Crollo dell’edilizia e governo assente

18 Marzo 2012
Mino Mini

 

Scorticaria: le scelte economiche degli scorticatori

MALA TEMPORA …..

Butta male cavoloo! (copyright del com.te Gregorio De Falco cambiato nell’ultima parola quasi per scaramanzia, visto che è un’esclamazione folklorica … da difendere … proprio  adesso che c’è da avere paura che gli uomini con i mala tempora corrano il pericolo di perdere il loro naturale attributo, il tutto a vantaggio di una società di orgogliosi omosessuali fobici dell’eterosessualità e dei suoi simboli creativi, da quello della fecondazione a quello del lavorare e levigare  la pietra  .. ma non levigare la pelle maschiofemminina). Butta proprio male, nell’edilizia! E non solo!- Eulà

 

Non si costruisce più e 60.000 imprese edili – il 15% dell’intero comparto – nel 2011 hanno chiuso l’attività. Qualche impresario si è suicidato e qualche altro ha tentato di immolarsi dandosi fuoco ed è stato salvato in extremis.
Una cappa di cupa disperazione incombe su una delle prime e più importanti industrie d’Italia, un tempo volano anticrisi per il vastissimo indotto a cui da luogo. Altro che FIAT.
Vasco Errani, presidente della regione Emilia-Romagna denuncia che il settore dell’edilizia <<è nel pieno di una forte crisi e occorre un piano nazionale di investimenti intelligenti. Bene il rigore dei conti pubblici e i parametri dell’Unione Europea ma bisogna investire…..in particolare in due direzioni ben precise: 1) un piano di edilizia residenziale pubblica, perché ormai siamo all’emergenza abitativa: interventi che guardino alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico; 2) poi occorre un piano decennale di messa in sicurezza del territorio. Non grandi o grandissime opere ma con interventi mirati alla salvaguardia per evitare, ove possibile, emergenze ambientali>>.
Le stesse cose che i sindacati chiedono al ministro Passera.
Poi, però, si scopre che disseminata sul territorio c’è una miriade di case invendute o sfitte. Dov’è, allora, l’emergenza abitativa? In realtà ci troviamo di fronte ad un fenomeno di sovrapproduzione di edlizia speculativa dipanatasi nell’arco dei dodici anni 1995-2007 quando, sfruttando gli incentivi della legge Tremonti ed i bassi tassi di interesse, nonché la forza lavoro proveniente principalmente dall’est europeo – ricordate la sindrome dell’idraulico polacco? – sorsero imprese edilizie costituite da improvvisati immobiliaristi che dilagarono nelle periferie urbane impestandole di pessima edilizia. Fu una vera e propria bolla speculativa, ma già nel 2005 si manifestarono i primi sintomi di recessione nel settore fino a raggiungere, nel quinquennio 2006-2011, un calo del 40,4% (fonte Ance). Oggi si lamenta la paralisi dell’edilizia privata, ma sarebbe più esatto parlare di paralisi del mercato immobiliare. In sostanza si tratta di una crisi delle vendite. Infatti le banche, proiettate verso la speculazione finanziaria piuttosto che verso il credito, nonostante i 116 miliardi al tasso dell’1% erogati a dicembre dalla Bce e quello di 139 miliardi, sempre al tasso dell’1%, erogati a febbraio, non concedono mutui casa se non a tassi proibitivi e dietro garanzie impossibili. Non finanziano nemmeno nuove iniziative edilizie arrivando financo a chiudere i fidi ai costruttori.
Ed ecco il paradosso: abbiamo le case, ma se non c’è accesso al mutuo non c’è possibilità di acquisirle ed il bisogno abitativo diventa emergenza. Condizione nella quale si trova, soprattutto, la parte giovanile della popolazione. E c’è di peggio. Con l’introduzione dell’IMU, oltre a mortificare la propensione al risparmio che caratterizza il popolo italiano, lo si spinge – consapevolmente o meno – giù per la china che discende dritta nella palude della povertà. Siamo alle premesse della macelleria sociale: le pecore che non daranno più lana, saranno scorticate per carpire loro la pelle. C’è, infatti, il rischio per buona parte degli italiani che hanno acquistato la casa facendo ricorso al mutuo, di non riuscire a conservarla. Con le rendite catastali “rivalutate” nonché con le aliquote a discrezione dei sindaci decisi a far cassa sul mattone, il vecchio balzello sulla casa crescerà fino a superare il 200%. A conti fatti prendendo a riferimento il valore di un’abitazione compresa nella fascia dei 250-300 mila euro – la più diffusa- il proprietario si troverà a pagare circa un migliaio di euro l’anno. Quasi uno stipendio mensile.
Provate ad immaginare la sorte di un pensionato proprietario di un’abitazione acquistata a prezzo di sacrifici. O ritorna, se ci riesce, a lavorare per produrre la lana – pardon – il reddito per pagare le tasse sulla casa o , prima o poi, si troverà a doverla vendere. Se Equitalia non lo scorticherà prima espropriandogliela di fatto con un’asta fasulla. Come già avvenuto.
Spostate, adesso, l’attenzione sulla citata parte giovanile della popolazione: per loro l’IMU sarà una tassa che costituirà una ulteriore barriera alla formazione del risparmio immobiliare.
E’ la dura, ancorché artificiosa, legge dell’economia istituzionale – la scorticaria – alla quale, in passato, si contrappose l’economia sommersa che veniva messa in atto per rispondere alla altrettanto dura, ma reale legge della necessità. C’è, dunque, da aspettarsi un rifiorire dell’abusivismo edilizio ed urbanistico e lo scempio di ulteriori periferie da sanare. Con tanti saluti alla qualità della vita, alla sostenibilità e a tutte le astrazioni che ci nascondono il reale senso della vita urbana.
