Modelli economici e scelte ideologiche senza apologia. I fatti storici e le comparazioni parlano, anzi cantano. Anche per i sordi

14 Aprile 2013

Filippo  Giannini 

Crisi economica e contraffazioni storiche. Analogie e dissonanze  tra un passato gagliardo e il misero presente

 

Sono appena rientrato in Italia dopo una lunga permanenza all’estero; sono stanco e, quindi, con poca voglia di riordinare i miei documenti, di conseguenza per questa volta, diversamente dal mio solito citerò i documenti solo, come si suol dire, a braccio.
Quando partii lo scorso novembre, lasciai l’incarico per curare l’ordinaria amministrazione (pagare le bollette, ritirare la posta, ecc.) a mia figlia Ursula e a mia nipote Chiara, ammonendo, però, di non pagare assolutamente l’iniquo abbonamento alla televisione. Perché? Sono disgustato dal modo vigliacco (è il termine adatto) di bollare un fatto storico che pure ha scritto pagine per Vent’anni nella nostra storia.
 
Viviamo, come tutti possiamo amaramente constatare, in una lunga, lunghissima fase storica, che senza tema di essere smentito, risale al 1945, data nella quale i vincitori della seconda guerra mondiale ci imposero un sistema di vita che non è quello nostro, europeo, cristiano, romano.
Nessuno oggi può negare che siamo governati da una cricca di ladri, corrotti e corruttori, assassini, pedofili, mafiosi, camorristi, stupratori, bestemmiatori, maramaldi, burattini, traditori-voltagabbana e, mi ripeto, di vigliacchi e tutta questa cricca all’unisono tesa a convincere gli italiani che il Fascismo fu il male assoluto.
Ho usato due volte il termine vigliacchi a ragion veduta e mi spiego. Pur essendo stato lotano lontano dall’Italia in questi mesi, ho avuto modo, da perfetto masochista, di seguire in televisione le notizie italiane. Ebbene – ma questo è solo un esempio fra le decine di migliaia – cito solo due figure nell’immenso firmamento dei giornalisti strapagati dalla RAI/Tv: Corrado Augias e Gianni Minoli, quest’ultimo con la sua Storia siamo noi, titolo che dovrebbe essere cambiato in La storia la inventiamo noi.
I due giornalisti su citati, avvalendosi di un monopolio dittatoriale sull’informazione, trasformano la storia ad uso della casta di cui sono i camerieri, operando l’alterazione della storia, cosa necessaria affinché gli italiani si convincano che il male assoluto sia stato tale. Che quanto scrivo corrisponda a verità è dimostrato dal fatto che da decenni su ogni organo di informazione si tratta del Ventennio e mai, e mi rivolgo, per la conferma, a voi amici lettori, che dall’altra parte della scrivania o del pubblico si sia visto qualcuno alzarsi e osservare : << Ma che fantasiose amenità o truculente scenografie inventate? La verità è esattamente opposta! >>.
Un esempio, ma ripeto, solo uno fra i centomila casi e più, e non davvero il più eclatante, per cui chiedo: << Qualcuno di quanti mi leggono ha visto la recente fiction su Trilussa? >>. Ebbene, falsificando date, località e fatti i reucci della menzogna con la pretesa del “diritto” di poter “romanzare” qualsiasi racconto a sfondo storico hanno trasformato il poeta romanesco in un antifascista. Ma quando mai! Detti soggettini quotidianamente scaricano su quel Morto ogni malignità possibile; se le inventano tutte, fregandosene di vivere nel ridicolo e di ridicolaggini sistematiche.
Qualche altro esilarante esempio di queste farneticanti fantasie? Nessuno ha letto o ascoltato su Focus di qualche tempo fa che “Mussolini aveva il pene freddo e pertanto era costretto a ripararlo in un sacchetto di pelo di coniglio cucito nelle mutande”? Oppure: Mussolini era un omosessuale perché inneggiava alla maschia gioventù?
Di contro, avete mai visto Mussolini inaugurare (senza che mai nessuno rubasse un centesimo dalle tasche dei cittadini) una delle decine di città che sorsero miracolosamente in quel periodo? E visto che stiamo vivendo una lunga fase di crisi congiunturale, chiedo: avete mai visto che qualcuno di detti camerieri di regime abbia mai illustrato in che modo fu superata in Italia la ben più grave crisi causata dagli attuali liberatori, nel 1929?
Visto che siamo in fase di grave crisi, perché i due giornalisti sopra citati, non ricordano come l’Italia sotto il male assoluto affrontò quel cancro? Oggi, in regime democratico, quante persone si sono per disperazione suicidate? Recenti fonti ufficiali parlano di più di 150 suicidi. Perché non fare un confronto con quei cittadini, poveri infelici, che vissero sotto il crudele tiranno? Ebbene, allora quanti suicidi si verificarono? Ecco. Quanto segue è dedicato all’esercito degli innumerevoli signori Minoli e Augias, vera espressione delle centurie dei predoni del regime.
