Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione
Dichiarazione di voto dell’On. Moffa per Popolo e Territorio.
Signor Presidente, signor Ministro della giustizia, onorevoli colleghi, le dirò subito, signor Ministro, che Popolo e Territorio voterà la fiducia e sosterrà il provvedimento. Lo dico perché, prima di entrare nell’ambito di alcune considerazioni, abbiamo molto apprezzato il senso di equilibrio che ha accompagnato la conduzione dei lavori in seno alla Commissione giustizia e abbiamo apprezzato anche le dichiarazioni che lei ha voluto rendere in Parlamento circa i limiti entro i quali questo provvedimento si è mosso e, citando Esopo, giustamente ha osservato che anche i provvedimenti migliori sono provvedimenti perfettibili, e quando si affronta il tema della giustizia c’è sempre da intervenire ulteriormente e migliorare la situazione.
Mi consentirà di dire, senza voler con questo aprire una polemica, che abbiamo meno apprezzato ancora una volta il ricorso al voto di fiducia. Non vorrei ripetere considerazioni che più volte abbiamo portato all’attenzione del Governo, ma questa ritualità rischia di sconfinare in un’ulteriore e sostanziale delegittimazione del Parlamento. Lo dico sottovoce, signor Ministro, perché io ho notato una palese contraddizione in quello che ha recentemente detto in una conferenza il Presidente del Consiglio, il senatore Monti, quando ha riconosciuto, anche come prestigio del lavoro di questo Esecutivo, di essere riuscito, dopo tanti periodi molto difficili e complessi della vita parlamentare, a far dialogare addirittura forze politiche che ha voluto definire «nemiche». È riuscito, in qualche misura, ad aprire un confronto e ad arrivare anche a posizioni comuni, condivise da quelle forze politiche definite, appunto, «nemiche».
La contraddizione sta nel fatto che, nel momento stesso in cui il Governo si vanta – credo anche correttamente – di aver raggiunto questo importante risultato, poi pone e chiede la fiducia, che significa, di fatto, un disconoscimento sostanziale di quel processo di composizione unitaria intorno ad argomenti molto seri che nasce proprio dal dialogo e dal confronto.
Non vorrei che tutto questo, in qualche ulteriore misura e in guisa ulteriore, delegittimasse, come dicevo poc’anzi, il Parlamento e svuotasse ancora di più la politica della sua essenza, della sua efficacia e della sua nobiltà. Quelle che sto pronunciando sembrano parole retoriche, ma continuo a credere che la politica debba riqualificare se stessa, anche attraverso il confronto parlamentare, soprattutto su argomenti così delicati e complessi, come quelli che attengono alla lotta alla corruzione, e debba essere tale da avere un Parlamento non condizionato da questa ritualità del voto di fiducia.
Per essere ancora più franchi con lei, signor Ministro, noi abbiamo apprezzato, come dicevo poc’anzi, le sue dichiarazioni che in qualche modo hanno rivendicato, anche al Governo e a questa fase complessa di un provvedimento, che si è trascinato tra Camera e Senato e poi è ritornato alla nostra attenzione con qualche ulteriore modifica, il fatto che ci sono stati inasprimenti delle pene e interventi sicuramente efficaci – almeno ce lo auguriamo – nei confronti dell’andamento della pubblica amministrazione in generale.
Certamente domani lo dirà in maniera ancora più pressante la collega Siliquini, che ha seguito il provvedimento in Commissione giustizia. Noi riteniamo estremamente importanti alcuni elementi che sono inseriti in queste misure, che riguardano la Commissione di valutazione per la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, che riguardano, in particolare, i tentativi di rendere ancora più trasparente l’attività amministrativa, soprattutto in materia di appalti pubblici e di ricorso agli arbitri.
