14 Dicembre 2012
Giuseppe A. Spadaro
APOLOGIA
Gentili amici,
siate indulgenti nei confronti di quest’apologia che, giunto a un traguardo non troppo lontano dalla fine dell’esistenza, sono costretto a scrivere a futura memoria e spero a vantaggio delle nuove generazioni. La mia opera infatti è stata ignorata o vilipesa da epigoni ringhiosi, rissosi e inconcludenti. Ho il torto, è vero, di non dire cose fritte e rifritte, e capisco che i bambini vogliono sentirsi ripetere sempre la stessa filastrocca. Non potevo dunque ricevere accoglienza diversa, io che mi ostino a infrangere i tabù che quegli epigoni si sono costruiti da oltre mezzo secolo.
Le loro litanie son rimaste sempre le stesse: antilluminismo, antirazionalismo, antimodernismo. Sono litanie nate in ambito cattolico nella falsa convinzione che l’Illuminismo sia stato la causa della Rivoluzione francese. Ma lo storico non “dev’essere sempre revisionista”? Mi rifaccio quindi al Gadamer: “Siamo tutti figli dell’Illuminismo. Siamo figli di un processo che, iniziato in Europa, ha definito la peculiare forma di civilizzazione dell’occidente sin dai primordi greci”. Hans Georg Gadamer, autore di “Verità e metodo”, è il fondatore dell’ermeneutica, un metodo d’indagine che consiste nell’interpretare i fenomeni riconducendoli alla loro origine.
Siamo tutti figli dell’Illuminismo, dunque! Potremmo noi pensare senza idee chiare e distinte? Ciò non vuol dire che Cartesio avesse idee chiare e distinte, le aveva anzi assai confuse. Del cartesianesimo, è bene accettare il metodo, rifiutando quella filosofia pseudoscientifica che ha fatto da supporto al dualismo cattolico dal primo ’700 alla fine dell’800, quando con estemporanea improntitudine Leone XIII impose un ritorno al tomismo. Quel tomismo fuori tempo, contro cui si addenseranno le critiche dei modernisti, rimase lettera morta, mentre la netta distinzione fra res cogitans e res extensa (fonte di un’antropologia mutila e scissa) continuava a informare l’azione della Chiesa, attirando nella sua trappola quanti erano costretti da ragion di Stato a restare nella sua orbita.
Nacque così quel grottesco “Manifesto della razza”, a cui Mussolini dovette imporre un indirizzo biologico in ottemperanza all’impostazione data da padre Brucculeri su Civiltà Cattolica, e che gli si ritorcerà contro in occasione del divieto dei matrimoni misti. Riassumo qui in poche righe un argomento che in “Il fascismo crocevia della modernità” (1998) ho svolto in un intero capitolo. Operando una vera a propria rivoluzione copernicana, il libro inizia con l’enciclica Pascendi contro il modernismo. Apriti cielo! Il Modernismo è una testa di turco di tali epigoni, né i cosiddetti pagani si accorgono che il pregiudizio è di marca cattolica. Per rendere l’idea, vi dico subito come fu accolto il libro: l’addetto alla distribuzione delle Edizioni Settimo Sigillo (che Dio l’abbia in gloria!) lo espunse dal catalogo; gli organizzatori dell’esposizione al Colle Oppio lo rimossero dalle scansie; l’unica recensione sul “Secolo” metteva l’accento sull’anticlericalismo. Il bello della faccenda era che ciascuno di questi contestatori aveva un movente diverso.
Ah, Modernismo, Modernismo, quante sciocchezze si dicono sul tuo conto! Cominciamo dal nome che (come tutti i dispregiativi: gotico, barocco, pagano, etc.) fu coniato dagli avversari, ma secondo don Ernesto Bonaiuti era piuttosto Arcaismo. Da quest’equivoco, fondato su un malinteso tradizionalismo, nacquero le più violente contestazioni: don Romolo Murri non poteva essere fascista, perché è il fondatore della Democrazia Cristiana! Oppure: Murri era un modernista, non conosci nemmeno “Rivolta contro il Mondo Moderno”?
