– Giovanni Braccesco – Il Legno della Vita (1562). Questo famoso dialogo di Giovanni Braccesco da Orzinuovi, di recente identificato con il sacerdote Giovanni da Brescia, di stanza a Cortona e, intorno al 1540, in corrispondenza con Luigi Guicciardini, inscena un Dialogo tra Demogorgon e Raimondo (Lullo) – insieme al Geber Latino uno dei principali riferimenti dell’alchimia del Braccesco – sull’elixir di lunga vita. I testi del Braccesco, più volte ristampati in latino, conobbero grande diffusione e costituirono una delle letture più autorevoli dell’alchimia cinquecentesca e seicentesca.
– Francesco de Vieri (Verino secondo) – Breve discorso intorno all’arte dell’Alchimia. Figlio di Giovan Battista Vieri e di Lucrezia Guicciardini, Francesco de’ Vieri (1524-1591), era conosciuto come Verino secondo per distinguerlo da suo nonno “Verino primo” (1474-1541), anch’egli filosofo ed umanista insigne. Come il nonno il Verino secondo, nello studio di Pisa dapprima titolare della cattedra di Logica, poi di quella di Filosofia, sarà platonico convinto, e probabilmente figura tra i docenti che accompagnarono la formazione del Galilei. Il suo Breve Discorso, scritto tra il 1579 ed il 1580, risente evidentemente della lettura della Questione sull’alchimia del Varchi (già presente su questo sito), scritta nel 1544, e, se non denuncia una reale frequentazione della letteratura alchimistica vera e propria, mostra la familiarità dell’autore con quanto dell’alchimia dicono alcuni tra i più stimati commentatori di Aristotele, come Timone Ebreo e Marco Antonio Zimara.
– Anonimo – La critica della morte ouero L’apologia della vita esposta in lingua francese dal signor di Comiers preuosto di Ternan. Trasportata in italiano a prode uniuersale; & aggiontoci un racconto, con alcune lettere curiose per gli amatori della scienza ermetica. In Venezia: per Sebastiano Casizzi, 1690. È questo il testo che, più di ogni altra testimonianza, contribuisce sul finire del XVII secolo alla formazione della leggenda dell’alchimista di ambiente veneziano Federico Gualdi. Prefigurazione del topos dell’iniziato errante, che sarà poi ripreso in Cagliostro e Saint-Germain, Gualdi è, probabilmente, l’alchimista seicentesco su cui più si è innestata una tradizione agiografica e mitica che è giunta perfino alla ritualizzazione del nome e della sua memoria (entra a far parte ufficialmente della rituaria di alcune organizzazione paramassoniche americane intorno al 1880, e viene più tardi assimilato, con gli appellativi di “Il Veneziano”, o “il Maestro Veneziano”, ad uno dei maestri della teosofica Grande Loggia Bianca, la gerarchia invisibile dei saggi di ogni tempo evocata dalle opera di Alice Bailey).
La Critica della Morte si compone di due parti: la prima è una traduzione dell’opuscolo di Claude Comiers La medecine Universelle, ou l’art del se conserver en Santé & de prolonger sa Vie uscito a Parigi nel 1687per i tipi di Jean Leonard; la seconda è invece il Racconto sopra i successi di Federico Gualdi, che narra delle vicende del misterioso adepto vecchio di quattrocento anni, presentandone la corrispondenza con alcuni ignoti cercatori della Pietra filosofale. Una breve introduzione bibliografica precede la trascrizione del testo.
