08 Novembre 2012
Enea Franza
Nota di Domenico Cambareri
Come spesso ci ricordano non pochi politologi, e come in tante occasioni ha fatto rilevare fra di essi l’italiano Sartori, il presupposto e la considerazione di base del modello liberale americano sono dati, sul piano della concreta gestibilità e operatività, da un’auspicata e benvenuta bassa partecipazione politica degli aventi diritto al voto (questa è la cosa di importanza fondamentale da rilevare per costoro, affinché possa funzionare il modello: l’avere il diritto, e il non esercitarlo in percentuale elevatissima …).
Ciononostante, il problema di fondo (oltre il crudo rilievo che vien fuori da un’oggettiva interpretazione in chiave statistica), sia sostanziale che non di meno formale, posto da Enea Franza mantiene tutto intatto il suo valore, con tutti i suoi interrogativi e la sua problematicità di fondo. Nella realtà delle cose e oltre le apologie, tale sistema risponde realmente all’adempimento e al reale soddisfacimento – alla concreta attuazione – di quelli che vengono universalmente considerati i requisiti minimi di un reggimento liberale e, a fortiori, di uno democratico?
Oppure il modello americano, il primo “repubblicano” dell’età moderna, ha rappresentato e ancora rappresenta un modello misto, in cui le “corporate powers” , “corporate environments” “corporate worlds” o “realm of business” (non in senso fascista e, quindi socioeconomico, ma nel senso di reali megaconcentrazioni di frastagliate, vorticose e concorrenziali attività finanziarie e produttive e della penetrazione delle loro strategie espansive, che si accampano stabilmente in ambiente politico, a pro degli obiettivi di accrescimento dei profitti) e le loro appendici infra – parlamentari, le “lobbies”, hanno svolto e svolgono un ruolo cruciale nel funzionamento del sistema politico complessivo?
A onor del vero, è da aggiungere che questa presenza consolidata e generalizzata del mondo del profitto è avvenuto e avviene alla luce del sole, salvo ovviamente le operazioni “cover” e sporche. Questo è un ulteriore motivo per dovere riconsiderare e ridefinire il modello americano come sistema politico misto in generale, per individuarne poi le specifiche peculiarità? Ovvero, le attività economiche innanzitutto e le altre comunque orgnizzate hanno svolto e svolgono appieno nel mondo politico statunitense un ruolo concreto quanto formalmente legittimo? A me pare di si. Non di meno, i profondi e fondamentali “correttivi” dei “grandi elettori” costituiscono non una particolarità ma una peculiarità qualificante e tipizzante di primissimo piano che va finalmente valutata in tutta la sua portata. I politologi e gli studiosi di dottrina dello Stato avrebbero forse da voltare pagine e da cominciare a scrivere qualcosa di nuovo su quest’argomento? – D.C.
USA: le elezioni e il fantasma della democrazia