Essendo stato il primo presidente di quella che sarebbe diventata la Fondazione Evola, era questa l’accusa che mi provocava più cocente umiliazione. E’ vero che il mio nome, essendomi da poco trasferito a Roma, era il più adatto a fingere l’apoliticità della Fondazione (fu Violante a scoprire che avevo scritto su Carattere, Ordine Nuovo, Civiltà e L’italiano, e a mandarmi in prigione), ma non avrei conosciuto nemmeno “Rivolta contro il Mondo Moderno”? Con il versante pagano di questi epigoni sono riuscito poi a chiarire l’equivoco, grazie a don Giovanni Preziosi, che col Murri era stato in ottimi rapporti e che aveva anche lui aderito ai Fasci Democratici Cristiani. Del resto modernista il Preziosi era già quando, sulla sua rivista “La Vita Italiana all’Estero”, si dava pena per l’emigrazione in tempi in cui i papi provenivano dall’Accademia dei Nobili Ecclesiastici…
Ma torniamo ai fatti: nel 1891 don Romolo Murri, credendo di mettere in atto la Rerum Novarum, aveva fondato i Fasci Democratici Cristiani. Era stato subito smentito con un’altra enciclica, la Graves de Communi, con la quale si specificava che la Rerum Novarum faceva appello al buon cuore del datore di lavoro, ma alcun significato politico dovesse attribuirsi al termine democrazia cristiana… Prevengo l’obiezione: il termine democrazia ha due accezioni, ma una era nell’800 la dominante (cfr. L’equivoco della liberaldemocrazia, Antonio Pellicani 2003), quella sociale, che consisteva nel sollevare le condizioni spirituali e materiali dei lavoratori. L’accezione politica non è che conseguenza della prima, nel programma della “Lega Democratica Nazionale” (1905) infatti il Murri, dopo l’imposta progressiva sul reddito e il suffragio universale, inserirà l’indennità parlamentare perché “gli interessi popolari non siano rappresentati da quattro conti, cinque marchesi e sei professori d’Università…”
Alla prova dei fatti però il suffragio universale si rivelerà nemico degli interessi della democrazia: il conte Falconi infatti, candidato di Dio, sostenuto dal vescovo e dal prefetto e votato da una massa di contadini analfabeti, gli soffierà il seggio. La lezione avrà i suoi effetti sul Murri, che dopo aver fondato il Fascio parlamentare dopo il disastro di Caporetto e un Movimento Sociale nel 1919, al congresso di Roma del 1921 aderirà al PNF. Nel 1927 poi, facendo sua la parola d’ordine fascista: “Tutto per il popolo, niente attraverso il popolo”, scriverà: L’era del suffragio universale è terminata. Fine ingloriosa! Dopo il Concordato del 1929, lo scomunicato Romolo Murri doveva restare nell’ombra, ma il suo libro “L’idea universale di Roma” otterrà il Premio S. Remo nel 1937.
Ma in fin dei conti, cos’è questo Modernismo? Il modernismo ha tante facce: il modernismo biblico attacca la Chiesa alle viscere (le Sacre Scritture), il modernismo teologico la attacca al cuore (il Dio persona), il modernismo filosofico la attacca al cervello (Tommaso d’Aquino), il modernismo sociale infine sottrae al Clero i poveri di spirito… Ecco il motivo per cui nel 1921 Benedetto XV (allievo dell’Accademia dei nobili ecclesiastici) bollò di modernismo sociale ogni movimento sindacale, favorendo le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (ACLI) che daranno filo da torcere ai Sindacati fascisti. La Rerum Novarum sarà un’arma in mano al Clero cattolico, finché nel suo quarantennale (1931) non si verrà allo scontro frontale e i Pipini, annidati nella FUCI e nelle ACLI, avranno le sedi devastate e i circoli chiusi.
