al nucleare che nessun egoistico e cieco referendum potrà mai bocciare a scapito del diritto ad un futuro meno indebitato, meno dipendente e meno ricattabile delle giovani generazioni?
Ottima la mossa del ministro di grazia e giustizia: svuotare le carceri di migliaia di detenuti per il sovraffollamento inumano? Certo, ma qui non si tratta di demagogia ma di necessità improrogabile, e le colpe di questa decisione ricadono tutte e per intero sui precedenti parlamenti e governi che per decenni hanno fatto crescere a dismisura il fenomeno senza mai veramente realizzare e a volte neppure avviare programmi di costruzione di nuove carceri in misura tale da poter contenere una popolazione adeguata, che ben sanno gli esperti quale è e quale potrà essere, con la crescita ininterrotta dei fenomeni criminosi in quasi tutti i settori.
Depenalizzare e ricorrere alla carcerazione domiciliare è in questo frangente estremo inevitabile, ma questa soluzione aggrava e non risolve i problemi della “giustizia giusta” e fa avvitare il sistema giudiziario e l’azione delle forze di polizia in situazioni endemiche di dispersioni, vanificazioni , neutralizzazioni di azioni e di energie.
Infine, il governo ha o non ha il coraggio di assumere una posizione politica netta con la bocciatura del processo di ulteriore devastazione messo in opera dal federalismo dei bossolini, dopo quello dell’imbalsamata partitocrazia? Cosa ancora aspetta per presentare un apposito decreto legge per mandare in soffitta siffatta poltiglia storica e siffatta contraffazione delle memorie e degli ideali degli italiani del nord di fine ‘800 e di tutto il ‘900? Questo è effettivamente il primo decreto salva Italia, che andava fatto ancora prima di quello degli stessi esportatori di capitali!