– Santi Pupieni (Giuseppe Antonio Costantini) – Tre lettere sul lapis philosophorum e gli influssi delle stelle. Il conte Agostino Santi Pupieni altro non era che il nom del plume dell’avvocato Giuseppe Antonio Costantini (1692-1772), che, autore di numerose opere su vari e disparati argomenti, raggiunse la notorietà con i dieci volumi delle sue Lettere Critiche, giocose, morali, scientifiche ed erudite del Conte Agostino Santo Pupieni, che uscirono in dieci volumi a partire dal 1744 ed ebbero svariate riedizioni – alcune ampliate da nuove composizioni – e discreta fortuna. Delle tre Lettere che qui presentiamo, le prime due riguardano il Lapis Philosophorum mentre la terza tratta di astrologia. La prima, sul Lapis, ebbe un momento di relativa popolarità negli ambienti dell’occultismo italiano negli anni ’50 del novecento, per la pubblicazione di ampi stralci del componimento nel primo numero (settembre 1949) nella rivista esoterica di ispirazione kremmerziana La Fenice. Nel testo si narra di un ulteriore avvistamento dell’adepto Federico Gualdi, stavolta a Genova ed in abito talare…
– Alessandro Mezzadri – Fosforo Ermetico overo Luce Matutina (1729). Nulla sappiamo del misterioso alchimista ferrarese che firma questo oggi rarissimo opuscolo, che offriamo qui in prima riedizione moderna. L’alchimista Mezzadri, come altri alchimisti italiani del XVIII secolo, si nutre soprattutto dell’alchimia del secolo precedente, ed in particolare dei testi di matrice rosicruciana in vario modo riconducibili alla temperie culturale del circolo di Cristina di Svezia. Oltre alle citazioni d’obbligo (dalla tabula smaragdina al Geber latino della Summa Perfectionis, fino alla Pretiosa margarita novella del conterraneo ferrarese Pietro Bono), Mezzadri cita infatti ripetutamente la Lux Obnubilata del celebre Fra Marcantonio Crasselame, anagramma dell’altrettanto celebre marchese Francesco Maria Santinelli (1627-1697). Nulla sappiamo, naturalmente, del percorso culturale dell’autore. Tuttavia la scrittura del Mezzadri (al contrario di quella di altri scrittori italiani di alchimia del suo periodo) è ancorata ad un’alchimia filosofica, o meglio filosofale, che nulla concede alla res extensa cartesiana, il recente paradigma che regna nelle scienze naturali del tempo. La sua alchimia è scopertamente metafora iniziatica, il suo linguaggio pregno di metafore operative e tecnicismi si rivolge, come da tradizione, unicamente ai figli dell’arte, ribadendo topoi e stilemi di una tradizione secolare.
– Pietro Bornia – La Porta Magica di Roma: studio storico (1915). Questo citatissimo studio sulla romana Porta ermetica di villa Palombara, è qui per la prima volta presentato con una introduzione bio-bibliografica sull’autore, Pietro Bornia (Roma 1861-1934). Figura di spicco della kremmerziana Fratellanza di Miriam e presidente del Circolo Virgiliano di Roma, Pietro Bornia, già superiore Incognito ed occasionale collaboratore de L’Initiation, rappresenta, probabilmente, con lo stesso Kremmerz, l’elemento di relazione più evidente tra il nascente ermetismo kremmeziano e l’allora già fiorente martinismo francese.
– François Jollivet Castellot – Pietro Bornia – Storia dell’Alchimia, con una prefazione di Giuliano Kremmmerz. Molto più che una mera traduzione del sommario di storia dell’alchimia di Jollivet Castelot, pubblicato sull’Hyperchimie tra 1897 e 1898, questa Storia dell’Alchimia, come sottolinea Kremmerz nella brevissima prefazione, è in realtà occasione per una riscrittura del Bornia, che, talvolta correggendo, aggiunge un materiale ingente all’esiguo scritto originale. Il Bornia, che non manifestava nei suoi scritti una conoscenza di prima mano rilevante sull’alchimia, nel riproporre in versione accresciuta questo scritto rivela così il chiaro riferimento all’alchimia scientista dell’Hyperchimie francese, che molto dovette essere diffuso negli ambienti occultistici ed ermetici italiani.
– Di Giovanni Vincenzo – Ricette chimiche e medicinali in volgare estratte da un codice latino di scienze occulte del secolo XIII e XIV. Il codice Speciale venne estesamente studiato, nella sua parte latina dall’abate Isidoro Carini, in un dissertazione del 1872. Qui il vescovo ed erudito siciliano Vincenzo di Giovanni (1832-1903), professore di filosofia dell’ateneo palermitano, ne estende le ricerche alla ricca raccolta di ricette in volgare intercalate ai testi latini.
– Michele Sartorio, Un Poeta Alchimista: Giovanni Augurelli (dal ‘Ricoglitore Italiano’ del 1836). La Chrysopoeia pubblicata nel 1515 è uno degli esempi di poesia alchemica colta più importanti nella storia dell’alchimia, e rappresenta la prova certa dell’interesse del poeta ed umanista Giovanni Aurelio Augurelli (1456- 1524) per la tematica ermetica. Questo breve saggio di Michele Sartorio è uno dei primi contributi critici contemporanei sulla figura di questo importante poeta ed alchimista riminese.
– Egidio De Magri – Giuseppe Borri ovvero un settario del secolo XVII (1843 – Con una nota bibliografica di Gottardo Calvi). L’eretico, alchimista e medico Giuseppe Francesco Borri (1627-1695), vicino al circolo di Cristina di Svezia e convolto nella leggenda legata alla Porta Magica di Massimiliano Palombara, è una figura particolarmente complessa nel difficile movimento delle eresie seicentesche. Attraversando l’Italia e l’Europa, in contatto con alcuni dei più grandi intelletti del tempo, egli colpisce i suoi contemporanei costruendosi una solida fama di intellettuale e scienziato: del Borri si diffonde altresì una fama postuma di occultista, oltre che per i suoi interessi alchemici, anche grazie ad un falso, uscito durante la sua detenzione nelle segrete di Castel S. Angelo, La Chiave del Gabinetto. Il testo di Egidio de Magri (integrato dalla nota del Calvi) rappresenta uno dei primi studi contemporanei sulla figura di questo indecifrabile eretico seicentesco, di cui ci siamo già occupati in Gli amanti delle Silfidi ( http://www.massimomarra.net/1054/Massimo-Marra-Gli-amanti-delle-silfidi-la-storia-degli-spiriti-elementari-di-Paracelso-e-dellabate-Montfaucon-de-Villars ).