E il modernismo politico? Secondo l’enciclica Pascendi consiste nientedimeno nel sostenere la separazione della sfera civile da quella religiosa… Ecco cosa scriveva il Buonaiuti nelle sue “Lettere d’un prete modernista”; “Leone XIII concepì il disegno di tendere una mano amica al Governo francese per farne un fulcro delle sue velleità di rivincita sugli invasori del suo minuscolo patrimonio. Ebbene, amico, se sapessi quanto danno ha arrecato alla prosperità del nostro paese la politica anti-italiana di Leone XIII! Tu non mi crederai, ma parecchie generazioni di preti, e con esse tutte le popolazioni più supinamente ad esse soggette, son vissute senza alcun amore di patria, senza alcun attaccamento allo Stato italiano… Tutto il clero ligio al Vaticano… ha additato nei governi nazionali i rappresentanti di un potere diabolico… ”
Ernesto Buonaiuti è l’esempio dell’amore dei modernisti per l’Italia, e se non lui, molti di essi confluirono nelle file fasciste, come don Brizio Casciola, collaboratore sin dal ’21 di “Gerarchia”. L’espressione potere diabolico ci riporta al Risorgimento osteggiato dal Papato, che si è sempre avvalso dell’aiuto straniero contro l’Italia. Nel 1903 l’appena eletto Pio X aveva rotto i rapporti con la Repubblica francese perché il presidente Loubet era venuto a visitare i Reali d’Italia, deludendo le aspettative che la politica di Leone XIII faceva intravedere: su istigazione del Vaticano infatti la Francia aveva occupato la Tunisia colonizzata dal lavoro italiano.
In “L’equivoco della liberaldemocrazia” il prefatore ha così commentato la mia opera: “Un’impellente esigenza di verità spinge il nostro autore a indagare in quelle zone in ombra fra eresia e cospirazione: ricerche rare, itinerari nel sottosuolo, da cui idee sperdute sbucano di nuovo nella grande Storia”. Questo metodo ho usato anche in “1860: Sicilia dei misteri – Garibaldi di fonte alla Storia” ripercorrendo, senza sbavature e tenendo conto delle ragioni dei perdenti, la problematica storia del Risorgimento fino a trovarne le origini nelle società segrete. Esse sorsero contro Napoleone dopo il Trattato di Canpoformido col quale cedette Venezia all’Austria.
Non è escluso, per società segrete come la Carboneria, l’influsso dei Giansenisti, i preti giurati della Rivoluzione francese, che sono nel mirino dei cattolici tradizionalisti per avere ispirato la repubblica genovese e la partenopea. Ma in nessun caso lo storico deve giudicare, bensì spiegare quali processi ideali abbiano generato il fenomeno indagato. Nel caso degli eretici seguaci di Giansenio, c’è da dire che essi, avendo precedentemente sostenuto il giurisdizionalismo dei Sovrani per limitare l’ingerenza di Roma negli affari degli Stati, non fecero altro che trasferire il loro giurisdizionalismo in favore della Patrie…
Per questa mia esigenza di verità, i peggiori torti, com’è ovvio, li ho ricevuti dai cattolici: solo un defensor fidei poteva infatti compiere il miracolo di stroncare un libro senza leggerlo. Lo ha fatto Franco Cardini, stroncandomi “L’albero del Bene – S. Francesco teologo cataro” (Ed. Arkeios 2009) su commissione de L’Avvenire. Lo ha stroncato senza nemmeno averlo tenuto in mano, avrebbe in quel caso letto in terza di copertina il giudizio del filosofo cattolico Pietro Prini: “Sconvolgente ma scientificamente ineccepibile”. Altra prova della sua bricconeria è che, non conoscendole, non ha contestato alcuna delle mie argomentazioni né tantomeno le citazioni che avevo fatte da suoi libri…
Ancor più paradossale è però che i sedicenti pagani non capiscano la forza di-rompente del modernismo, preferendo (come mi disse un giorno Paolo Signorelli) ignorare la maledizione di duemila anni di cristianesimo. Che nel divertissement “In pruritu carnis – L’equivoco cristiano” (Fabio Croce Ed. 2005) io abbia distrutto quel cristianesimo da essi tanto detestato, non è sufficiente a far loro superare il viscerale fastidio che procura loro il nominarlo. Ecco perché la mia analisi semantica e filologica della Parabola dei Talenti, che in “Dell’imitazione e della memoria” (Ed. Bibliotheca 2012) ho definito “una precisa Welthanschauung”, non trova in loro degli estimatori. Di quest’opera non son disposto ad anticipare, se non che nelle note ho innalzato al Fascismo il più bel monumento che un epigono di retto cuore e sano cervello possa auspicare.
Grazie dell’attenzione, vostro Giuseppe A. Spadaro