Urbanistica e “politica” tra sprechi e insensatezze. Ecco tre casi eclatanti

05 Aprile 213

Mino Mini

 

Il thriller della “volontà politica”

IL PONTE DEI MISTERI ED ALTRE STORIE

Nessuna memoria di precedenti misfatti insegna nulla!  Nessuna memoria, come quella del primo sventramento metallaro-“modernista” dell’Eur o quella dello yankee pseudomediterraneo dell’Ara Pacis, con la “montagnola” abbandonata da decenni … davanti l’ingresso del nuovo “contenitore” di Richard Meier che nel prossimo futuro sarà adeguato con la pedonalizzzionedel lungotevere …  Vediamo qui i casi che Mino Mini ci presenta su Venezia, Torino e (ancora) Roma.

 

Ammorbata dalla persistenza dell’agonizzante governo Monti, la primavera quest’anno stenta a fiorire soffocata, com’è, dalla putrescente atmosfera di vergogna che aleggia sull’Italia per l’indegno trattamento riservato ai nostri due marò. Purtroppo questa incapacità di tener ferma ogni decisione non colpisce soltanto i nostri militari ma si estende a coprire di vergogna anche aspetti sociali ed economici. A farne le spese, questa volta, sono i creditori dello Stato. Il governo aveva preso l’impegno di cominciare a pagare gli oltre 80 miliardi di debiti che l’amministrazione pubblica aveva contratto nei confronti di aziende, privati, professionisti e cooperative a seguito di prestazioni svolte per conto dello Stato.
Palazzo Chigi dapprima aveva sbandierato come grande successo la facoltà concessa all’Italia, da un organismo senza alcuna sovranità e privo di legittimità popolare, di sforare i rigidi parametri europei ed aveva promesso di stanziare 40 miliardi nel biennio 2013-2014 come prima tranche del rimborso del debito. In un secondo tempo, a seguito dell’altolà della Ue, il ridicolo trio di economisti composto dal presidente del Consiglio Monti, dal ministro dell’Economia Grilli e dal ministro dello Sviluppo Economico Passera è parzialmente ritornato sulla decisione adducendo problemi di natura procedurale, normativa e parlamentare. Pensateci bene: 80 miliardi di euro – mica le tanto rimpiante lirette – (oltre 150.000 miliardi di vecchie lire!, fose, come afferma in ultimo l’ABI, 100 e più milardi di euoro, quindi oltre 190.000 miardi di vece lire! ) che lo Stato si è tenuto in cassa finora, strozzando le aziende e i professionisti ai quali, dopo tanto tempo, non verrebbe riconosciuto nemmeno una minima percentuale di interessi. Sempre che riescano a incassare, beninteso.
Ebbene, qualche quotidiano si è lanciato in una stima approssimata calcolando che se questo Stato avesse contratto il maxi-debito in questione per realizzare le indispensabili infrastrutture necessarie al decollo dell’Italia, avrebbe potuto realizzare l’equivalente di ben otto tratte TAV Torino – Lione o costruire l’equivalente di dieci ponti sullo stretto di Messina. In sostanza, avrebbe potuto terminare il corridoio V° paneuropeo e completare la parte italiana del I° corridoio paneuropeo Berlino – Palermo ora bloccato a Napoli.
 Figuriamoci! E non crediate che se i nostri reggitori nazionali sono di questa tempra, quelli regionali e comunali siano di migliore forgiatura. In specie, sul versante dello sperpero. Sono, infatti, sulla scena mediatica tre casi esemplari: due sotto la lente d’ingrandimento della Corte dei Conti – il ponte di Calatrava a Venezia ed il grattacielo Fuksas a Torino – ed uno che riguarda la Nuvola di Fuksas a Roma.