Sappiamo che, per la prima volta, in maniera molto chiara interviene una disciplina molto stringente in materia di incompatibilità, di cumulo di impieghi e di incarichi di dipendenti pubblici, anche se poi il Governo dovrà individuare un codice di comportamento che dovrà disciplinare compiutamente i procedimenti amministrativi proprio per garantire questi elementi e questa qualità dell’atto amministrativo e dei comportamenti che i dipendenti pubblici devono tenere. Come pure è assolutamente importante aver affrontato il tema dell’incandidabilità e della tutela del pubblico dipendente che denuncia o riferisce condotte illecite apprese in ragione del suo rapporto di lavoro. È importante pure aver reso più incisivo il giudizio di responsabilità amministrativa e aver, in qualche modo, modificato in maniera molto sostanziale tutto il tema dell’affidamento dell’arbitrato ai magistrati. Mi consenta di dire che questo è l’aspetto preponderante di un provvedimento al quale noi ci apprestiamo a dare un voto favorevole.
Ma io vorrei qui, visto che stiamo parlando soprattutto in termini politici e di questioni di fiducia, sottolineare un altro aspetto: qualche anno fa, direi forse un decennio fa, uscì un libro interessantissimo di un autore americano, John Noonan; un libro bellissimo, ponderoso, intitolato «Ungere le ruote: storia della corruzione politica dal 3000 a.C. alla Rivoluzione francese». È un libro che dovrebbe essere letto ancora oggi, perché è denso di approfondimenti. Tra l’altro, Noonan è un giurista ma anche un filosofo e in quel libro affrontò il tema della corruzione, cercando di spiegare come la corruzione non sia un fenomeno di oggi, ma sia un fenomeno che percorre la storia dell’umanità. Quello è un libro importantissimo perché è anche provocatorio ed aiuta in qualche misura a scoprire il significato della corruzione nella società umana.
Non è un attacco – voglio dire – semplicistico alla corruzione né una cinica celebrazione della sua inevitabilità: è la cronaca viva ed affascinante per certi versi di quasi quattromila anni di storia di una pratica assai incompresa. E sottolineo assai incompresa, perché il concetto di dono illecito, come rileva Noonan, è relativamente costante e la corruzione è sempre esistita dall’Egitto dei faraoni fino anche agli scandali colossali dei giorni nostri. Noonan illustra la nostra ambivalenza verso la corruzione, vista come idea e come atto.
Qualche riferimento storico: la Chiesa medievale, ad esempio, condannò come simonia la vendita dei favori spirituali ed al tempo stesso incoraggiò a dare un contributo per ottenere le indulgenze. Oggi la sottile demarcazione tra legale ed illegale è pur sempre presente. È reato, per esempio, pagare un parlamentare perché voti in un certo modo, ma i contributi dati per le campagne elettorali sono perfettamente legali.
E allora, chiarendo l’evoluzione della corruzione, i suoi mutevoli contenuti, i contesti nei quali essa si è sviluppata e le sue innumerevoli definizioni, Noonan aguzza la nostra capacità di fare la difficile distinzione tra doni, che sono necessitati dal punto di vista spirituale e sociale, e l’atto di corruzione fondamentalmente immorale. La sua conclusione è che il desiderio di condanna della corruzione non deve essere né una paranoica caccia alle streghe né una fobia puritana, ma la ricerca, da parte del cittadino, dell’integrità nella carica. Ecco il punto: l’integrità nella carica. Infatti, non c’è dubbio che la corruzione lacera il fragile tessuto della fiducia e dell’onestà che in qualche modo riesce a tenerci tutti uniti. Ma è pur vero che, al di là della legge, l’elemento corruttivo può essere colpito soltanto se c’è un recupero di etica della responsabilità, di senso del dovere, di senso della responsabilità e di quella etica pubblica che è scomparsa all’interno della politica e che noi dobbiamo recuperare, perché non è con la legge che si combatte la corruzione, ma recuperando etica politica e senso del dovere, attraverso anche interventi radicali. Perché, per esempio, non affrontiamo il tema del finanziamento pubblico dei partiti eliminandolo, perché lì è la radice di tutti mali? Da lì si ricostruisce un’etica pubblica. Ecco perché noi vorremmo che la politica recuperasse la capacità di affrontare soprattutto questi temi, se vogliamo davvero tornare a configurare la politica come qualcosa di alto e di nobile