Vogliamo fare un piccolo ripasso e ricordare o apprendere la realtà degli accadimenti storici per come essi si svolsero e nel loro reale significato; oppure dobbiamo restare voltati ad ascoltare con fissa passività le invenzioni degli sconfitti del ’19 e del ’43, sempre pronti a cambiar colore di mutande e casacca? Di quegli sconfitti che con il loro livore intriso solo di brama di rivalsa e di dissennata corruzione ci hanno portati al tracollo economico e morale in sessant’anni di criminale partitocrazia?
A causa della crisi internazionale del 1929 nei Paesi ad economia liberale, i suicidi si contavano a decine, mentre l’Italia stava superando la congiuntura senza eccessivi drammi. Franklin Delano Roosevelt era stato eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del 1933, periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato ed esattamente nel momento in cui in Italia veniva concepito l’IRI (l’IMI fu costituita nel 1931) sotto la guida di Alberto Beneduce. Con la nascita dell’IRI, furono gettate le premesse dello Stato imprenditore e con questo furono definite le linee di demarcazione tra l’area pubblica e quella privata. Tutto questo mentre l’Italia era impegnata nei grandi lavori, e potevamo lamentare solo 403 mila disoccupati, dei quali almeno la metà a carattere stagionale: cifra trascurabile se consideriamo che, ad esempio, la Gran Bretagna ne lamentava un milione e mezzo, la Germania era giunta ai sei milioni e mezzo.
L’Italia, più che uno Stato del vecchio continente era considerata da alcuni una meschina provincia in una grande Europa che però dettava leggi al mondo intero. Di questo è prova, tornando a Roosevelt, il fatto che il neo presidente americano aveva impostato la campagna elettorale all’insegna del New Deal, ossia ad un vasto intervento statale in campo economico. in altre parole, proponendo un’alternativa al liberismo capitalista ispirata ai principi fascisti. Una volta eletto, Roosevelt (e questo nel dopoguerra fu accuratamente celato) inviò, nel 1934 in Italia – cosa che ho più volte ricordato in precedenti articoli, come gli ulteriori riferimenti che presento, ad esempio a quello el conservatore Prezzolini, e che andrà sempre ripetuta e ricordata o fatta conoscere alla stragrande maggioranza degli italiani che di ciò non è a conoscenza – Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più preparati uomini del Brain Trust, per studiare il miracolo italiano. In merito, lo studioso Lucio Villari osservò: << Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva >>.
Ecco come Lucio Villari ricordò l’episodio, tratto dal diario inedito di Tugwell in data 22 ottobre 1934 relativo all’incontro di Tugwell con il duce italiano (anche l’ “Economia Italiana tra le due Guerre” ne riporta alcune parti, pag. 123): << Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza dell’ammnistrazione italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no >>.
Mussolini, a sua volta inviò a Washington il Ministro delle Finanze Jung, il quale, incontrato il Presidente americano, gli fece dono di due Codici di Virgilio e di Orazio e consegnò a Roosevelt una lettera del Duce. Il documento relativo a questo contatto Mussolini – Roosevelt, ci fa sapere Villari, è custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui originale, come il diario inedito di Tugwell, si trova nella Roosevelt Library.
Tra i liberals d’America le opinioni erano divise: una rivista come The Nation, fortemente conservatrice, era duramente antifascista. Gli economisti pianificatori del New Deal invece vedevano nel corporativismo il coordinamento economico statale necessario davanti alla bancarotta del lassez-faire liberista. Così nel 1933 Roosevelt firmò il First New Deal, e il Second New Deal venne firmato nel 1934-1936. Inoltre Franklin D. Roosevelt istituì il Social Security Act, una legge che introduceva, nell’ambito del New Deal, le indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Contemporaneamente nacque anche il programma Aid to Family with Dependent Children (Aiuto alle famiglie con figli a carico), tutti provvedimenti che avevano già visto la luce in Italia nel Ventennio fascista. Subito dopo, la Corte Costituzionale degli Usa decretò l’incostituzionalità di alcune leggi.
Da questo momento Italia e Usa presero, non solo economicamente, strade diverse.
 
