Terremoto, le mappe sismiche ci sono ma vanno applicate
La mappa della pericolosità sismica dell’Emilia (e dell’Italia) deve essere aggiornata? Forse, ma sarebbe più urgente il suo pieno recepimento da parte di Comune e Regioni. È questo in sintesi il senso della nota diffusa ieri dall’Ingv, nel tentativo di fare chiarezza sulla polemica sorta in seguito ai due disastrosi terremoti che hanno colpito l’Emilia, inserita nelle mappa di rischio sismico dell’istituto come zona di pericolosità medio-bassa. La polemica quindi, lungi dallo scomparire, si sposterebbe su un altro piano. Sarebbero stati infatti i ritardi accumulati nel recepire le norme sismiche del 2003, e quindi le norme tecniche per le costruzioni nel 2008, a far sì che nei comuni colpiti dai terremoti (ma non è escluso che la stessa cosa accada in molti altri) si accumulasse “un notevole deficit di protezione sismica, che è in parte responsabile dei danni avvenuti”, scrive l’Ingv.
Cosa significa deficit? “Qualunque tipo di iniziativa è efficace se adottata, altrimenti è inutile riferirsi a una mappa” spiega Carlo Meletti dell’Ingv: “Ogni giorno di ritardo nel recepire le indicazioni più aggiornate significa continuare a costruire con un livello di sicurezza basato su conoscenze scientifiche vecchie, non in linea con quelle attuali. Se le fasi di transizione tra una normativa e l’altra sono lunghe questi ritardi diventano importanti. Ecco allora che diventa fondamentale capire quando uno stabile sia stato costruito, perché significa capire a quali standard di sicurezza ci si riferiva in quel periodo, che possono essere molto diversi”.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire che ruolo ha la mappa di sismicità da un punto di vista normativo. Punto primo, scrive l’istituto: “i terremoti sono avvenuti in una zona che non era stata classificata come sismica fino al 2003, a dispetto di molteplici evidenze fornite dagli studi scientifici”. E questo anche perché, come racconta oggi il Corriere, prima del 2003 la mappa proprio non esisteva. Ha preso forma come tale, basandosi sugli studi dei geologi dell’Ingv, solo dopo il disastroso terremoto di San Giuliano di Puglia. Così, dal 2003, le zone colpite dalle scosse di questi giorni sono state catalogate come di pericolosità media, dove il massimo della magnitudo per i terremoti si ipotizza essere intorno a 6.2. E, come hanno precisato in questi giorni i sismologi, le scosse che hanno interessato l’Emilia non hanno stravolto la mappa sismica della regione, appunto perché la loro magnitudo non è stata superiore a quelle attese in questa zona.
Secondo punto. L’assegnazione dei comuni a una delle quattro zone sismiche è di competenza delle Regioni e non degli istituti di ricerca, sottolinea l’Ingv. Ma non solo. L’assegnazione spetta alle Regioni anche perché è a queste che va il compito di personalizzare la mappa diffusa dall’Ingv: “La mappa di pericolosità ha una copertura nazionale di base” spiega ancora Meletti: “Ma spetta alle regioni attuare tutte quelle politiche di gestione del territorio e del rischio per individuare se procedere con indagini più approfondite per alcune zone o meno. Purtroppo, però, per questo non c’è alcun obbligo di legge”.
Spetterebbe infatti alle amministrazioni locali – investendo fondi e risorse – aggiungere ulteriori dati alla mappa nazionale sulla base delle caratteristiche dei luoghi, così da comporre uno strumento più completo, particolareggiato. Grazie al quale si potrebbero elaborare norme costruttive che tengano conto del rischio sismico locale (e non solo di quello generale illustrato dalla mappa elaborata dall’Ingv). È la cosiddetta microzonazione che, solo dopo il terremoto de L’Aquila del 2009 è stata incentivata con lo stanziamento di fondi statali dedicati.
Grazie a questi finanziamenti gli enti locali avrebbero dovuto aggiungere particolari importanti alla mappa nazionale. “Per esempio si tratta di individuare a partire dai comuni a più alto rischio quelle zone che andrebbero escluse dalla costruzione, valutare quelle soggette a liquefazione o amplificazione degli effetti di un terremoto” precisa Meletti. Sempre solo dopo il disastro de L’Aquila sono entrate in vigore le Norme Tecniche per le Costruzioni deliberate nel 2008, con cui i parametri delle mappe di pericolosità sono usati direttamente per la progettazione.
Ecco perché, secondo l’Ingv, più che aggiornare la mappa, “si ritiene più urgente che venga assicurato il suo pieno recepimento da parte delle Regioni e che vengano ulteriormente sviluppate le iniziative per la riduzione della vulnerabilità sismica, già avviate in alcune zone del Paese”.