Scaffidi Abbate. Consolazioni manzoniane e miserie odierne

16 Giugno 2012

Mario Scaffidi Abbate

 

 

Parafrasi del brano manzoniano in adeguata ironia con un’ars maieutica adatta a farci sopravvivere alle distorisioni ottiche degli occhiali e dei reconditi pensieri di Monti

“ADDIO, MONTI”

 

   Addio Monti, sorgente dall’acque torbide della politica e sollevato al cielo; premier inuguale, noto a chi ha governato con lui, e impresso nella sua mente non meno che l’aspetto dei suoi familiari; applausi dei quali distinse lo scroscio come il suono delle voci domestiche; deputati dispersi e boccheggianti sui pendii come branchi di pecore pascenti, addio! Quanto è tristo il passo di chi, vissuto nel Palazzo, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che v’era entrato volontariamente, tratto dalla speranza di farvi la sua fortuna, si disabbelliscono in quel momento i sogni di ricchezza e di gloria; egli si meraviglia d’essersi potuto risolvere ad accettare, e avrebbe da tempo fatto un passo indietro se non avesse pensato che un giorno sarebbe tornato al suo paese ancora più dovizioso. Quanto più procede il suo piano, tanto più il suo occhio si ritira disgustato e stanco, l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e scontento in quel palazzo tumultuoso: i partiti contro i partiti, le strade senza un’uscita, pare che gli levino il respiro, e davanti ai giudizi dello straniero pensa con desiderio inquieto alla nuova villa del suo paese a cui ha già messo gli occhi addosso e che comprerà tornando ancora più ricco alla sua Bocconi. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quella neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti nel Palazzo tutti i disegni dell’avvenire e n’è sbalzato lontano da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle sue nuove abitudini e disturbato nelle più care speranze, lascia quel luogo per tornare ad essere quell’anonimo sconosciuto che ha sempre disdegnato e non può nemmeno con l’immaginazione pensare di potervi tornare! Addio, Camera, dove, sedendo con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore delle grida di Di Pietro il rumore d’un plauso aspettato con un misterioso timore. Addio, Senato, sogguardato tante volte alla sfuggita e col batticuore, nel quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo, da dove l’animo tornò tante volte sereno cantando le lodi del Capo, dov’era promesso e preparato un rito, dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’onore venir conquistato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è perduto; ma non turba mai la gioia dei suoi colleghi, se non per prepararne loro una più certa e più grande.
   Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Monti, e poco diversi i pensieri degli altri ministri, mentre la barca italica affondava sempre di più.
 
La politica in versi e pollice verso per Monti. Italia, quale futuro?
10 Giugno 2012 Mario Scafidi Abbate     Tanta speme, ancora sul nostro futuro e anche per Silvio fra non pochi italiani e in Mario Scaffidi Abbate non di meno …