Sovranità. Gioacchino Belli ancora c’insegna sul diritto e sullo storto

20 Febbraio 2013

Mino Mini

 

SOVRANITA’

 

C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
Io so io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
……………………………………………….
G.Gioacchino Belli: Li soprani der Monno vecchio
Nelle cinque righe dell’icastico sonetto del Belli, di cui sopra, a legger bene c’è espresso chiaro il concetto di sovranità. Sovrano è chi fa “ddritto lo storto e storto er dritto” ovvero chi decide nel proprio “regno” ciò che è bene e ciò che è male. Sovrano è chi determina la “misura”, il valore con cui misurare il mondo. Essere “soprano” – come lo chiama il poeta – significa impersonare il Tutto, l’organismo che attua la sintesi delle parti che, individualmente, “nun [sono] un cazzo” in quanto “vassalli”.
I romani, non quelli “der Monno vecchio” nella parodia del Belli, ma quelli antichi che inventarono il diritto, graduavano l’ambito di sovranità: il cittadino era sovrano nel proprio organismo familiare dove il pater familĭas era giudice e sacerdote del culto dei lari e dei penati;sovrano della propria casa e nell’esercizio della proprietà del suolo dove la stessa sorgeva in quanto parte del territorio comune; sovrano nell’esercizio dell’economia e della produzione. Al di fuori della famiglia la sovranità dell’organismo, costituito dalla sintesi delle famiglie, apparteneva allo Stato come allo stesso apparteneva il governo del territorio e la regolazione dell’economia politica. Quale fosse la forma dello stesso, non cambiava il concetto di sovranità né il compito di costruire il mondo decidendo quale dovesse essere il dritto e lo storto, il bene ed il male.
Perché ci riferiamo con tanta insistenza ai romani antichi?
Perché la realizzazione in concreto dei principi della sovranità, per loro natura astratti, avvenne a Roma. Nessuno, più dei romani, tradusse in realtà il compito massimo della sovranità: la costruzione del mondo dando forma all’informe. Ciò fu possibile perché Roma aveva saputo determinare il valore dei componenti dell’organismo civile e cosa dovesse essere considerato diritto e cosa storto. Soprattutto seppe definire in che misura, ovvero in che proporzione rispetto all’organismo civile, un diritto o un dovere dovessero concorrere alla formazione dello stesso.
Questa capacità di concepire il tutto e le parti componenti come organismi – la famiglia – e organismi di organismi – lo Stato – nasceva inconsapevolmente nei romani dalla logica che governava la loro lingua articolata in logica elementare degli enunciati strutturata – a sua volta – in logica delle relazioni o dei predicati e sviluppata, intuitivamente, nella logica dei predicati allargata che oggi chiameremmo logica dei sistemi o delle relazioni di relazioni.
La lingua, come è noto, è il canale mentale entro il quale si articola il pensiero e si
elaborano i valori per misurare la realtà; è la matrice dove si forma l’immagine del mondo. Alla sua ricchezza corrisponde la complessità della visione del mondo e soprattutto, nel caso che ci interessa, la capacità di capire il territorio simbiosi della natura e dell’uomo che la abita. La sovranità consiste proprio in tale capacità che nei romani raggiunse il massimo grado fino ad oggi concepito.
Oggi, in piena degenerazione della modernità, cosa è rimasto del concetto di sovranità?
La famiglia non è più un organismo autonomo componente di un organismo a scala superiore e l’attuale figura del pater familias non ha alcuna potestà sui suoi membri; l’antica simbiosi di uomo e natura fu scissa da Cartesio già nel secolo XVII percui il legame fra uomo e territorio, quello che si esprimeva come unità di sangue e suolo nobilitando la proprietà in senso spirituale, non è più percepito. La proprietà è solo una condizione economica. Il relativismo ha distrutto sinanco i concetti di diritto e di storto per non parlare di quello di misura confuso con l’aspetto meramente matematico/quantitativo. L’individuo è ormai proletarizzato, preda cioè di una condizione di indigenza morale che ha sostituito quella economica e lo rende totalmente succube del condizionamento esercitato in più forme tra le quali quella mediatica ha assunto la potenza di un vero e proprio mindfucking.
Ma c’è di peggio. L’ultimo baluardo di sovranità reale, la lingua, il famoso canale mentale entro il quale si articola il pensiero, è sotto attacco: per esigenze puramente tecnico-economiche viene imposto l’uso dell’inglese/americano il cui canale mentale, molto più elementare di quello della nostra lingua, condiziona il pensiero verso una visione del mondo meccanicistica e verso valori settoriali puramente strumentali come quelli economici. La sovranità viene, in tal modo, ottusa alla radice fino ad atrofizzarla realizzando, in tal modo, una forma di colonizzazione surrettizia.
Che fare?
Risalire la china riconquistando, in primo luogo, la capacità di pensare italiano recuperando, in una visione più matura, la tradizione italiana, mediterranea e comunitaria. Riconquistare, per questa via, il concetto vero, reale di organicità mediante il quale riesaminare la modernità per reimmetterla, mondata delle degenerazioni, nell’orbita della civiltà. Per far ciò occorre elaborare nuovi valori che superino, senza annullarli, quelli antichi. Valori che siano in grado di “misurare” la realtà contemporanea. Solo in tal modo i frutti positivi che la modernità stessa ha prodotto possono generare effetti altrettanto positivi nell’ambito di una nuova visione del mondo.
Attraverso il concetto di organicità riscoprire il nostro territorio come simbiosi di uomo e natura, come ubi consistam della nostra identità e quindi della nostra sovranità. La ridefinizione del nostro organismo territoriale è la premessa indispensabile per assurgere ad un superorganismo di scala superiore quale l’Europa. La stessa, dovrà possedere caratteri di organicità di livello superiore che i singoli organismi nazionali compiuti non posseggono per poter divenire sintesi dei diversi Stati componenti e non semplice sommatoria dei medesimi. Un’ Europa basata sull’uniformità degli aspetti settoriali, quali quelli economici ad esempio [ BCE per intenderci], non potrà mai raggiungere l’organicità necessaria a divenire una totalità ed esercitare una reale sovranità che non sia imposizione di alcuni sugli altri.