Ma la crisi vera dell’industria delle costruzioni, quella che la sta mettendo in ginocchio, non va ravvisata nel settore dell’avventurosa speculazione edilizia. Imprenditorialmente limitata, questa, non è stata capace nemmeno di afferrare l’occasione del Piano casa. Ad essere, invece, pesantemente colpito è il settore delle imprese di costruzione che lavorano nel campo degli appalti pubblici e si trovano in sofferenza per l’insolvenza dello Stato nelle sue diverse manifestazioni locali e nazionali. Che lo stesso fosse sempre stato un pessimo pagatore era risaputo, ma che arrivasse a procrastinare i pagamenti fino a tre anni dalla fine lavori, nessun imprenditore sarebbe arrivato ad immaginarlo. Se no, col cavolo ….
Eppure l’industria delle costruzioni, soprattutto nel settore dei lavori pubblici, svolse sempre il ruolo di volano dell’economia. Si ricorderà il detto : quando il mattone va tutto va. Ed è facile intuire perché. Sembra, però, che i professori di economia non ci riescano.
E se fosse che non vogliono?
Il dubbio è più che legittimo dopo aver preso atto del “no” del governo Monti alla candidatura di Roma per l’assegnazione dei Giochi olimpici 2020. Quale occasione migliore di quella, qualora avessimo ottenuto di ospitare le Olimpiadi, per creare i 109 mila posti di lavoro che erano nelle previsioni? Per pochi che fossero, a scala romana, ma non solo, sarebbe salito il PIL, divisore del debito pubblico, per effetto della propensione al consumo dei nuovi lavoratori che avrebbe favorito l’accrescimento della produzione e quindi l’offerta e con essa il reddito nazionale. Per non parlare del patrimonio di infrastrutture e di opere che sarebbero state realizzate.
Al di là dell’aspetto economico delle Olimpiadi, però, ve ne era un altro molto più importante che andava preso in considerazione: la possibilità, con quell’evento, di innescare un processo di ridisegno organico della città contemporanea. Non che dagli workshops fosse emersa una soluzione per questo problema, ma il tavolo della discussione a livello internazionale era aperto ed anche il Borghese, con i suoi articoli, stava dando il suo contributo critico in questa direzione. L’Olimpiade, proprio per il carattere di convegno di popoli diversi, sarebbe stata l’occasione di portare all’attenzione del mondo una più matura visione della civiltà dell’abitare ove – beninteso – fosse stato possibile farla emergere.
Sarebbe occorsa una visione politica della realtà assai più dinamica e lungimirante di quella da scorticatori che questi professori tecnici fossero in grado di esprimere. Il loro operato, infatti, mostra come una visione sistematica della realtà non sia nelle loro corde. Se non fosse che il dubbio più addietro espresso sulla mancata volontà di attivare il volano dell’economia mediante il ricorso all’industria delle costruzioni lascia intuire un fine inconfessabile, susciterebbe più di un interrogativo anche la loro conclamata capacità tecnica.
Voci che circolano a livello internazionale diffondono la notizia che poteri facilmente individuabili avrebbero imposto all’”apriporta” della Goldman Sachs Global Market Institute Mario Monti (definizione di Le Monde ) di non presentare la candidatura di Roma perché ragioni geopolitiche imponevano altre scelte. Non siamo in grado di confermare queste voci, ma alla luce dell’azione di governo e considerando quanto sia lontana dalla stessa l’impiego del volano delle opere pubbliche per risolvere la crisi, c’è da crederci.
Le cose non vanno meglio sul fronte politico.
Tra circa un anno e mezzo si rinnoveranno le amministrazioni locali che, insieme allo Stato, dovrebbero porsi il problema di uscire dalla crisi.
Non si sente un programma in proposito, non si vede un piano che mostri come risolvere il problema infrastrutturale, quello sanitario-ambientale e quello dell’emergenza abitativa. Nessun candidato, nessun partito che si ponga il problema delle periferie nell’ambito di una visione totale della città. Nessun centro studi che si ponga il problema della crisi dell’industria delle costruzioni. Nessun politico che abbia una più o meno lungimirante visione dei processi di realizzazione e trasformazione della città che superi la grettezza di visione della speculazione edilizia ,quale quella condotta sino ad ora, che ci ha imposto periferie anomiche, informi, degradanti, incivili. Governare una città non è la stessa cosa che amministrare un assembramento di condominii e/o farne sorgere di nuovi.
Occorre una cultura urbana di nuova concezione che scaturisca da una più matura visione della realtà e sia capace di accettare e superare il fallimento dell’urbanistica ufficiale avviandone il superamento. Condizione indispensabile per avviarne l’evoluzione verso una riconquistata civiltà dell’abitare. Occorre la capacità di individuare, favorire e guidare una più avanzata e lungimirante visione imprenditoriale in grado di affrontare la realizzazione di un organico disegno della città che sia espressione della totalità della vita dei cittadini e non la realizzazione di una gretta e banale operazione speculativa.
Per dirla in sintesi: occorre una nuova e matura classe politica. Il che vuol dire tutto. Se non anche augurarsi di vincere non una terma ma un’impensabile cinquina. Rimarrà una pia e trepida aspettazione? Una nuova, matura e onesta classe politica, per noi italiani sarebbe come cominciare a vivere nell’età dell’oro o di una nuova Atlantide in cui edilizia, urbanistica e architettura potrebbero risplendere. Senza più la minima ombra dei magheggi odierni degli affaristi politicanti  nazionali, regionali e suburbani che le vituperano e le sfruttano in modo indegno.