Che l’Italia fosse sulla via giusta è attestato proprio da colui che è considerato uno dei maggiori scrittori del secolo: Giuseppe Prezzolini.
Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era solito dire) a Perugia il 27 gennaio 1882 (morì, centenario, a Lugano nel 1982). Iniziò la sua attività di giornalista ed editore appena ventunenne. Dopo aver partecipato alla Prima Guerra mondiale, si trasferì, non accettando il regime fascista, negli Stati Uniti nel 1929; ma, come poi scriverà, non mancherà di tornare frequentemente in Italia. Dopo uno di questi viaggi compiuto nei primi anni Trenta, scrisse: << Le mie impressioni possono forse parere semplici per i lettori italiani, ma hanno però lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo. Pace in questa Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno. La pace degli animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in apparenza maggiore. Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono sempre lire e lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno di guardie del corpo per salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Vi sono momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…). Il popolo italiano appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle risse; sale sui monti in folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e dell’aria. I discorsi e i commenti che vi senti, lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio vestito di un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più, viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare senza dubbio più contento >>.
Esattamente come oggi, è vero signori Minoli e Augias?
 
Il grande banchiere americano John Pierpont Morgan sembra condividere l’opinione di Prezzolini: << In America i nostri uomini politici non si curano se non di un problema, quello della loro rielezione. Tutto il resto non li interessa che mediocremente. Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini, avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini >>. Parole che scritte in questi anni, nei quali vige la vulgata resistenziale nelle sue arroccate e tarde sopravvivenze di mafia partitocratica sulla cultura, suonano come artefatte.
A questo punto, è opportuno ricordare quanto ebbe a dire Bernard Shaw nel 1937: << Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo >>. Non si dovranno attendere molti anni prima che la profezia del celebre scrittore si avveri. E’ proprio per questo che Cristo non si fermò non solo ad Eboli ma anche a Piazzale Loreto?
Non a caso, di fronte alla confermata crisi del liberismo e delle utopie del marxismo e alle loro atrocità su scala planetaria, un autorevole personaggio democratico inglese Michael Shanks, economista di ampia esperienza internazionale, già direttore della Commissione Europea degli Affari Sociali, nonché Presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro What is the wrong with the modern World? che << non c’è alternativa: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato >>.
Alla luce di tutto questo, allora chiedo a voi lettori: per superare la crisi che oggi ci attanaglia, perché non fare riferimento ai vincenti provvedimenti messi in atto nella prima metà dell’altro secolo? D’altra parte le regole – e parlo di regole – dell’economia non cambiano: quanto fu fatto allora non potrebbero essere valido ancora oggi?