Trattasi, in tutti e tre i casi, di opere la cui realizzazione ha comportato l’impiego di rilevanti risorse economiche a carico della cittadinanza e altre ne comporterà per il loro completamento, la loro manutenzione o la loro trasformazione al fine di renderle atte all’uso per le quali furono concepite. Soprattutto trattasi di inserimenti in contesti ambientali preesistenti che verranno, da questi, profondamente modificati condizionando, in positivo o in negativo, la vita degli abitanti. E questi abitanti, questi contribuenti che, in tempi come gli attuali, vengono ridotti all’indigenza economica con l’estorsione della metà di ciò che guadagnano onestamente per pagare il costo di queste opere, che verranno ridotti all’indigenza morale mediante il condizionamento a vivere in presenza di quelle stesse opere, sono mai stati chiamati ad esprimersi democraticamente sull’opportunità di realizzarle sottoponendosi volontariamente e responsabilmente ai conseguenti sacrifici? E’ stato loro concesso di interrogarsi sul loro destino di fruitori delle stesse?
 Le domande sono puramente retoriche poiché sappiamo benissimo essere le decisioni frutto della “volontà politica” degli amministratori regionali e comunali. Ricorrendo ad una nota metafora degli anni ‘50 del secolo scorso, sono loro – gli amministratori committenti – i padri–padroni di quelle opere, mentre le archistars ne sono le madri. Allora, di retorica in retorica, chiediamoci: sarà la Corte dei Conti la magistratura che renderà giustizia ai cittadini?
Ma va! A Venezia la Corte dei Conti per il Ponte della Costituzione chiede a Santiago Calatrava , l’archistar, e ai sei responsabili tecnici del Comune di Venezia per i ritardi, i costi e gli errori commessi nel corso della realizzazione la bella somma di 3 milioni e 886 mila euro di danno erariale. Non entra in merito al poco casto connubio tra l’archistar – la madre – e l’amministrazione veneziana committente in carica nel 1999. Dopo tre anni di progettazione, bando di gara ed appalto, i lavori iniziarono nel 2003 con un costo preventivato di 6,7 milioni ed una fine lavori prevista da lì ad un anno e mezzo. Neanche a farlo apposta, i costi cominciarono a lievitare ed i tempi pure e solo nel luglio del 2007 iniziarono i lavori di posa in opera del ponte parzialmente realizzato in officina. All’inaugurazione avvenuta di notte alle 23,44 dell’11 settembre 2008, i costi si aggirarono intorno agli 11,3 milioni. Chi deliberò l’appalto e chi ha, poi, deliberato la lievitazione dei costi a 4,6 milioni in più? Chi ha diretto i lavori? Chi era l’impresa che fece l’offerta a base d’appalto di 6,7 milioni e riuscì a farsi liquidare una maggiorazione di oltre il 40%? E poi…e poi… Ci sarebbe da scrivere un thriller dal titolo “Il Ponte dei Misteri” su una vicenda che vede coinvolti, in primis, i deliberanti della “volontà politica” in probabile collusione con i tecnici dell’amministrazione e poi l’impresa esecutrice. E la Corte dei Conti … pensa di far luce … richiedendo solo a Calatrava ed ai sei responsabili tecnici, che hanno indubbiamente responsabilità di una parte rilevante negli errori concettuali a base della progettazione, il rimborso delle loro parcelle ? Ma dai!
A Torino, la Corte dei Conti, su esposto del governatore Cota, mette sotto inchiesta l’ex governatrice Mercedes Bresso per presunto danno erariale e violazione della concorrenza in merito alla realizzazione del grattacielo Fuksas, il futuro edificio più alto d’Italia. Il danno erariale sarebbe la lievitazione dei costi e la superparcella di 22 milioni pagati all’archistar. Si risolverà tutto in un buco nell’acqua perché la vicenda è stata condotta abilmente dalla Bresso e soprattutto da quel paravento di Fuksas che è riuscito a farsi pagare ancor prima di terminare il grattacielo.
In che cosa è consistita l’abilità della governatrice è presto detto: fatto vincere a Fuksas il solito concorso, deliberò successivamente, con la sua giunta, di spostare lo stesso progetto in un’altra area con il consenso, vaddasé, del progettista. Il cambio dell’area comportò la decadenza degli obblighi di rispetto dei capitolati e dei disciplinari d’incarico da parte del progettista, ma la non decadenza del rapporto fra amministrazione e progettista che poté svolgersi in un regime nuovo suscettibile di quelle varianti che l’appalto di concorso non avrebbe ammesso.