– Henry Carrington Bolton – La Porta Magica a Roma – da The Journal of American Folk-Lore (1895). Quello che presentiamo qui è un lavoro che il chimico e storico della scienza Henry Carrington Bolton (1843-1903) dedicò alla Porta Magica già nel 1895, ed è probabilmente, per quanto ne sappiamo, il primo lavoro contemporaneo dedicato all’argomento. Si tratta dunque di un lavoro di importanza storica, ulteriore testimonianza dell’attenzione che Carrington Bolton tributò al mondo, per lui così distante ma, si deve supporre, anche così affascinante, dell’alchimia. Il testo di Bolton sulla Porta Magica precede di ben quindici anni quello dell’ermetista italiano Pietro Bornia, ben più attento e competente. Nella decodificazione delle iscrizioni lo storico della scienza compie alcuni notevoli passi falsi, che sono segnalati nelle note del traduttore. Queste ultime sono contrassegnate tra parentesi quadra, mentre quelle dell’articolo originale, e dunque di mano del Bolton, sono racchiuse tra parentesi tonda.
È in libreria, nell’edizione economica della collana “gli Adelphi”:
Misteri pagani nel Rinascimento è il capolavoro di Edgar Wind, libro ormai classico, che ha permesso di leggere per la prima volta in tutta la sua complessità il senso di alcune delle opere più famose e splendide del Rinascimento – dalla Primavera di Botticelli all’Amor sacro e profano di Tiziano e a tante altre di Michelangelo, Correggio, Raffaello. Intorno a queste opere Wind è riuscito a ritessere la rete di pensieri, allusioni ed enigmi che le accompagnava, le ha restituite al loro luogo naturale, che è l’area immensa del neoplatonismo rinascimentale, e partendo da esse e dai testi di Ficino, Pico e altri neoplatonici, ha ricostruito quello sconcertante fenomeno che fu la riscoperta dei misteri pagani. Questi furono rielaborati in una «filosofia dei misteri», che avrebbe poi continuato per secoli, richiamandosi alla tradizione ermetica, a percorrere segretamente la storia del pensiero europeo. Nel suo complesso, l’opera di Wind rappresenta, a un livello sommo, la lignée che in questo secolo ha rivoluzionato lo studio dell’arte, quella della cosiddetta «scuola iconologica»: Giehlow, Warburg, Saxl, Panofsky. Ma è in particolare al geniale spirito di Aby Warburg, del quale fu collaboratore e amico, che si ricollegano le ricerche di Wind, per la capacità di aprire fulmineamente, con un lieve tocco, prospettive impensate entro un vastissimo repertorio di temi e discipline, sicché mai come nei loro studi la storia dell’arte è riuscita a essere anche storia del pensiero e storia della civiltà. Misteri pagani nel Rinascimento è apparso per la prima volta nel 1958, ed è stato più volte riveduto.
(comunicazione editoriale)
Jean Haudry,
LE FEU DE NACIKETAS
Archè Milano, 2010,
Lingua : Francese
Pgg. 88 – Euro 14,00
Un insieme di testi indiani, occasionalmente confrontati dai commentatori antichi, ha quale elemento comune quello di presentare tre personaggi: un bramano (il dio Varuna in uno dei due), suo figlio e un re.
Il terzo personaggio, che manca nel testo in cui figura Varuna, è rappresentato dal dio Yama, re dei morti – ma inizialmente dio Luna – nel racconto che dà la chiave dell’insieme e conserva la traccia della natura originaria di Yama: la storia di Naciketas.
L’interpretazione del nome enigmatico di questo personaggio come ricostituzione di un composto *nakti-cetas «lampo/attenzione nella notte» porta a vedere nel figlio del bramano il giovane fuoco sacrificale, quello che ha appena acceso l’officiante, tradizionalmente considerato come suo padre.
Questo giovane consente a suo padre, nel racconto in cui questi è un essere umano, di avere la rivelazione dei fini ultimi.
Nella storia di Naciketas, la rivelazione proviene direttamente da Yama. Ma in un’altra, quella di Svetaketu, essa proviene paradossalmente da un uomo di casta nobiliare, che su quel punto ne sa più dei bramani, poiché è detentore di una tradizione propria alla sua casta, quella delle «tre vie dell’oltretomba».