Capito il marchingegno?
Infatti, la nuova dislocazione portò ad una variante di 30.000 mq di superficie in più e, già che c’era, alla sistemazione della nuova area. Date l’entità della variante e l’ammontare complessivo delle opere progettate, Fuksas non era nemmeno tenuto a uniformare la sua parcella alla tariffa professionale. Se chiese 22 milioni, ne aveva il pieno diritto. Alla luce dei fatti, considerando che il grattacielo si sarebbe pagato da sé con il risparmio sugli affitti che la regione Piemonte paga annualmente, la Corte dei Conti non avrà materia di contestazione in termini di danno erariale.
Ed infatti il vero problema è di altra natura: è lecito che opere così rilevanti sul piano urbano siano decise solo dalla “volontà politica” senza tener conto della cittadinanza? E’ moralmente lecito che il giudizio su un’opera architettonica così determinante per la vita dei cittadini venga espresso da una giuria di “esperti” in mancanza di criteri obiettivi su cui fondarlo? Viviamo in un’epoca in cui i criteri del bello, del giusto rapporto fra opera e contesto, del “decor” inteso come codice di trasmissione di valori civili ed altro hanno perso di significato, dove l’architettura si pone, come obiettivo limite, quello di “disturbare, torturare , interrogare, contaminare, infettare (Roger Kimball 1998)” in termini espressivi, dove vige l’arbitrio del gusto individuale di chi progetta e di chi è disposto a condividerne gli esiti (è bello ciò che piace).
Su tali basi inconsistenti, il giudizio che attribuisce la vittoria in un concorso di architettura è frutto, spesso se non esclusivamente, di accordi fra protagonisti della informale confraternita autoreferenziale delle archistars: oggi vince Caio e gli altri lo qualificano, domani vince Sempronio, anch’egli qualificato dal giro e così via qualificando ed attribuendo. Si tratta, però, come abbiamo detto, di opere dal costo rilevante che impegnano la vita dei cittadini, di edifici che condizionano l’ambiente urbano e, attraverso questo, gli abitanti della città e del territorio. Se la presunta democrazia ha un senso, esso dovrebbe essere quello di permettere al popolo di decidere realmente e direttamente, con referendum o altri mezzi di partecipazione, se la realizzazione di un’opera sia opportuna, conveniente, sentita come espressione dell’identità collettiva.
Tutto ciò ci porta al terzo caso: quello della “ Nuvola di Fuksas”. Fuksas … sempre lui. Il comune di Roma Capitale deve affrontare la decisione circa l’impegno finanziario per la continuazione dell’opera ed il sindaco uscente, alla ricerca di un consenso sempre più aleatorio, fa voti perché tale impegno venga assunto nonostante le emergenze che caratterizzano la vita della capitale. Prima fra tutte l’emergenza abitativa che Alemanno aveva ereditato dalla precedente giunta. Ma c’è un’emergenza ancora più pressante: il rilancio dell’economia. Allora, in considerazione del fatto che l’attività congressuale ha modo di espletare i suoi effetti positivi in periodi di fermento dell’attività economica generale, mentre attualmente siamo in fase di recessione, occorre chiedersi se il completamento della Nuvola può considerarsi una infrastruttura necessaria alla ripresa economica oppure se sia più opportuno utilizzare le risorse che verrebbero impiegate indirizzandole verso un obiettivo più concreto e generatore di effetti positivi per l’attuale situazione.
Siamo populisti nell’accezione formulata da Adalberto Baldoni sulle pagine de Il Borghese del mese scorso, pertanto avanziamo una proposta: perché non sottoporre il caso, debitamente supportato da pareri tecnici pro e contro, al giudizio della cittadinanza?